sabato 28 luglio 2018

RIFLESSIONI: Katrhyn Bigelow gira come un uomo?




In genere evito di commentare sui social network perché è una gran rottura di coglioni. Solo che a volte le dita 'prudono' così tanto, che qualche commento scappa pure a me. E anche se non cerco rogne e argomento nella maniera più civile possibile, niente, finisce in una gran rottura di coglioni. 
Oh, non imparo mai. Così come non imparo a non scrivere di polemiche  perché nel caso venissi cagata con questo post (tranquilla, fortunatamente non ti caga nessuno, motivo in più perché scrivo poco su questo blog), la polemica scatterebbe lo stesso.
Mah, sarà la coda di paglia, sarà che mi girano le palle che ecco, le dita prudono di bestia ed ecco a fare un post fiume all'acidume  e alla sindrome premestruale. Perché chi scrive è pur sempre una donna! 
Ora, il seme della discordia e la coda di paglia da lisciare riguarda una gran regista cazzuta di nome Kathryn Bigelow. Tempo fa scrissi, testuali parole, che Kathrin Bigelow dirige come un uomo. Volevo già scrivere un post al riguardo l'anno scorso, soprattutto quando avevo letto cose del tipo 'chi dice una cosa del genere non capisce un cazzo del suo cinema'.Ma poi finiva in rissa 2.0 e ho lasciato perdere, tanto la gente vuole avere sempre ragione e anche io. E io dopo un po' mi annoio e mando tutti affanculo, social network compresi.
Ma dopo che leggo ancora frasi che suonano tipo 'c'è chi dice che la Bigelow dirige come un uomo... Trattiamola per quello che è che - è brava - che l'arte è universale etc. etc'. Ecco che spunta di nuovo la coda di paglia da lasciare.
Ora, non so quante code di paglia da lisciare ci siano in giro nella blogosfera, ma niente, la coduzza la devo piallare pure io e anche tanto. E io mi sento tirata in ballo, perché se non è rivolto solo a me, beh, nella blogosfera siamo in molti a non capire una mazza di cinema!!! E anche il magazine francese M la definisce 'donna d'azione'. Ma allora è proprio un vizio eh!
E se su Detroit non scrissi niente, perché ovviamente non ci avevo capito un cazzo a prescindere della sua cinematografia in genereale, questa volta le ditina non ce la fanno e con questo post spero di riuscire a spiegare il mio punto di vista. E se proprio non vi piace, oh, stica.
Dunque, al di là del non capire un cazzo di cinema, io sono capa tosta e  mi ostino a vedere i film. 
E di film della sciura Bigelow ne ho visti, non proprio tutti, ma conosco abbastanza la sua filmografia per farmi un'idea di quanto sia cazzuta questa donna. E ordunque, dove sta il rodimento di culo?
Il rodimento sta che, secondo me lei anche se è donna, gira come un uomo.
Oh madonaaaa, mi hai tirato fuori il GENDER!1!1! 
Ma partiamo con una postilla, nella speranza che non diventi una supposta. 
Non sono una Matusa, ma comunque ai 'miei tempi' si diceva che quando una donna aveva una bella tempra, era intraprendente ed era tosta, si diceva veniva definita una con le 'palle quadrate'. Ora, sarà che forse provengo da una famiglia matriarcale dove le donne lavorano tutte, mandano avanti la baracca e tirano su i figli in tempi sospetti quando la parità di genere non esisteva, l'ho sempre visto come un complimento. E non come una offesa al genere femminile che deve comportarsi come un uomo per sopravvivere in un a 'man's world', ma perché era sinonimo di grande forza interiore, una che non te le viene a dire, una che sa superare le avversità e risolve i problemi da sola senza piangersi addosso. E soprattutto non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.
