lunedì 29 febbraio 2016

RIFLESSIONI: E Director's cult avrebbe dato l'Oscar a...


Evviva Ennio Morricone, evviva Ennio Morricone! Dopo 6 nomination andate a vuoto vince alla grande con una colonna sonora sopraffina creata per The Hateful Height. 
Ah, sì ha vinto pure Leonardo DiCaprio. Niente più meme e gif su Facebook, ce ne faremo una ragione. Che poi non ci azzeccano neanche, a me davano l'orso come favorito, pazienza Orso, ci riproverai l'anno prossimo. 
Ironie a parte, ogni anno la notte degli Oscar non premia mai chi piace a me, o mi dilude in parte. E allora i premi quest'anno li do io e a modo mio, ben ti sta Academy, tiè.

Miglior film: I caso Spotlight
Director's cult l'avrebbe dato a l'Oscar a: Mad Max: Fury Road. 

Ha vinto nelle categorie tecniche come prevedibile, battendo pure Star Wars (ora Kylo Ren sarà ancora più emo su twitter), ma come miglior film Mad Max: Fury Road ci stava tutto. Ammetto che The Revenant non l'ho voluto vedere perché non mi ispirava un granché insieme a Brooklyn, gli altri li ho visti e i film migliori nella lista erano Mad Max, Room e la grande scommessa. 
Mad Max: Fury Road era semplicemente perfetto perché oltre a quasi far venire un infarto dal ritmo angosciante (mi chiedo quanti dei membri così ciòfani siano sopravvissuti dopo la visione), ha delle tematiche mica da ridere, che spaziano dalla condizione della donna (il futuro è donna sembra dirci il Miller), il culto della personalità e la dittatura che persiste nonostante l'umanità sia quasi estinta, le nefaste conseguenze dell'uso improprio delle risorse naturali etc. etc messe 'a camuffo con supercazzola WTF' in un 'banale' viaggio con biglietto andata/ritorno all'inferno, che rasenta una supercazzola in odore di genialità assoluta. 
Tra i vari canditati, Mad Max poteva contendersi la statuetta tra Room (che colpisce al cuore, anche se per me risulta lievemente imperfetto nell'amalgamare l'inferno della stanza e l'inferno nei meandri del ritorno alla normalità) e La grande scommessa, che meritava alla grande pure lui anche se tende a perdere di dinamicità per far spazio al cinismo verso la seconda parte. 
Il caso Spotlight è un buon film, ma non è un film da Oscar. Mi è piaciuto soprattutto per la voce che ha dato alle vittime di abusi - quello mi ha fatto piangere il cuore - ma la parte di giornalismo investigativo è come dire, 'tradizionale', a tratti quasi freddo e manicheo, retto comunque da una buona prova di attori (anche se andava nominato solo Ruffalo), perché fondamentalmente è un film di attori e di sceneggiatura, lì l'Oscar ci può stare.

Miglior regia: Alejandro Gonzales Inarritu - The Revenant
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: George Miller.

E' vero,  The Ravenant non l'ho visto. Però ho visto il trailer e non mi ha fatto dire neanche 'meh' e sembra prendere in prestito lo stile filosofico/trascendentale di Malick (che non è stato premiato ai tempi de La sottile linea rossa, ma vabbè). Miller invece riesce a passare tranquillamente tra i pinguini puccettosi di Happy Feet all'universo distopico di Mad Max, riuscendo non solo a riproporre una sua vecchia creatura, ma riesce anche a dargli nuova linfa usando i mezzi che ci sono a disposizione, dimostrando all'età di 71 anni un eclettismo e soprattutto una energia mica da ridere, evitando con nonchalance l'effetto minestra riscaldata, preparandoci un piatto 3 stelle Michelin che manco Bastianich e Cracco riuscirebbero a fare. Vuoi che muoro?!?

