venerdì 31 gennaio 2014

CULT MOVIE: La piccola bottega degli orrori




Titolo:
La piccola bottega degli orrori
Titolo originale: The little Shop of Horrors
USA, 1960
Cast: Johnatan Haze, Mel Welles, Myrtle Vail, Jackie Joseph.
Sceneggiatura: Charles B. Griffith.
Durata: 71'

Seymour Krelboyne (Johnatan Haze) è uno strampalato e imbranato commesso nel negozio di fiori Gravis Mushnik (Mel Welles), bottega situata in una periferia poco raccomandabile.
Seymour vive con la madre ipocondriaca (Myrtle Vail) ed è sempre sull’orlo del licenziamento per via delle sue goffaggini. Salva il posto di lavoro quando crea una pianta con dei semi comprati da un mercante cinese che si nutre di insetti (o almeno è quello che racconta lui).
La pianta viene chiamata Audrey Jr., come Audrey (Jackie Joseph) dolce assistente di Mushnik di cui Seymour è segretamente innamorato. Presto il negozio di Mushnik diventa meta di attrazione per curiosi, favorendo un incremento delle vendite per mr. Mushinik.
Grazie alla sua creatura, Seymour non rischia più il licenziamento, Audrey si interessa di lui e il timido commesso è felice della sua creazione, che continua a crescere florida. Ben presto però Seymour perde il controllo della situazione: Audrey jr. in realtà è una pianta carnivora che si nutre di… Sangue umano!
Seymour non sa più come sfamare la sua creatura, fino a quando non commette involontariamente degli omicidi che si trasformano in lauti pasti per la sempre più affamata Audrey, diventando schiavo del vegetale…
Possono tre giorni di lavorazione e 30.000 dollari per creare un cult movie? La risposta è sì se si tratta di Roger Corman. Il regista statunitense, famoso per aver creato film low-cost in tempi ristretti, ha confezionato La piccola bottega degli orrori, una black comedy surreale girata in tempi record.
Corman ha inventato un microcosmo dove l'anomalia è la norma. La folle parabola esistenziale di Seymour Krelboyne è raccontata con divertimento e una buona dose di nonsense, e nessuna delle sue assurde situazioni sono votate alla normalità. Non c’è un personaggio a posto, ognuno ha la propria peculiarità: dal cliente più affezionato con l’abitudine di mangiare i fiori (i migliori si trovano nelle piccole botteghe, non nelle grandi distribuzioni), alla signora perennemente in lutto, alla signora snob studiosa di piante, alle liceali desiderose di ospitare la pianta carnivora per la parata della scuola, fino a un esilarante Jack Nicholson agli esordi nei panni di uomo masochista.
Se la graziosa Audrey sembra il personaggio più assennato, in realtà ha un debole per gli outsider e finisce per innamorarsi del timido e squinternato Seymour, succube di una madre che si crede ammalata e che lo nutre con olio di ricino ed erbe cinesi.
Il nutrimento è il leit motiv del film: al calar del sole la pianta carnivora Audrey Jr. urla al suo padrone “nutrimi! Ho fame!” di continuo. La sua sete di sangue scatena le gag più divertenti e per niente paurose (forse suscitate 50 anni fa).
Interessante è il legame “affettivo” tra Seymour e Audrey Jr., come per Frankestein con la sua creatura. La crescita della pianta va di pari passo con la crescita emotiva di Seymour: se prima era insicuro e maldestro, facendo capitomboli a ripetizioni appena muoveva un passo (di puro gusto slapstick) la sua piccola Audrey era deperita; invece quando Audrey Jr. comincia a crescere, aumenta l’autostima del protagonista, diventando più espansivo e meno imbranato. Seymour è felice di aver realizzato il suo sogno di botanico in erba, diventa più sicuro di sé e si fidanza con la dolce Audrey.
Il cambiamento però ha toni sempre più dark: Audrey Jr. è sempre più assetata di sangue, così come Seymour diventa un assassino suo malgrado.
Tra la pianta carnivora e il commesso s’instaura un legame morboso e Seymour è come ipnotizzato, sa di commettere il male, ma allo stesso tempo non sa come staccarsi dall’esigente pianta. Solo alla fine riuscirà a spezzare il maleficio, ma a discapito del povero Seymour.
Se la trama di per sé è esile e l’impianto è quasi teatrale, dove la location principale è la bottega di Mushnik, il punto di forza risiede nelle situazioni noir al limite dell’orrore trasformate in situazioni esilaranti.
Il personaggio di Seymour è talmente goffo da far ridere anche quando uccide involontariamente il guardiano dei treni, il dentista sadico (divertentissima la battaglia a colpi di trapano) e la prostituta che invano cerca di sedurlo, che si presenta/perseguita al malcapitato commesso come il cane Droopy, cartoon nato dalla matita di Tex Avery.
La piccola bottega degli orrori a 51 anni di distanza è un film ancora godibile e divertente. Una piccola idea, pochi soldi e tanto divertimento. Roger Corman ha creato la sua ricetta vincente.
 
Voto: 7
A.M.

giovedì 30 gennaio 2014

CHRISTIAN BALE DAY: American Psycho

Gli instancabili cinebloggers dopo aver sfornato il Martin Scorsese Day festeggia il 40esimo compleanno di Christian Bale, diventato una star a livello mondiale con la serie di Batman diretto da Christopher Nolan, ma capace di essere un attore eclettico passando da ruoli romantici (Ritratto di signora, Piccole donne), alternando film d'autore (The Prestige, The New World, Io non sono qui) con i Blockbuster (Terminator Salvation), arrivando a modificare il suo fisico perdendo peso quasi a livelli spettrali (L'uomo senza sonno, The Fighter), o ingrassare (American Hustle). Per l'occasione Director's cult celebra il Christian Bale Day con il film che l'ha lanciato, American Psycho.

Buon Christian Bale Day!