Il GENDER!1!1! all'epoca non c'entrava una beata minchia, era un modo di dire per intendere che puoi amare i romanzi di Sophie Kinsella e guardare 58 minuti per morire,fare un po' quel che si pare. Perché è vero, siamo in una cazzo di società dove i romanzi d'amore sono solo per donne. E infatti negli anni Novanta, facevano i Chick Flicks, i film per le pollastrelle, sì, li chiamavano proprio così. 
Fine della postilla suppostone.
Ora ritorniamo a madame Bigelow. Proprio nell'era dei 'chick fliks' lei non ci stava e ha dimostrato subito di che pasta era fatta. Per me la Bigelow poteva fare 50 sfumature di rosso e subito dopo Detroit e sarebbe stata figa lo stesso. Anzi, magari il primo avrebbe avuto un risultato migliore, dato che quel film è stato fatto a cazzo di cane.
Nel corso della sua filmografia, la Bigelow ha prediletto generi forti, da 'macho', come Point Break, dove lei tiene a bada tutto quel testosterone e si diverte come una pazza facendoci salire l'adrenalina a mille con i suoi guizzi di macchina spettacolari. Roba da far sembrare il suo ex marito James Cameron una mammoletta. E infatti nel 1997 fece il Titanic.
Dunque, nel curriculum di Mrs Bigelow troviamo: film horror (Il buio di avvicina), trhiller (Point Break, Blue Steele), di guerra (The Hurt Locker)  di denuncia sociale (Detroit). Ha fatto anche un bel dramma tinto di noir, Il mistero dell'acqua, dove dimostra anche di essere elegante. Insomma, può fare quello che le pare.
Thriller, horror, guerra (senza storie di amore in ballo): beh, sono genere prettamente maschili, non ce n'è. Perché mamma Hollywood ci tiene ai cliché e in genere ai cine pisellini gli fanno fare i film di guerra, e alle cine farfalline, seppur con qualche difficoltà le fanno fare i film romanticosi. Che poi facciano fare film romanticosi anche ai cine pisellini, quello è un altro discorso. Loro possono tutto, perché il GENDER!1!1! a Hollywood, vince sempre!!!
La Bigelow ha studiato arte prima di aver intrapreso la carriera cinematografica e ha saputo plasmare vari generi, assaggiando la cultura post punk inglese dei Joy Division dirigento uno dei loro pochissimi video, per esordire con il cinema horror.
E negli anni Ottanta non c'erano molte registe donna a fare film slashers. La tipa è tosta, come lo dimostrano Blue Steel con Jamie Lee Curtis, come lo dimostra il chiber punk di Strange Day - dove il personaggio più fragile era proprio quel Lenny Nero che spacciava lo Squid mentre piangeva per la sua ex che era proprio una grandissima stronza (bella solidarietà femminile, eh?).
Dal punto di vista meramente tecnico ed estetico, si tratta di rivalsa femminile? Femminista? Ma va, lei è una grintosa, è una che ai miei tempi si sarebbe presa l'epiteto di donna dalle palle quadrate senza battere ciglio. 
Ma dunque, basta farsi i pipponi, ma allora in che senso gira come un uomo?