Miglior attore protagonista: Leonardo DiCaprio - The Revenant
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: Brian Cranston - Trumbo

E quanto è bravo DiCaprio, e andava premiato per questo film, per l'altro film, è un ingiustizia per questo, questo e quest'altro motivo. Uìììììììììì che du' cojoni! Leonardo DiCaprio è bravo, una bravura che tramanderemo pure ai posteri, però sta' solfa che doveva vincere eddai, mica è stato l'unico a essere stato nominato tot% volte e mai premiato. Ne sapeva qualcosa una 'certa' Greta Garbo, e, ai giorni nostri un 'certo' Edward Norton (American History X per esempio) e lo meritava pure l'anno scorso Michael Keaton che ha fatto una resuscitazione che viene bene solo a Gesù Cristo, e che dimostra di avere buone dote drammatiche anche in Spotlight (anche se non era da nomination quest'anno, per mancanza di incisività drammatica che il ruolo gli impone e soprattutto per la mancanza una buona crema idratante antiage. Pelle troppo secca, Michael! 
Dunque, finalmente Leo ha vinto, bravo bravo, te sei dovuto magnà pure il fegato del bisonte, ma quante ne fai Leonardo pazzerello, eh? Peccato però che tu, per quanto sia bello e bravo e per quanto ci fossimo sbracate per te ai tempi di Titanic, ti devi fare il culo non doppio, ma quadruplo per far vedere quanto sei bravo. Quando poi ti sarebbe bastato farti il 'culetto' perché lo sappiamo che sei un grande attore. Io l'Oscar te lo avrei dato per Revolutionary Road, Il grande Gatsby o per quella merdaccia di Calvin Candy in Django Unchained, dove manco ti avevano nominato . Però non sono né ottantenne, né un membro dell'Academy, quindi avrei potuto fare poco per te, così come avrei fatto altrettanto poco se avessi votato, perché io avrei premiato Brian Cranston.
Cranston entra nel personaggio con una naturalezza che manco Kim Kardashian senza contouring ha. Non gli serve molto per entrare nei panni di Dalton Trumbo: un paio di occhiali, un paio di baffetti, una postura un po' curva, sigaretta in bocca, e un accento diverso. Ed ecco che Brian Cranston non c'è più, per far posto a Dalton Trumbo. Con così poco l'attore si trasforma, e Brian Cranston ritorna solo per pochi secondi nella scena della foto segnaletica. Ed era solo senza un paio di baffetti. Mica pizza e fegato di bisonte crudo, eh.

Migliore attrice protagonista: Brie Larson - Room
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: Cate Blanchet

E niente, a quanto pare sono l'unica che è rimasta stregata dall'algida interpretazione di Cate Blanchet per Carol. Nonostante l'Oscar alla Larson ci stia tutto per come riesca a comunicare la sua disperazione quando è nella 'room', e per come riesca a negare il trauma vivendo un dramma interiore per poi esplodere nel peggiore e drammatico dei modi, io avrei premiato Cate Blanchet, pur riconoscendo un Oscar meritato per questa brava ragazza di Sacramento diventata ora una star. 
Una triplete a Cate ci stava alla grande. Se fossi stata un personaggio cinematografico gay, mi sarei innamorata di Carol. Blanchet è magnifica nel rendere magnifica Carol, con la sua eleganza, il suo fascino. il suo vocabolario forbito, con la sua eleganza algida, quella compostezza così posh che riesce a trattenere anche nel momento più drammatico della sua vita. Brave entrambe, ma solo una può spuntarla, dannato regolamento!

Miglior attore non protagonista: Mark Rylance - Il ponte delle spie
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: Silverster Stallone

Ebbene sì. io l'Oscar l'avrei dato a Sly Stallone. Nemmeno a Christian Bale per quanto sia bravo in La grande scommessa e per quanto miii quanto me lo farei, il suo ruolo è il tipico borderline che piace tanto all'Academy. Nonostante Rylance sia la parte migliore in una pellicola che in mio parere non meritava la nomination come miglior film e che Rylance sia un attore di solida fattura teatrale, il Rocky Balboa di Stallone fa venire i lucciconi per come riesca a dare dignità a un personaggio ormai bollito e prossimo al canto del cigno. 
Sly di film demmerda ne ha fatti a iosa come Lo specialista e Cliffangher, però Rocky è la sua creatura, è forse il personaggio a cui è rimasto più legato senza rimanerne intrappolato (vedi i film demmerda citati). Rocky Balboa sembra essere diventato quasi una parte di sé stesso che in Creed riversa con amore sincero, mettendoci un tocco di senso di umorismo in un personaggio che forse sarebbe dovuto rimanere invincibile per sempre. 
Stallone invece accetta che il suo Rocky sia afflitto dal tempo che passa e riesce a infondergli una nuova pelle, dove trasuda solitudine (la scena in cui guarda la foto del figlio, o quando va a trovare Adriana al cimitero) con gli acciacchi dell'età che non perdona neanche i campioni, presentandoci un lato quasi melò e decisamente più umano, dopo averci mostrato muscoli e botte per tutta la saga del pugile di Philadelphia. Non si spiezza in due neanche questa volta, anche se la mazzata gliel'ha data l'Academy per bene.