Titolo: American Psycho
Id., USA 2000
Cast: Christian Bale Jared Leto, Chloe Sevigny.
Sceneggiatura: Genevieve Turner, Mary Harron.
Regia: Mary Harron.
Durata:92'
"...Abito all'American Gardens Building, sull'81a West, 11o piano. Mi chiamo Patrick Bateman, ho 27 anni. Credo fortemente nella cura della persona, in una dieta bilanciata, nel rigoroso e quotidiano esercizio fisico...". 
Con questo biglietto da visita si presenta Patrick Bateman, fascinoso quanto pericoloso yuppie che nasconde l'anima di un serial killer. Nel 1991 Brett Easton Ellis scrisse il romanzo American Psycho, che suscitò clamore per la violenza descritta al limite della truculenza e delle barbarie, creando questo yuppie fascinoso quanto pericoloso.
Nel 2000 dopo un progetto travagliato, Mary Harron riesce a portare sul grande schermo questo personaggio scomodo, inquietante, ma elegante, bellissimo, un vacuo e raffinato prodotto del capitalismo americano con tutti i suoi crismi e stereotipi. Ma come rappresentare sullo schermo un materiale così scomodo senza arrivare a creare un nuovo Harry Pioggia di sangue?
Mary Harron non mostra subito le sue carte, anzi, le mescola e fin dalle prime inquadrature rende l'idea di un thriller con venature horror, mostrando uno schermo bianco, con delle gocce rosse che cadono una a una e poi in maniera sempre più copiosa. E' sangue? Il killer è già all'opera? Niente affatto, è salsa di mirtilli e lo schermo bianco è in realtà il primissimo piano di un piatto su cui poggia una prelibata pietanza servita in uno dei più esclusivi ristoranti di New York.
Harron non vuole giocare facile e gridare allo scandalo annunciato, ma ci presenta un classico yuppie, metodico nella cura della persona quanto nell'uccidere.
Ogni mattina Patrick Bateman si alza, mette la maschera per rinfrescare lo sguardo, fa stretching (ne conosce  a migliaia) e si prende cura del corpo con creme, lozioni, gel doccia, pronto a costruire quotidianamente il suo essere.
"...C'è una vaga idea di Patrick Bateman, una sorta di astrazione. In realtà non sono io, ma una pura entità, qualcosa di illusorio. Anche se so mascherare la freddezza del mio sguardo, e tu puoi anche stringermi la mano e sentire la mia pelle a contatto con la tua, e persino arrivare a credere che i nostri stili di vita sono perfettamente comparabili... la verità è che io non sono lì..."
Patrick Bateman è bello, elegante, ha successo, vive in un lussuoso appartamento, ha una fidanzata petulante, Evelyn (Reese Witherspoon) e un'amante-amante-dei-tranquillanti (Samantha Mathis), incontra gli amici al circolo esclusivo e cena nei migliori locali di Manhattan.
Ma chi è veramente Patrick Bateman? E' un uomo che ha costruito una perfetta versione di sé, che tiene sotto controllo con la sua rigida routine, un uomo freddo come l'appartamento in cui vive, lussuoso ma sterile, con la predominanza del bianco, simbolo della purezza e dell'astrazione, costruendo un personaggio che rasenta la perfezione, quanto basta per affascinare i suoi amici superficiali quanto lui, nascondendo la propria natura e le proprie inclinazioni omicide.
"...Ho tutte le caratteristiche di un essere umano: carne, sangue, pelle e capelli. Ma non un solo, chiaro e identificabile sentimento, a parte l'avidità e il disgusto..."
Patrick Bateman di notte sveste di panni del "ragazzo della porta accanto" per diventare uno spietato omicida, gettando la maschera dell'ipocrisia, esprimendo il suo disgusto per una società fondata sul materialismo in cui sguazza alacremente, infierendo sulle donne che tratta come oggetti che solleticano il suo ego e la sua misoginia, come la sua segretaria Jean (Chloe Sevigny) cui consiglia di venire al lavoro con la gonna e i tacchi alti, ignorando Evelyn ascoltando musica e trattando l'amante come pure giocattolo sessuale.
Patrick Bateman uccide per "promuovere l'impegno sociale", ripulendo le strade malfamate di New York dal barbone che ha perso la casa e il lavoro, dalla prostituta che attende sul marciapiede il cliente di turno, riversando tutto il suo odio per se stesso, verso la società e per il ceto sociale a cui appartiene, arrivando anche a uccidere per avere il biglietto da visita migliore.
"...Guarda quella indefinita tonalità di bianco; la raffinata consistenza della carta... oh mio Dio, ha persino una filigrana..."
Mary Harron prende la materia letteraria di Brett Easton Ellis e se ne discosta, pur tenendo il fulcro della storia e del carattere di Patrick Bateman, creando una escalation di follia e disperazione, in un crescendo di odio verso sé stesso e tutto ciò che lo circonda, cercando di uccidere per alleviare quel senso di alienazione e solitudine che lo devasta, arrivando a una sua personale interpretazione del romanzo.
Se Ellis utilizzava la passione per la musica per creare dei capitoli "distensivi" tra un feroce omicidio e l'altro, Harron ne fa parte integrante, creando un momento di attesa, come se fosse un intro musicale per dare il via allo spettacolo della morte che attende le sue ignare vittime.
"...Secondo me il capolavoro in assoluto è "Hip to be Square", una canzone che ti prende talmente che la gente neanche ascolta le parole. Invece dovrebbero, perché non parla solo del piacere del conformismo, e dell'importanza del trend, è anche una personale dichiarazione di quello che la band vuole essere. Ehi, Paul!Ahhh! Prova a riservare un tavolo al Dorsia adesso, fottutissimo di un bastardo!..."
La differenza più eclatante Mary Harron l'attua sulla natura omicida di Patrick Bateman, sfrondando la materia violenta, il cuore pulsante del romanzo di Ellis: Harron decide di lasciare gli omicidi fuori scena, puntando più sulla follia interiore di Patrick Bateman, evitando di raccontare con dovizia di particolari i barbarici omicidi, lasciandoli intonsi nel libro di Brett Easton Ellis. 
E se i fan dello scrittore e i detrattori del film accusarono la regista di realizzare un'immagine un po' troppo fredda di un serial killer, in realtà la versione cinematografica di American Psycho sa cogliere meglio la vera natura psicopatica del personaggio e che paradossalmente comprendere meglio il finale del romanzo, un finale che lasciava il lettore spiazzato e basito.
..."Non ci sono più barriere da attraversare. Tutto ciò che ho in comune con l'incontrollabile e la follia, la depravazione e il male, tutte le mutilazioni che ho causato e la mia totale indifferenza verso di esse; tutto questo ora l'ho superato. La mia pena è costante e affilata, e io non spero per nessuno un mondo migliore, anzi voglio che la mia pena sia inflitta agli altri, voglio che nessuno possa sfuggire. Ma anche dopo aver ammesso questo non c'è catarsi: la mia punizione continua a eludermi, e io non giungo a una più profonda conoscenza di me stesso. Nessuna nuova conoscenza si può estrarre dalle mie parole. Questa confessione non ha nessun significato..."
E questa l'essenza che vuole cogliere Mary Harron, cercando di capire la personalità contorta e disturbata di un uomo che vive in una società vuota, priva di significato, cercando di cogliere un qualcosa, avvicinandosi con la macchina da presa al volto perfetto, abbronzato e levigato di Patrick Bateman, senza però riuscire a trovare nulla;  ma solo una totale indifferenza di un essere vivente che vive con il pilota automatico un preciso schema di vita, cercando disperatamente l'essenza del  male per dare un senso a quella finta, quanto inutile esistenza.
A dare vita al personaggio letterario è Christian Bale, in un ruolo scomodo (per l'epoca) che poteva stroncare la sua carriera, portandolo invece al successo.
Bale accetta la sfida e vince, dimostrando di avere quel non so che di Robert De Niro che lo porterà in meno di dieci anni alla conquista dell'Oscar. Con questo ruolo Christian Bale comincia a plasmare il suo corpo per meglio identificarsi con il personaggio, seguendo la stessa routine mattutina di Patrick Bateman, forgiando il suo fisico arrivando a diventare statuario e bello come un sex symbol, per avvicinarsi alla perfezione: bellezza fisica che distruggerà in film come L'uomo senza sonno, The Fighter e nel recente American Hustle, raggiungendo però una straordinaria qualità recitativa.
American Psycho a distanza di 14 anni riesce a dare una chiave di lettura sulla vacuità del genere umano impoverito dall'apparire, in una società che uccide l'anima delle persone. Come un serial killer.
Voto: 7,5
Hanno partecipato:
Buon CBD!
A.M.