Il girare come un uomo è nel concetto di stile che La Bigelow ha assimilato nel corso degli anni,  forgiato da scelte tematiche che le 'impongono' questo genere di estetica che lei comunque ama, e che, purtroppo, risulta inusuale in quanto è un genere dominato dagli uomini. 
Perché lei prende di petto il background machista del genere e lo fa suo, in barba al GENDER!1!1!  a Hollywood è sempre in agguato. 
E lei con il suo retaggio artistico, ha assimilato perfettamente l'estetica del genere e ha capito le regole del gioco se vuole fare questi film: la violenza, al limite del compiaciuto, quasi pornografico, lo stile concitato, la tensione, la politica è tipico della cinematografica maschile. E lei da grande figa qual è, se lo prende e ha tutto il diritto di farlo, perché se il suo ex marito mi fa quella palla al cazzo di Titanic, che, tecnicamente è ineccepibile, ma dal punto di vista narrativo è una piaga, perché lei non può girare film fatti, prodotti e diretti solitamente da uomini? 
E lei in questi genere trova il suo habitat naturale, dove può scatenare una potenza visiva enorme, uno stile concitato (basti pensare alla scena dell'inseguimento in apertura di Strange Days, dove la macchina da presa corre in maniera forsennata filmando in soggettiva). Una forza visiva sovraumana. Forza come la usava mia nonna, così  piccola, esile che era in grado di zappare la terra come un uomo. Perché il lavoro faticoso lo sapeva fare anche una donna minuta, così come un action movie lo sa fare anche lei, alla faccia del suo ex marito. 
Il cinema 'muscolare' è nelle sue corde e non c'è niente di femminile in quello che trasmette. E' un dato di fatto. Lei fa action come Scorsese sa essere formale e 'nobile' con L'età dell'innocenza. Lei fa film di guerra come Eastwood sa essere romantico con I ponti di Madison County. Ma se nella società e nel mondo del cinema è normale che i registi uomini escano dal loro seminato, purtroppo non lo è se una regista anche se cazzuta come la Bigelow.
E quel girare come un uomo, non mi stancherò mai di dirlo, è riferito alla sua tecnica, non al suo essere donna. E lei ha aperto un mondo a registe che si possono permettere di fare horror, rape and revenge movies e film noir. 
E non è un caso che sia stata la prima donna a vincere un Oscar come la migliore regista con un film di guerra (GOMBLOTTO!1!1!), perché si sa che Hollywood, prima del #metoo le donne venivano considerate poco dai membri dell'Academy. 
Che poi, siamo sinceri, voi che capite tutto, se vedeste un suo film per la prima volta, solo con il titolo, ma senza il suo nome, dareste la regia a un uomo, o a una donna? Dite la verità!
Ora, se avete letto fino a qui, vorrei farvi sapere che il linguaggio che ho utilizzato è stato volutamente scurrile. Perché tanto di questi tempi sospetti dove il GENDER!1!1! è in grossa crisi, posso pure scrivere come una buzzurra. Tanto, la scurrilità è universale, no? O dovrei, invece scrivere 'per dindirindina' mentre scrivo con una mano, mentre sorseggio una tazza di tea con il ditino alzato con l'altra? 
Spero di non dover più leggere in giro 'c'è gente che dice che la Bigelow giri come un uomo'. O dovrò lisciare la mia coda di paglia ad oltranza e non ne ho proprio voglia. 
Hasta la vista, baby!
E niente bacini, che quelli li lasciamo agli stronzi.