Migliore attrice non protagonista: Alicia Vikander - The Danish Girl
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: Jennifer Jason Leigh

Alicia Vikander andava nominata nella categoria migliore attrice e non come non protagnista. Allora sì che sarebbero stati ca#zi acidi per Brie Larson e per Jennifer Lawrence, che non meritava la nomination anche se è sempre brava brava in modo assurdo. Ecco, è già un buon motivo. Lo sappiamo che sei brava, mo'bbasta. Vikander è una splendida Gerda, ma a me piacciono le cagne maledette e la è Leigh è a dir poco perfetta, superando alla grande l'operazione 'alzati e recita' di Quentin Tarantino. La cagnitudine di Daisy Domergue risarcisce tutti i personaggi femminili debolucci e vittimistici tipici del genere western (ci aveva provato Sam Raimi con la pistolera di Pronti a morire, ma Sharon Stone era troppo figa per il ruolo). Jason Leigh da sola riesce a tenere testa a 7 bastardoni, ma la hater in assoluto è lei, con la faccia pestata, senza denti, ricoperta di vomito e sangue, Jennifer è strepitosa nella sua recitazione luciferina e stregonesca. Roba da fare una fattura Occhi malocchio prezzemolo e finocchio all'Academy.

Migliore sceneggiatura adattata: La grande scommessa
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: La grande scommessa

La crisi economica per dummies raccontata ne La grande scommessa ha meritato l'Oscar, raccontando il marciume delle speculazioni finanziarie come una bambola russa, con arguzia e cinismo nei suoi personaggi così diversi e sfaccettati. 

Migliore sceneggiatura originale: Il caso Spotlight
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: Il caso Spotligh

Non avendo visto gli altri film e non essendoci Quentin Tarantino nei paraggi, posso solo dire che Spotlight non essendo secondo me il miglior film dell'anno, ha comunque una buona sceneggiatura, anche se avrei preferito spostare l'attenzione sulle vittime pur evitando un effetto squallido alla Barbara D'Urso.  L'aspetto più interessante del film infatti è come l'abuso minorile venga affrontato ancora oggi con rabbia, vergogna e senso di colpa attraverso le testimonianze delle vittime, facendo capire come avvengano certe sozzure in un ambiente apparentemente immacolato come la chiesa. La sceneggiatura doveva lasciare meno spazio all'investigazione giornalistica alla Tutti gli uomini del presidente, il cui riferimento viene spontaneo e immediato, intrappolando il film nella tradizionalità del genere.

Miglior film di animazione: Inside Out
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: tutti meno che la Pixar/Disney

Se ci fosse stato Charlie Brown, l'Oscar l'avrei dato a lui. Pur avendo il DVD di Inside Out nell'armadio ancora da visionare, sincermente la Disney mi ha smaronato, perché si poteva fare la differenza avendo comunque fior fiori di film che spaziano dall'animazione adulta (Anomalisa), allo studio Ghibli che riesce ad andare avanti nonostante Miyazaki sia sia ritirato (Quando c'era Marnie), all'animazione tradizionale e alla simpatia inarrestabile della pecora Shawn (Shawn the Ship) e allo stile semplice e pulito che non ha bisogno del computer (Il bambino che scoprì il mondo). E invece no, ogni anno la Disney è lì a rompere le uova nel paniere. E anche se Inside Out è stato gridato capolavoro ai quattro venti, e ci sono buone possibilità che lo apprezzi,  sta di fatto che la Pixar ha rotto. I membri dell'Academy dovrebbero mangiare più pane e salame e meno caviale, a volte le cose più semplici sono anche le più buone

Miglior film straniero: Il figlio di Saul
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: non saprei, aka momento WTF

E qui arriva il momento WTF perché non ne ho potuto visionare nemmeno uno. Vari bloggers dicono che doveva vincere Mustang, ma che Il figlio di Saul è un bel pugno nello stomaco, quindi la vittoria come miglior film è fair enough.