GIOCO: Film vergogna



Ma quanto ci piace giocare a noi cineblogger! Dunque, ho iniziato io con il giochino dello sputtanamento con i "cadaveri eccellenti", ovvero i dieci film da vedere prima che si esauriscano i neuroni, e ora dall'ottimo blog Pensieri Cannibali esce una versione ancora più tosta e con uno sputtanamento ancora maggiore: I 10 film della vergogna. Ovvero quei film demmerda che per qualche oscuro motivo piacciono senza remore, ma per non rovinare l'allure da cinefilo impegnato fai finta di disprezzare e/o negare di averli visti. Siccome mi piace essere alternativa, l'ho scrivo a modo mio, con quel monnezza touch che non si smentisce mai. E parafrasando gli A-Ha e la sua Take on me, per l'occasione cantiamo in coro: Shame on me... Shame me on!
Per sapere dove tutto ebbe inizio, beccatevi il link: http://pensiericannibali.blogspot.com/film-vergogna

Filone shake your ass/sing a long:
Burlesque.
Oh, a me la parabola arrivistico/esistenziale di Christina Aguilera è piaciuta assai. Che poi sia una fotocopia de Le ragazze del Coyote Ugly non ci piove: Ali/Christina che arriva fresca fresca/babba babba dal paesotto ammegigano e approda nella metropoli, brutta/cattiva/bubù, e gli inizi ovviamente sono sconfortanti: le fottono pure i soldi che teneva nascosti nell'appartamento, che probabilmente è lo stesso bilocale dove avevano fottuto i soldi a Violet/Piper. Però il film mi piace anche perché c'è sua gommosità Cher, e Ali/Xtina ha pure un non so che di senso dell'umorismo e pelo sullo stomaco in più  di quella rincoglionita di Violet/Piper. E le coreografie e le canzoni sono veramente belle. Perché io tengo l'anima ballerina.
Save the Last Dance
Sarà che a me piace l'Hip Hop, ma a me non è dispiaciuta la parabola sfigata/esistenziale di Sarah, la protagonista che perde mammà e finisce controvoglia da papà, vedendo lontani i progetti di diventare una ballerina. Lei che vorrebbe diventare la nuova Carla Fracci, diventerà in un ipotetico seguito  una mamma di 4 figli sfatta, grassa e pure cornuta. Ma nel film è ancora una ciòfane di belle speranze, le coreografie sono belle e c'è pure l'aspetto impegnato con la "dura" vita gangsta, il "yes we can" (sicuramente Obama ha visto questo film prima della campagna elettorale del 2008) e una certa Kerry Washington agli esordi che con il suo ruolo di ragazza madre aveva anticipato di dieci anni il programma 16 pregnant di MTV.
The Bodiguard.
Cara Withney, pace all'anima tua, eri una grande cantante, ma che film demmerda che facevi. La cara Withney condusse una parabola canterina/cinematografica a dir poco schizofrenica: splendida dal punto di vista musicale, pessima dal punto di vista cinematografico. Oh, non ne imbroccava una al cinema. Però The Bodyguard mi era piaciuto. Sarà che da ragazzina ascoltavo in loop I'm Your Baby Tonight, che non mi ero lasciata scappare questa primizia capace di affossare la carriera di Kevin Costner alla velocità di una scorreggia. Che storia del cazzo, prevedibile e scontata. Però Withney aveva in ogni scena un'acconciatura diversa da far invidia alla mia Barbie che aveva sempre quei capelli biondi  un po' stopposi e Queen of The Night rimane pur sempre la mia canzone preferita, tanto che prima o poi finirò per vedere anche il musical. Magari è pure meglio del film originale!
Filone scambio au pair Meg Ryan/Tom Hanks:
City of Angels.
Meg Ryan è rimarrà per sempre la mitica Sally Albright di Harry ti presento Sally. La fidanzatina d'Ammeriga però qualche filmetto caccoso l'ha fatto e tra questi c'è City of Angels. Ancora non sono riuscita a vedere quella perla de Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, ma non so perché ho visto il remake.  Sarà stata colpa di Iris dei Goo Goo Dolls, non c'è dubbio. Sicuramente l'avrò visto verso la fine dell'adolescenza, anche perché ora che sono vècia, quando sono depressa mi basta ascoltare Lana Del Rey, mica vedere sta' stronzata. Il regista del "film" l'ho rimosso, ma ricordo benissimo che oltre a lei c'era un Nicolas Cage in odore di trashume che tanto basta per vergognarsi a vita. E poi scusate il francesismo, ma qui il personaggio di Meg Ryan muore proprio come una cogliona: già che c'eri potevi provare a fare l'angelo su un cornicione, almeno ti spiaccicavi con più classe. Cioè, ditemi chi è la testa di cazzo che prova a fare l'angelo chiudendo gli occhi mentre va in bici che gli stringo la mano. Se non si è spiaccicato contro un albero come la suddetta fidanzatina ammerigana.
C'è posta per te.
Meg Ryan torna in grande forma con C'è posta per te, che vorrebbe essere un remake di Scrivimi fermo posta di Ernst Lubitsh e inconsapevolmente finisce per fornire l'idea a quel programma demmerda della De Filippi, la reggina della fabbrica di mostri catodici. Dunque, fatemi capire: Meg Ryan interpreta una che lavora in una libreria ereditata da mammà e si innamora del tizio che non capisce un cazzo di letteratura, ma fa una fraccata di soldi con le sue catene di librerie e in più la fa fallire. E lei che fa? Al posto di spaccargli la faccia se lo bacia alla fine del film perché si scambia le e-mail un po' finto porche? Sì, è così. Però al di là delle canzoni jazzose alla Woody Allen, il tono zuccherino (ma dove le trovi le farfalle in metropolitana? A me sono capitati i sorci, che cazzo di sfigata che sono!) e al di là del fatto che la Ephron modelli le nevrosi della mitica Sally Albright su questa little shop girl, è pur sempre una commedia che trasuda amore per NY, ha un buon ritmo e poi Tom Hanks era ancora magro.
Forrest Gump.
Ed ecco che Tom Hanks torna alla carica con il film più paraculo del secolo: Forrest Gump. Questo film andrebbe messo al rogo. Primo perché ha fottuto l'Oscar a Pulp Fiction, secondo perché una volta ho letto un articolo su non so quale accostamento tra Jean Seberg, Le Pantere Nere e il fatto che Forrest Gump si scagli contro la filosofia Hippie punendo il personaggio fuori dagli schemi di Jenny e glorificando la normalità di  Forrest Gump. Qualche punticino in meno del QI sto cazzo. Però la prima (e ultima) volta che vidi Forrest Gump, mi piacque. Pur essendo consapevole di essere stata presa per il culo, arruffianata e compiaciuta. A mai più Forrest. Corri Forrest, corri. Corri affanculo Forrest...!
Filone perché se lei ha il culo grosso e ha successo, allora valgo pure io:
Quel mostro di suocera.
Ebbene sì, J-lo strikes again! Mah, qualche film decente l'ha fatto, ha lavorato con Oliver Stone, Francis Ford Coppola e Bob Rafelson. Poi ha deciso di fare quattrini facendosi tirare i capelli dalla L'Oreal per dimostrare che sono forti grazie allo shampoo con la formula X3 e soprattutto si è specializzata in film demmerda. Tra questi figura Quel mostro di suocera, che segna il ritorno sul grande schermo di Jane Fonda. Se doveva fare questo film del cazzo, poteva anche starsene a casa. Però mi piace solo perché corca di schiaffi J-Lo. Ma per vedere questa succosa scena devi pagare pegno e vedere quasi tutto il film. Però le da' proprio due belle pappine. Però potevano mettere le onomatopee "Pow! Pam!" come nella serie TV di Batman, sarebbe stato ancora più divertente. Però il fatto che le gonfia la faccia come il suo culone basta la visione. Perché cara Jenny, lei si fa tirare la pelle con la crema ProCalcium  della L'Oreal e vale pure lei, capito?
Filone Oh, mi piacciono le commedie romanticose, vuoi botte?!:
Come farsi lasciare in 10 giorni.
Io una volta ci ho impiegato 9 giorni. Ho vinto io, tiè. Cioè erano tempi in cui se leggevi Cosmopolitan eri una ragazza Cosmo, ma se non lo leggevi eri una ragazza di buon senso. E questo tipo di film rispecchia alla grande la filosofia Cosmo. Dunque, fatemi capire, nel film il personaggio di Kate Hudson viene pagata fraccate di dollari per dire alle ragazze ammerigane alla perenne ricerca di un cervello da intonare con la borsa cosa devono fare per blablabla e sti cazzi; vestendosi tra l'altro meglio della redattrice di moda, lavorando tra l'altro in un giornale dove tra un po' si fanno le treccine invece di un brainstorming (anche perché sono impegnate anche loro a cercare un cervello che si abbini alle scarpe) e ha una missione: deve dire alle ragazze come farsi lasciare in 10 giorni. E in questo caso  ci prova con Matthew McConaughey. In pieno figume, il ragazzuolo a sua volta  viene pagato fraccate di dollari per lavorare in un'agenzia di advertising (e mica si poteva far scaricare in 10 giorni da uno scaricatore di porto, no?), dove non fa un cazzo tutto il giorno e ha un ufficio/bordello/bisca/cazzeggio. Sì, il succo del film è questo. Però mi diverte, anche perché mi ricordano le commedie anni Trenta, con le baruffe lui/lei. Che George Cukor mi fulmini!
Filone me lo vedo solo perché me lo vorrei fare:
Shaft 2000.
Memore della visione di American Psycho, ormai in ormonella per Christian Bale bisogna vedere tutti i suoi film. Anche quelli brutti. E Shaft 2000 è uno di questi. Che più che brutto è inutile. No, è anche brutto. Però mi era piaciuto. O forse mi era piaciuto solo quel gran fico di Bale. Non so perché, ma il film è pure nella mia tesi di laurea. Ah, già perché l'ho fatto sulla Blaxploitation e Shaft 2000 è  un remake del mitico Shaft e mi toccava. Ma si poteva anche evitare. Christian Bale  però aveva ancora quel fisicaccio da urlo, faceva il verso al suo Patrick Bateman, ma al di là del fatto che in questo film era sempre vestito,  alla fine mi era piaciuto perché il Christian Bale di una quindicina di anni fa me lo sarei fatto più che volentieri! Poi una decina di anni dopo è arrivato Shame e la mazza di Michael Fassbender, e una botta adesso la si vorrebbe dare a lui...
Filone e qui lo dico e qui lo nego:
Titanic.
E qui mi cospargo il capo di cenere e finisco in bellezza con Titanic. Avere 17  e  dover sopportare le tue compagnucce che sbavano per DiCaprio sul Titanic. Film evitato come la peste bubbonica per anni, le mie compagnucce del liceo sbavavano per Leo per questo film girato daddìo ma con dei contenuti da Harmony che escimene dal culo. Ahahahah, me le immagino le mie ex compagnucce sedute al cinema a vedere basite il fascinoso "Lìo" con una candela infilata nel culo da una dominatrix in The Wolf of the Wall Street, very romantic, ahahahah.  Però alla fine dopo tanto ostracismo manco fosse stato il Maccartismo, finita la caccia alle streghe ho ceduto e l'ho visto alla tivvù, con il mio babbo che mi cambiava canale durante l'infinita pubblicità per vedere Zelig. Sta' a vedere che mi era piaciuto Zelig e non Titanic. Che poi, con la versione di Puttanic, non ce la posso fare, ormai è praticamente impossibile rivedere quel romanticone di "Lìo" mentre urla  "sono il re del mondo" finisco sempre per equivocarlo con "sono il coglione del mondooooo".