martedì 17 luglio 2018

CULT MOVIE: Persona

Il 14 luglio di 100 anni fa nasceva Ingmar Bergman e Mari di Redrumia ha voluto omaggiare il regista svedese con il gruppetto di bloggers. Director's cult per ragioni tecniche non ha potuto partecipare, ma ha deciso lo stesso di fare gli auguri in ritardo con la recensione di Persona.







Titolo: Persona
Id., Svezia, 1966
Cast: Bibi Andersson, Liv Ullman
Sceneggiatura: Ingmar Bergman
Regia: Ingmar Bergman
Durata: 85'


Una rivista inglese chiamata Stylist una volta definì Paul Verhoeven un regista femminista per aver rappresentato un personaggio femminile così forte in Elle e per aver trattato una tematica spinosa come lo stupro senza i pregiudizi maschili(sti) del caso. 
Cosa c'entra il regista olandese con Ingmar Bergman, nazionalità svedese e differente retaggio culturale e sociale? In un certo senso c'entra, perché anche il regista de Il settimo sigillo si puà definire femminista e con 50 anni di anticipo.
Persona infatti è - dal punto il mio punto vista femminile - un film femminista che rompe i tabù sessuali - a cominciare da immagini 'subliminali' di un pene in erezione mischiate a simbolismi religiosi da far impallidire le immagini messe 'a nascondino' da David Fincher in Fight Club.
Prima ancora del 1968 al motto americano de 'l'utero è mio e me lo gestisco io' e quasi 10 anni dopo delle femministe italiane al grido di 'tremate, tremate, le streghe son tornate!', le donne svedesi avevano (probabilmente) già a che fare con le beghe della sessualità in termini di pura esplorazione /sperimentazione e del concetto spinoso di maternità non voluta. Donne diverse accomunate dalla stessa difficoltà di svincolarsi dal ruolo predisposto di moglie e madre, due facce, una sola persona. 
Due volti, quello di Elisabeth (Liv Ullman), attrice teatrale che nel bel mezzo de L'elettra decide di smettere di parlare e il volto di Alma (Bibi Andersen), la giovane infermiera incaricata di prendersi cura di lei durante la degenza. Due donne, una sola persona, con un fardello da portare sulle spalle pesante come un macigno. 
Elisabeth non soffre di afasia, ma non ne vuole sapere di riprendere a parlare. E durante il soggiorno terapeutico al mare, Alma finisce parlare per due, un fiume in piena per sopperire alla mancanza di risposte e al mutismo assoluto dell'attrice.
Durante la permanenza alla casa al mare, Alma finisce per essere oggetto di studio di Elisabeth, carpendo i segreti di una giovane donna che involontariamente o forse no, ha trovato una persona con cui togliersi un peso che le schiaccia l'anima o solo poter raccontare una vicenda personale che viene considerata tabù dalla società dell'epoca. La giovane Alma finisce inconsapelvolmente per essere psicanalizzata da Elisabeth, che silenziosamente la ascolta come farebbe uno psicologo. E Alma si confida e racconta di quando era desiderosa di esplorare il sesso, finendo in un'orgia e rimanendo incinta per poi abortire. 
Alma rifiuta la maternità, ma il senso di colpa la pervade e la fa piangere, quasi vergonare per la sua promiscuità sessuale, ma almeno è stata coerente con la sua scelta.
Scelta che invece non ha osato fare Elisabeth, che ha avuto un figlio ma che trascura e rinnega, proprio perché non accetta il suo status di madre.
Sesso e maternità negata, due delle peggiori onte che la religione possa tollerare, che dovrebbero essere punite con le mani inchiodate e lo sgozzamento di un agnello (tipico simbolo del sacrificio) - come mostrato cripticamente dal regista nell'intro del film.
Ora, Persona non è un manifesto pro aborto, ma è un modo per esplorare il conflitto dell'essere donna in una società - non solo svedese - che stava cambiando verso una maggiore consapevolezza del ruolo femmininile che non è fatto solo di maternità. E Bergman nonostante utilizzi il suo retaggio religisoso, mostra queste due donne accomunate dall'angoscia di non essere all'altezza del ruolo di madre, facendo rinnegare la maternità ad Alma - ancorata comunque al rimorso - e al senso di inadeguatezza di Elisabeth che preferisce annullarsi quasi per non esistere più per quel ragazzino che rifiuta di voler crescere. I tempi cambiano in un terremoto sociale e storico dove in Vietnam i monaci buddhisti si danno fuoco in segno di protesta, in una società dove l'alienazione cominciava già a prendere piede e dove comunicare il senso di disagio era già difficile. I tempi cambiano e le donne vogliono essere padrone del proprio corpo e del proprio destino.
E se non puoi comunicare il tuo disagio, allora l'unica alternativa è il silenzio. Forse però l'unico modo per rompere questo silenzio è andare in un luogo sperduto e al sicuro, dove potersi scambiare i ruoli per potersi liberare da pesanti fardelli e poter ricominciare a vivere in qualche modo. Un modo per ricominciare a vivere anche per il regista svedese, che scelse il cinema per potersi liberare dalle angosce del suo retaggio culturale e religioso e per sfuggire dalla depressione che lo aveva attanagliato anni prima nonostante il successo. 
Ingmar Bergman fu un'anima tormentata e illuminata allo stesso tempo. E secondo me, anche femminista.