Miglior colonna sonora: Ennio Morricone - The Hateful Height
Director's cult avrebbe nominato: Ennio Morricone - The Hateful Height.

Eh, tutti a piagnere che DiCaprio non lo premiavano mai, e chisseloinc°lava il maestro Morricone che finalmente a 87 anni ha ricevuto un Oscar super meritato dopo 50 anni di carriera, entrando nella storia anche con una super fica stella nella Walk of Fame. Noi che in Italia abbiamo solo la Walk of Shame, grazie a immensi talenti come il maestro Morricone ci ricordiamo ogni tanto che non tutto è da buttare nel paese della pizza mandolino e mamma.

Miglior canzone: Writing on the Wall - Spectre
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: Til it Happens to You - The Hunting Ground

A me le canzoni di Sam Smith fanno due palle grosse così. Sarà che in UK Sam Smith è osannato e Stay With Me è stato il tormentone del 2015, devo dire che a me ha tormentato parecchio, così come questa lagna di Writing's on the Wall. Avrebbe meritato di più Lady Gaga, che al di là dello stile falso poppettaro/discotecaro che ci ha proposto agli esordi con Poker Face, si è dimostrata un'artista a 360° creando il suo personaggio, Lady Gaga, dove può essere colta e cazzara, trash e icona di stile, roba che manco Marilyn Manson ha saputo fare. Smith dovrebbe prestargli l'Oscar per 6 mesi l'anno, dato che ha affermato di essere l'artista che è oggi ispirandosi a lei.

Migliori costumi: Mad Max: Fury Road
Director's cult avrebbe premiato: Carol o The Danish Girl

Sarà che sono una pisellona romantica, ma a me la moda anni Cinquanta piace da impazzire, con i suoi cardigan, i pantaloni Capri e le gonne svolazzanti li trovo molto stilosi. Così come adoro la bellezza dei corsetti e i vestiti dei primi decenni del Novecento. Comunque lo stile post apocalittico di Mad Max: Fury Road merita alla grande e l'Oscar quindi ci sta eccome,ogni tanto l'Academy dimostra di saper riconoscere ottimi costumi al di là di pizzi e crinoline.

Miglior fotografia: The Revenant
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: Mad Max: Fury Road

Emmanuel Lubezki ha meritato l'Oscar e forse è il migliore direttore della fotografia che c'è nel mondo di Hollywood, però i colori incandescenti dell'universo di Mad Max sono unici, di una bellezza così rara da fare a pugni con la bruttezza del mondo dispotico e distopico raccontato da Miller.

Miglior Trucco: Mad Max. Fury Road
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: The Revenant

Il trucco di Immortal Joe di Mad Max mi ricorda He-Man e questo è già un buon motivo per aver dato l'Oscar per il miglior trucco a Mad Max. Meritava anche The Revenant, così almeno ci sarebbe stato un premio di risarcimento per l'immenso lavoro e professionalità che ha svolto l'orso, il grande escluso della serata, che ha fatto un lavoro super professionale lasciando una serie di ferite e cicatrici su Glass/DiCaprio dal risultato estetico professionale, trasudando impegno e dedizione nel lavoro svolto.

Miglior montaggio: Mad Max: Fury Road
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: Max Mad: Fury Road

Che botta ca#zo, ca#zo che botta. Parafrasando la Mia Wallace di Pulp Fiction, Mad Max è adrenalina allo stato puro, che ti tira un bel cartone in piena faccia lasciandoti stordito per un paio d'ore. I membri dell'Academy sono storditi di loro, non penso che abbiano avuto ulteriori traumi.

Miglior montaggio sonoro: Mad Max:Fury Road
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a: Mad Max: Fury Road

Vroooom, Vrooom Vroooooom!!! La dinamicità delle immagini colpiscono gli occhi, e il rombo dei motori con il che ti penetra nelle orecchie e finisce dritto nel cervello, rendendoti partecipe della corsa verso l'inferno di Max e Furiosa. Vrrooooooom!!!