E voi, quali film demmerda vi piacciono?

lunedì 27 gennaio 2014

SPOT REVIEW: Guilty by Gucci


In una città  dallo stile futurista, una donna misteriosa (Evan Rachel Wood) percorre un ponte quasi sospeso nel nulla con il suo bolide. Improvvisamente frena lasciando una scia di fuoco, scende e prende tra le mani un ciondolo con due "G" incrociate e un fulmine .
Tenendolo in mano ne sente il profumo, chiude gli occhi e si lascia trasportare dai ricordi: immagini di un uomo affascinante (Chris Evans) le riafforano in mente, il momento esatto in cui i loro sguardi s'incrociano, la passione che esplode travolgendoli in una notte d'amore. Entrambi hanno il ciondolo con le due "G" incrociate, come se due anime gemelle si fossero incontrate per un istante nelle loro esistenze.
Una fragranza, un ricordo. L'emozione è momento fuggevole, ma intenso, come una nuvola di profumo che avvolge l'aria per poi scomparire. Guilty by Gucci è il nuovo profumo della maison italiana e per promuoverlo è stato creato uno spot pubblicitario di qualità, quasi un cortometraggio. La regia è affidata a Frank Miller, autore di Sin City e The Spirit, interpretato da Evan Rachel Wood (Acrosse The Universe) e Chris Evans (I fantastici 4).
La colonna sonora invece è dei Friendly Fires, che propongono una cover di Strange Love dei Depeche Mode. Miller trasfigura il suo universo dark-pop per creare una storia dal sapore noir, incentrato su una dark-lady affascinante dalle movenze di una pin-up, sicura di sè e consapevole del proprio sex-appeal. E Guilty by Gucci è stato ideato proprio per una donna che decisa, affascinante e sensuale.

domenica 26 gennaio 2014

GOODBYE: Addio a Carlo Mazzacurati

 
 
Il regista Carlo Mazzacurati è venuto a mancare dopo una lunga malattia. Aveva 57 anni.
Fu il regista che meglio colse la società italiana del Nord-Est, raccontando la provincia che tanto amava, fatta di vita semplice, lontana dalle metropoli.
Esordì nel 1979 con Vagabondi, ma non riuscì a trovare una distribuzione. Andò meglio con l'appoggio di Nanni Moretti che in veste di produttore con la sua Sacher Film produsse Notte italiana, diretto nel 1987.
Nel 1989 diresse Il prete bello, mentre nel 1992 iniziò la collaborazione con Silvio Orlando in Un'altra vita, storia di un uomo benestante che conosce una ragazza della periferia di Roma, entrando in contatto con la povertà e la violenza nascosta nella capitale.
Nel 1994 vinse il Leone d'argento alla Mostra cinematografica di Venezia con il Toro, storia di due allevatori in cerca di riscatto nel tentativo di vendere un toro in ex Jugoslavia, creando un'aspra critica sul consumismo e lo sfruttamento della miseria altrui. Sogni infranti per una giovane dell'Est in Vesna va veloce (1996) con Antonio Albanese. Mentre si assiste a un cambio di registro con la commedia La lingua del santo (1999) con Fabrizio Bentivoglio e Antonio Albanese.
Nel 2002 è la volta di A cavallo della tigre, remake di un film di Comencini, mentre nel 2004 aveva diretto L'amore ritrovato, storia di un amore mai sopito durante gli anni Trenta (protagonisti Maya Sansa e Stefano Accorsi), puntando sulla nostalgia della vita di provincia non ancora sconvolta dalla guerra.
Nel 2007 aveva ripreso il discorso della provincia con il suo malessere sociale in La giusta distanza.
Nel 2010 torna a lavorare con Silvio Orlando nella commedia La passione, storia tragicomica di un regista cinquantenne in crisi che si trova suo malgrado a dirigere la Passione di Gesù in un paesino di provincia.
Uscirà postumo La sedia della felicità, storia di una donna in cerca di riscatto dopo un periodo poco felice della sua vita.
I "perdenti" hanno perso il suo cantore.

giovedì 23 gennaio 2014

MARTIN SCORSESE DAY: Toro scatenato

In occasione dell'uscita italiana di The Wolf of Wall Street, La Godfellas bloggers dedica un insolito day a un grande regista che ha sfornato capolavori come Taxi Driver, Fuori Orario, Quei bravi ragazzi e continua ancora a sfornare grandi perle di cinema. Per l'occasione Director's cult sceglie Toro Scatenato, con un grande Robert De Niro giustamente premiato con l'Oscar.


Buon Martin Scorsese Day!







Titolo: Toro Scatenato
Titolo originale: Raging Bull
USA, 1980
Cast: Robert DeNiro, Joe Pesci, Cathy Moriarty.
Sceneggiatura: Paul Schrader, Mardik Martin.
Regia: Martin Scorsese
Durata: 123'


La parabola sportiva ed esistenziale di Jack LaMotta (Robert De Niro), campione dei pesi medi nel 1949.
Martin Scorsese ama il cinema. Grande conoscitore della settima arte, ha "mangiato" pane e cinema fin da ragazzino, assimilandolo e facendolo suo.  E si vede.
Girato in un perfetto bianco e nero, Toro scatenato ha un sapore anni Cinquanta, che strizza l'occhio al Rocky Marciano interpretato da Paul Newman in Lassù qualcuno mi ama, mixato però con il suo stile che abbraccia New York, la famiglia e quel non so che di gang/vita del Bronx che aleggia in tutti i suoi film.
Vita di strada, vita violenta, sia sul ring che fuori. Se in Mean Streets la domenica si andava in chiesa e il lunedì si andava all'inferno (come recita il titolo in italiano), in Toro scatenato la furia si abbatte sul ring, ma anche nella vita privata, scoppiando in risse, litigi, botte, come se fosse un eterno match.
Jake LaMotta quando sale su un ring è il "toro del Bronx", che accecato dalla rabbia si avventa sull'avversario come farebbe un toro in un'arena contro il matador durante una corrida. Jake LaMotta cerca fa emergere il suo doloroso stato esistenziale, furente e folle attraverso sopracciglia spaccate, occhi pesti, sangue che esce dal naso, in nome della distruzione fisica.
La sua vita è in costante resistenza contro il k.o. tecnico, in perenne ricerca di un avversario con cui scontrarsi. Una furia sul ring, una furia nel privato: come un tornado spazza via ogni frammento di serenità familiare che travolge la prima moglie, che tratta come una serva, donna che non si fa mettere i piedi in testa anche se viene bistrattata continuamente, cercando a tutti costi uno scontro.
Con il fratello Joey (Joe Pesci) non ha un rapporto facile: è il suo allenatore e manager, cerca di farlo ragionare e di indirizzarlo verso una carriera migliore, cercando però di fargli fare delle scelte poco pulite pur di farlo arrivare al successo, e quando cederà, porterà il rimpianto di quella scelta per sempre.
La seconda moglie Vickie (Cathy Moriarty), conosciuta in una piscina pubblica, bella come una pin up, inizialmente gli regala un po' di serenità affettiva, ma a lungo andare anche lei finisce vittima della sua gelosia che rasenta la paranoia.
Con l'efficace montaggio di Thelma Schoonmaker (storica collaboratrice di tutti i film del regista) Scorsese prende ispirazione da Quarto Potere di Orson Welles (con la famosa scena della crisi matrimoniale tra Charles Foster Kane e la moglie seduti a tavola durante le varie colazioni), creando l'escamotage dei filmini amatoriali per mostrare l'ascesa nel mondo della box fatto di vittorie, la sua vita privata, dal matrimonio suo con Vickie, a quello del fratello, l'acquisto di una nuova casa e la ricchezza grazie ai successi professionali.
Jake il toro però non ascolta  nessuno, cerca di distruggere tutto ciò che ha, come una sorta di Re Mida trasforma in cenere tutto ciò che tocca.
Fa di testa sua e non riesce a ottenere l'incontro giusto per vincere il titolo mondiale. Perché Jake LaMotta non scende a compromessi e i consigli di Joey e dei "godfellas" che bazzicano nel giro della boxe li ignora sistematicamente. Accetta ma se ne pente, e qui inizia la sua discesa negli inferi, infierendo sul suo corpo, massacrato mangiando panini e mettendo  libbre su libbre che destabilizzano la sua forma atletica.
Così come non comprende l'esasperazione di Vickie, vessata, spiata, accusata di essere fedifraga, finendo per distruggere il matrimonio, e la sua furia ceca porta a rovinare anche il suo rapporto con Joey.
Ma Jake LaMotta non è un animale, è un uomo che ha imparato l'arte della sopravvivenza, dove la sua unica difesa è schivare i colpi della vita, cercando di prenderla a pugni senza pietà. E anche se viene sconfitto, come un toro infilzato dalle spade durante la corrida, Jake LaMotta sopravvive alla solitudine, ai fasti perduti, si reinventa, cade ancora per poi rialzarsi.
Anche se la vita del pugile Jake LaMotta mostra qualche inesattezza che potrebbe far storcere il naso ai fan dell'atleta, in realtà ciò importa relativamente, perché lo scopo di Martin Scorsese non è tanto fare una semplice biografia, ma è raccontare l'epopea sportiva e personale di un grande sconfitto che non è stato capace di apprezzare ciò che aveva di bello (la famiglia, la carriera), la cui anima arde di una rabbia infinita. Jake LaMotta è un grande sconfitto, un po' come pensava di esserlo Martin Scorsese, dopo il flop di New York New York insieme ai suoi problemi personali.
E invece Martin Scorsese crea un film stilisticamente perfetto, dalla fotografia di Michael Chapman che restituisce lo spirito delle pellicole della Hollywood dei tempi d'oro, al  montaggio di Thelma Schoonmaker, giustamente premiata con L'Oscar, che conferisce quel ritmo e quella dinamicità che ormai sono il marchio di fabbrica del regista italoamericano. E poi abbiamo un tris di attori strepitosi: Robert De Niro che plasma il suo corpo per la sua performance da Oscar, mentre Joe Pesci e Cathy Moriarthy sono degli ottimi antagonisti.
Toro scatenato è a distanza di 34 anni un grande film sulla box, che appassiona non solo i fan del vero Jake LaMotta, ma che emoziona anche lo spettatore meno avvezzo a questo sport, pronto a farsi stendere da un knock out.

martedì 21 gennaio 2014

MONNEZZA MOVIE: The Tourist

 
 
 
 
 
Titolo: The Tourist
Id., USA/Francia
Cast: Johnny Depp, Angelina Jolie, Paul Bettany, Timothy Dalton, Christian De Sica.
Sceneggiatura: Julian Fellowes, Christopher Mc Quarrie
Regia: Florian Henkel Von Donnesmark
Durata: 105'

Angelina Jolie viene spiata. Ma lei è una vecchia volpona e col cazzo che si fa sgamare mentre cucina le ortiche ai suoi bambini provenienti da tremila posti del mondo. Così finge di essere un'agente segreto, scappa a Venezia e prepara un'esclusiva fuffa per Alfonso Signorini sul matrimonio con Brad Pitt,  che non avverrà, perché vuole ancora prendere per il culo Jennifer Aniston dopo averle pappato il marito. Sul treno incontra Johnnie Depp, che ha appena cornificato Vanessa Paradis con quella mezza sciacquetta di Amber Heard. E per non farsi sgamare da Silvia Toffanin e finire ospite a Verissimo, si finge un professore di matematica del Wisconsin.
Quando il gatto Brad non c'è la topa Angie balla e ci prova con Deep. Lui ci sta e pensa di farla franca,  ma Amber gli sguinzaglia una gang di russi incazzati, un boss inglese, la pula internazionale e pure Nino Frassica che gli urla "Cornuto! Cornuto!" E la peppa Amber, che esagerata che sei!
A parte che la cornuta saresti tu, approfittane per farti una sveltina con Brad, no? Vabbè che non si lava, ma ha fatto progressi dopo la pubblicità di Chanel, ora nasconde l'olezzo con 4 goccine di profumo come faceva Marilyn!
Frank/Johnnie finisce nei cazzi e scappa, e viene aiutato da Angelina/Elise che conciata come la Carol Alt dei tempi d'oro riesce a salvarlo tra una posa plastica, stiletto 12, un vestito griffato che pare la sciura dei Ferrero Rocher e uno smokey eyes che rimane inalterato tra i sudori freddi della fuga, grazie al primer che le ha consigliato Clio Make up.
Ma Frank/Johnnie viene beccato dalla Interpol e finisce in questura dove Christian De Sica appare convinto di prendere parte a Vacanze di Natale a Venezia, e lo accusa di non aver pagato il canone RAI. Minchia, a saperlo Johnnie/Frank non guardava la tivvù e faceva festini con mignottume ogni sera!
Ma i guai non sono finiti per Johnnie si che si finge Frank che viene scambiato per Silvio Berlusconi che ha un conto alle Cayman sotto il nome di Alexander Pierce, reo di aver frodato il fisco, e si è fatto pure la chirurgia plastica assomigliando a Matteo Renzi che si è travestito da Johnnie Depp che fa il professore di matematica e cerca di sbattersi la Jolie che si è travestita da madama Rocher che fa la spia, che in realtà è un agente segreto, ma che in realtà fa finta di fare l'attrice e fa credere di saper recitare saltellando come una cretina nei film d'azione anche fasciata in abiti Dior. Chiaro l'intreccio noir, no?
Johnny/Frank/e tutti gli altri nomi chiama la Casa Bianca dalla questura fingendosi il fratello di Obama, ma non viene creduto, così finisce in gattabuia. Ma Christian De Sica lo salva e chiama pure Angelina Jolie, in ritardo perché da brava donna action qual è doveva farsi la messa in piega-che-non-fa-una-piega e per festeggiare lo porta ad Arcore per una festa. Per non farsi sgamare ancora dalla pula si travestono da suore, dove devono fare la lap dance per il vero Alexander Pierce che in realtà non è lui, ma è lui. Chiarissimo.
Se prima non si capiva na' ceppa, ora vogliamo indietro i soldi del biglietto e li spendiamo in ganja di prima scelta, almeno sono soldi spesi bene!
Alla fine Johnnie/Frank/etc. paga i canoni arretrati e decide che vedrà solo per un mese aggratis Netflix, e alla scadenza si cancellerà per non pagare niente, scaricando direttamente le serie tivvù da Torrent, perché ormai Emule non è più affidabile come una volta.
The Tourist è un film che ha una trama che non si capisce un cazzo e potrebbe essere una storia qualsiasi  perché tanto non frega un cazzo a nessuno, nemmeno a chi l'ha scritto, chi l'ha interpretato e chi l'ha diretto. 
Con il gioco della pagliuzza più corta, la patata bollente è stata affidata a Florian Henckel-Donnersmarck, l'irriconoscibile regista de Le vite degli altri, ennesimo esempio di come Hollywood prende i registi europei per sputtanargli la carriera (l'esempio più illustre è Lee Tamahori). Infatti dopo questa ciofeca demmerda non sta girando più, chissà come mai.
The Tourist secondo le intenzioni dovrebbe essere una spy story, con una coppia glamour composta dall'imbalsamata Angelina Jolie più cagnesca che mai e uno scazzatissimo Johnny Deep (nella locandina si chiede "che cazzo ci faccio qui, mi avevano detto che c'erano i pirati, dove sono?!"), mescolando le insipide pietanze con una punta di commedia, un pochino ma proprio un pizzico di azione sennò ci sale la pressione (se non ci viene un ictus per come ci uccide i neuroni), un po' di romanticismo e un po' di quel cazzo che je pare.
Scritto dalla coppia Julian Fellowes e Christopher McQuarrie sotto le pasticche di Walter Withe di Breaking Bad, creano una merdazza di sceneggiatura così mal cacata che dovrebbero restituire i rispettivi Oscar guadagnati con film degni di essere definiti tali.
The Tourist è come un regalo urendo nascosto dentro una carta raffinata, ti aspetti chissà cosa e poi, quando lo apri, scopri che è una fezza oscena. E devi anche far finta che ti piace.
Così è The Tourist: una bella confezioncina per un film che non  ha né capo, né coda, né azione, né romanticismo, né una coppia glamour, né una spy story, un cazzo di niente. Insomma, una inutile cacata di film.
 
Voto: 4
 
A.M.
 
 

lunedì 20 gennaio 2014

RECENSIONE: The Wolf of Wall Street




Titolo: The Wolf of Wall Street
USA, 2013
Cast: Leonardo DiCaprio, Jonah Hill, Margot Robbie.
Sceneggiatura: Terence Winter
Regia: Martin Scorsese.
Durata: 179'


La vera storia di Jordan Belfort (Leonardo DiCaprio) "lupo" di Wall Street che si è creato una fortuna ai danni dei risparmiatori americani.
C'è una sorta di aspra critica e fascinazione allo stesso tempo del capitalismo made in USA. Gli anni Ottanta hanno segnato la fine dell'epoca hippy, dove il peace and love è stato sostituito dal greed and money.
Se quel periodo segnato dal dio Denaro è stato condannato da Oliver Stone, che in Wall Street ritraeva una feroce immagine del dorato e intossicato mondo dei broker americani,  e  con American Psycho di Mary Harron si aveva un'idea dello spirito perverso, vanesio e superficiale degli yuppie in quel di New York con Patrick Bateman,  ora tocca a Martin Scorsese con The Wolf of Wall Street.
E Scorsese racconta di come quei favolosi anni siano stati veramente favolosi per il broker Jordan Belfor,t lupo di Wall Street che ha annegato la sua meglio gioventù con orgoglio tra i fiumi della cocaina, dello sciacallaggio economico, le prostitute, due mogli e tanti, tanti party depravati. Perché Jordan Belfort si diverte. E anche parecchio.
Ma chi è Jordan Belfort? E' un novellino sposato con la giovane Teresa,  che arriva a Wall Street con l'autobus in cerca di successo. Il ragazzo è un po' ingenuo, ma è sveglio, intelligente e viene preso sotto la guida di  Mark Hannah (uno strepitoso cameo di Matthew McConaughey) che gli insegna i 3 step fondamentali per sfondare a Wall Street: 1) fare soldi 2) farsi di cocaina 3) farsi le seghe due volte al giorno.
Jordan non se lo fa ripetere due volte e coglie al volo gli insegnamenti: in poco tempo, dopo le prime difficoltà, da bravo self made man qual è (e qui lo zio Sam sarebbe stato fiero di lui) sa come vendere un prodotto e crea dal nulla la Stratford Oak.
La sua bravura lo fa diventare il re di un impero economico che gli regala tutto ciò che lo stereotipo dello yuppie gli concede: auto di lusso, una barca, una villa con piscina, prostitute, cocaina e soprattutto tanti, tanti soldi.
E le donne fanno parte del pacchetto, nude, perfettamente depilate, dominatrici, funzione di sollazzo o semplici oggetto da arredamento. Non si sa perché, ma nella società americana a quanto pare il femminismo  decantato nel famoso '68 da Kate Millet dove si urlava ai quattro venti che "l'utero è mio e me lo gestisco io", 20 anni dopo sia andato a farsi benedire e queste donzelle l'utero se lo fanno gestire da questi maschioni strafatti di Wall Street.
Tutto fa parte dei giochi dei cliché dello yuppismo americano, che nelle mani di Scorsese non è tanto una glorificazione della mercificazione femminile, quanto la disponibilità da parte del corpo femminile di vendersi al migliore offerente per avere una vita favolosa in nome di Gucci, Louis Vuitton, Cartier e magari uno yacth con il proprio nome, come accade a Naomi (Margot Robbie) bionda con il corpo da modella e seconda moglie di Belfort che assapora l'ascesa e caduta della sua dolce metà. E soprattutto è complice della sua vita in nome degli eccessi con la convinzione che tutto gli è dovuto perché ha i soldi.
E qui Martin Scorsese a sua volta non compie una celebrazione di un uomo che si venderebbe anche sua madre per sniffarsi una striscia di cocaina con una banconota da un dollaro, ma si diverte un mondo a enfatizzare l'assurda parabola esistenziale di un giovane che a 23 anni aveva già un fottuto impero economico e si voleva solo divertire. E noi ci divertiamo con lui.
E allora entriamo nella sua "tana", fatto di fidati collaboratori tra cui Donnie (Jonah Hill) uomo dalla famiglia incestuosa, Brad (John Berthnal), che sembra uscito fresco fresco dalla galera e  Nicky (P.J. Byrne) che non si capisce se i suoi capelli siano veri o no come (la fuffa) i sogni di gloria e denaro che vendono a clienti ingenui, allettati dal signor benessere economico.
Nell'universo di Belfort tutto è una festa, un carosello caotico dove la libertà sessuale è ben accetta (e qui l'allievo supera il maestro: dalle due seghe al giorno si passa direttamente alle scopate), tutto è una festa fatta di uomini strafatti e donne nude che suonano la banda; per poi "uscire" la sera con lui per farci un giro in limousine e magari fare una sniffata sul seno della escort di turno. Perché la regola numero 4 è: mai essere sobri.
Belfort crea dal nulla una novella Babilonia nel cuore del capitalismo americano, dove tutto è possibile e (il)lecito.
Scorsese ritrae Jordan Belfort come un (truffatore) motivatore con tanto di microfono degno di uno dei migliori presentatori di televendite miete un successo uno dietro l'altro, dove si può ottenere tutto a suon di dollari, anche comprare anche un posto in Paradiso.
Ma si sa che la felicità non può durare in eterno, ed ecco che entra in scena l'FBI con Patrick Dehnam (Kyle Chandler) che cerca di rovinargli la festa per incastrarlo, intaccando il suo dorato e allucinogeno mondo.
E più il nostro antieroe ha le sue disavventure con la giustizia, più Scorsese si diverte a mostrare fino a che punto un uomo arrivi a ridicolizzarsi pur di salvare la propria montagna di soldi, rimanendo per molto tempo impunito, sbattendo con strafottenza il suo successo a un agente federale che serve il governo americano e viene ringraziato con uno stipendio medio e il ritorno a casa in metropolitana. E anche se  Patrick riesce a incastrarlo, il lupo perde il pelo ma non il vizio, rinascendo dalla polvere di cocaina dalle ceneri come l'Araba Fenice.
Martin Scorsese con The Wolf of Wall Street rispolvera alla grande lo stile assurdo e divertente di After Hours (Fuori Orario) e crea un gioiellino di sagace critica di un decennio a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta dove il capitalismo americano era in mano a gente semplicemente fuori di testa.
E più Jordan Belfort è nei guai, più lo spettatore si diverte nel rendersi partecipe dell'assurdità della vita di questo broker che si è scialato un mondo durante la sua giovinezza.
E ci regala 4 momenti di culto: 1) il mantra di  Mark Hannah 2) la "candid camera" ai danni della moglie Naomi ripresa e ridicolizzata mentre lo seduce senza le mutandine 3) Jordan strafatto di pasticche che mezzo paralizzato dalla droga riesce a tornare a casa sfasciando la Ferrari 4)la tempesta dove non deve morire assolutamente sobrio, viene salvato e fa un festino con l'allegra banda con tanto di Gloria di Umberto Tozzi come colonna sonora per celebrare l'avvenimento.
Martin Scorsese con bravura e maestria rende bene con l'aiuto dei rallenty la realtà distorta e dilatata sotto l'effetto degli stupefacenti, dirigendo il suo folle circo composto dal delirante e demenziale team di Belfort come una coreografia, creando ritmo e dinamicità tale da far rimanere inchiodato lo spettatore per 179, grazie anche a una eccellente (come sempre) colonna sonora più "moderna" che comprende canzoni di Kanye West e Foo Fighter'.
E poi abbiamo il lupo incarnato da Leonardo DiCaprio, che presta il suo corpo (letteralmente) per un tour de force dove sfoggia perfette doti da commediante, con il ruolo di una vita che dovrebbe assicurargli la statuetta dorata tanto agognata ma mai conquistata. Jonah Hill (anche lui nominato agli Oscar) è una spalla comica perfetta, complice di momenti sballati capace però di essere un perfetto Giuda traditore. Nel cast c'è anche Jean Dujardin che con questo ruolo riprende un posto a Hollywood dopo l'Oscar vinto con The Artist, e brava anche Margot Robbie, che non è solo una bionda svampita.
The Wolf of Wall Street è una commedia arguta e intelligente che non si prende sul serio pur raccontando la veria storia del famoso broker, sputtanando sbeffeggiando i favolosi anni Ottanta e i piccoli mostri che gli Stati Uniti d'America hanno creato.

Voto: 8,5
 

sabato 18 gennaio 2014

FILMOGRAFIA: Valentina Cervi






NOME: Valentina Cervi
DATA DI NASCITA: 13/04/1976
LUOGO DI NASCITA: Roma
PROFESSIONE: Attrice








ATTRICE:

(2013) Mi rifaccio vivo - Amanda
(2008) Il resto della notte -
(2008) Miracolo a Sant'Anna -
(2005) Gilgamesh - Nahrain
(2005) Mundo civilizado - Francesca
(2005) Provincia meccanica - Silvia
(2004) Tempesta - Dina Gusmano
(2004) Le valige di Tulse Luper - La storia di Moab (Parte 3) - Cissie Colpitts
(2003) Le valige di Tulse Luper - La storia di Moab (Parte 2) - Cissie Colpitts
(2003) Le valige di Tulse Luper - La storia di Moab (Parte 1) - Cissie Colpitts
(2003) Sansa - Valentina
(2003) Passato prossimo - Carola
(2002) L'anima gemella - Teresa
(2001) Hotel - Cameriera dell'hotel
(2001) James Dean (Film TV) - Pier Angeli
(2000) Quando si chiudono gli occhi - Lisa
(1999) La via degli angeli - Ines
(1999) Branchie - Livia
(1999) Rien sur Robert - Aurelie Coquille
(1999) Five seconds to spare
(1998) Figli di Annibale - Rita
(1997) Artemisia - passione estrema - Artemisia Gentileschi
(1996) Ritratto di signora - Pansy Osmond
(1996) Escoriandoli - Sabrina
(1994) Oasi - Claudia
(1988) Mignon è partita
(1986) Portami la luna (Film TV)

venerdì 17 gennaio 2014

NEWS: Nomination Oscar 2014

 
E dopo i Golden Globes non potevano mancare le nomination agli Oscar, presentati quest'anno da Ellen Degeneris.
I migliori film dell'anno sono: American Hustle, Gravity, 12 anni schiavo, Captain Philips, Dallas Buyer's Club, Her, The Wolf of the Wall Street, Nebraska e Philomena.
La parte da leone con ben 10 nomination Gravity (tra cui miglior regia ad Alfonso Cuaròn) e  American Hustle, tra cui miglior regia a David O' Russell, film, e attori (Christian Bale e Amy Adams protagonisti, Jennifer Lawrence e Bradley Cooper non protagonisti), proprio come ne Il lato positivo.
9 nomination a 12 schiavo, film, miglior regia a Steve McQueen, attori (Chiwetel Ejofor miglior protagonista, non protagonisti Michael Fassbender e Lupita Nyong'o).
The Wolf of the Wall Street si aggiudica la nomination come miglior film, regia a Martin Scorsese, miglior attore (Leonardo DiCaprio, sarà la volta buona?) e non protagonista (Jonah Hill).
Doppiette di attore: il duo di Dallas Buyer's Club viene confermato, e Mattew McConaughey (miglior attore) e Jared Leto (in lizza come miglior attore protagonista), mentre Nebraska schiera Bruce Dern (miglior attore) e Jane Squibb (non protagonista).
Blue Jasmine si guadagna il duo miglior attrice (Cate Blanchett) e non protagonista (Sally Hawkins), mentre August: Osange County vede in nomination la ormai onnipresente Meryl Streep (ma istituirle un premio non si fa prima?) e Julia Roberts come non protagonista.
 La vita di Adèle per problemi di regolamento viene escluso come miglior film straniero, spianando la strada a La grande bellezza di Paolo Sorrentino.
Cate Blanchett dovrà vedersela contro Sandra Bullock (Gravity), Judy Dench (Philomena), Meryl Streep (August: Osage County) e Amy Adams.
Grandi esclusi: Oscar Isaac e Inside Llewyn Davis tra le nomination più importanti, e Daniel Bruhl per la sua interpretazione in Rush e Robert Redford per All is Lost.
 
Le nomination:
 
MIGLIOR FILM.
12 anni schiavo, Gravity, American Hustle, Captain Phillips, The Wolf of Wall Street, Nebraska, Dallas Buyers Club, Her e Philomena.

MIGLIOR REGIA.
Alfonso Cuaron (Gravity), Steve McQueen (12 anni schiavo), David O. Russell (American Hustle), Martin Scorsese (The Wolf of Wall Street), Alexander Payne (Nebraska).

MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA.
Matthew McConaughey, Chiwetel Ejiofor, Leonardo DiCaprio, Bruce Dern, Christian Bale.

MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA. 
Cate Blanchett, Judi Dench, Sandra Bullock, Amy Adams, Meryl Streep.

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA.
Jared Leto, Michael Fassbender, Bradley Cooper, Barkhad Abdi, Jonah Hill.

MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA.
Sally Hawkins, Jennifer Lawrence, Lupita Nyongo, Julia Roberts, June Squibb.

MIGLIOR FILM IN LINGUA STRANIERA.
La grande bellezza di Paolo Sorrentino, Alabama Monroe - Una storia d'amore (The Broken Circle Breakdown) di Felix Van Groeningen, Il sospetto (The Hunt) di Thomas Vinterberg, L'image manquante (The Missing Picture) di Rithy Panh, Omar di Hany Abu-Assad.

MIGLIORE SCENEGGIATURA NON ORIGINALE.
12 anni schiavo, The Wolf of Wall Street, Before Midnight, Captain Phillips, Philomena.

MIGLIOR FILM D'ANIMAZIONE.
Frozen, The Croods, The Wind Rises, Despicable Me 2, Ernest & Celestine.

MIGLIORE COLONNA SONORA ORIGINALE.
John Williams per The Book Thief, Steven Price per Gravity, William Butler e Owen Pallett per Her, Alexandre Desplat per Philomena, Thomas Newman per Saving Mr. Banks.

MIGLIOR MIXAGGIO SONORO.
Captain Phillips, Gravity, Lo Hobbit: la desolazione di Smaug, A proposito di Davis, Lone Survivor.

MIGLIOR MONTAGGIO SONORO.
All is lost, Captain Phillips, Gravity, Lo Hobbit:la desolazione di Smaug, Lone Survivor.

MIGLIOR FOTOGRAFIA.
The Grandmaster (Philippe Le Sourd), Gravity (Emmanuel Lubetzki), Inside Llewyn Davis (Bruno Delbonnel), Nebraska (Phedon Papamichael), Prisoners (Roger A. Deakins)

MIGLIOR DOCUMENTARIO CORTOMETRAGGIO.
CaveDigger di Jeffrey Karoff, Facing Fear di Jason Cohen, Karama Has No Walls di Sara Ishaq, The Lady in Number 6: Music Saved My Life di Malcolm Clarke e Nicholas Reed, Prison Terminal: The Last Days of Private Jack Hall di Edgar Barens.

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO.
Aquel No Era Yo (That wasn't Me) di Esteban Crespo, Avant Que De Tout Perdre (Just Before Losing Everything) di Xavier Legrand e Alexandre Gavras, Helium di Anders Walter e Kim Magnusson, Pitääkö Mun Kaikki Hoitaa? (Do I have to take care of everything?) di Selma Vilhunen and Kirsikka Saari, The Voorman Problem di Mark Gill and Baldwin Li.

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO ANIMATO.
Feral di Daniel Sousa e Dan Golden, Get a Horse! di Lauren MacMullan e Dorothy McKim, Mr. Hublot di Laurent Witz e Alexandre Espigares, Possessions di Shuhei Morita, Room on the Broom di Max Lang e Jan Lachauer.
MIGLIOR MAKEUP.
Dallas Buyers Club (Adruitha Lee e Robin Mathews), Jackass: nonno cattivo (Stephen Prouty); The Lone Ranger (Joel Harlow e Gloria Pasqua-Casny).