Miglior sonoro: Mad Max: Fury Road
L'Oscar Director's cult lo avrebbe dato a: Mad Max: Fury Road

Vrooooom! Vrooooom! Vroooom! Come sopra.

Miglior Effetti speciali: Ex Machina
Director's cult avrebbe dato l'Oscar a Ex Machina

Il film purtroppo non sono riuscita a vederlo, ma il fatto di trasformare Alicia Vikander in un robot merita la statuetta in toto. Se la poteva contendere con Mad Max, ma essendo comunque un film che unisce 'old school' con la 'new school', avrebbe spaccato i culi anche senza effetti speciali.

Gli atri premi non potrei dare il mio parere, comunque ecco gli altri premiati: 

Miglior Cortometraggio Documentario: A Girl in the River: The Price of Forgiveness Sharmeen Obaid-Chinoy
Miglior Cortometraggio Animato: Bear Story -  Gabriel Osorio e Pato Escala
Miglior Cortometraggio: Stutterer - Benjamin Cleary e Serena Armitage
Miglior Documentario: Amy














sabato 27 febbraio 2016

NEWS: Ennio Morricone nella Walk of Fame di Hollywood



Ennio Morricone sta vivendo un momento magico: il suo tour in giro per l'Europa (dopo Londra sarà la volta di Parigi e Roma) sta avendo successo, ha ottenuto la nomination per la colonna sonora di The Hateful Height, con la quale ha già vinto il Golden Globe e ora ha una stella nella mitica Walk of Fame di Hollywood. 
Forse è la volta buona che riesca a vincere l'ambita statuetta per un colonna sonora che inizialmente non voleva accettare, avendo a disposizione solo un mese di tempo per comporla; spingendo Quentin Tarantino a volare a Roma e chiedergli di persona di comporre per lui.
Ormai è una star, anzi, è sempre stato una star, riuscendo a coniugare una immensa cultura e preparazione classica sposandola felicemente con il cinema, un mezzo considerato spesso come puro intrattenimento; riuscendo a infondere la sua traccia autoriale nel bel mezzo di un duello, o nei sogni di un ragazzino che lavora in un cinema della Sicilia sognando la settima arte. 
Morricone è un compositore puro, scrive con la testa e non con il pianoforte (parole sue) e non pensa all'Oscar. 'Tanto non lo vinco', tuona il compositore. Intanto però è entrato nella storia del cinema e della musica in un colpo solo.

venerdì 26 febbraio 2016

RECENSIONE: Legend



Titolo: Legend
Id., UK, 2015
Cast: Tom Hardy, Emily Browning, Cristopher Eccleston.
Sceneggiatura: Brian Helgeland.
Regia: Brian Helgeland.
Durata: 131'


Londra sembra divisa in due parti: da un lato il West London, posh in costante fase di gentrificazione, con le sue aree più verdi nelle aree suburbane, perfetta per una vita tranquilla e per crescere i bambini, dall'altra l'East London, con i suoi grattacieli, con la sua vibrante trasformazione e con la sua intensa vita in costante fibrillazione. 
Negli anni Sessanta però prima della Swinging London che aveva dato quel tocco di coolness (di cui ora è un pallido ricordo), e prima del movimento punk,  l'East London era considerato come l'area suburbana e proletaria per eccellenza. Era però famoso per aver dato i natali ai gemelli Kray, Ronald e Reginald (Tom Hardy), temibili gangster che avevano messo le mani sulla città con i loro affari. Definirli gangster però è riduttivo, e forse anche un po' offensivo per una coppia di gemelli che hanno pur sempre - nei meandri dell'illegalità - dato una impronta indelebile alla città che era ancora lontana nel diventare una delle più grandi metropoli del mondo. 
Uomini d'affari, sì, questo potrebbe essere appropriato. Reginald e Ronald Krays erano degli uomini d'affari dai metodi poco ortodossi.
E' così che vengono visti da Frances (Emily Browning), ragazzina di 16 anni affascinata da Reggie e destinata a diventare sua moglie, e da Brian Helgeland, il regista di Legend, film dedicato alla figura dei più famosi gangster londinesi.
Visto con gli occhi di Frances, la cui voce fuoricampo aleggia per tutto il film, i fratelli Krays erano temuti sì (specialmente se eri il proprietario di un pub), ma anche ammirati dalla società londinese (e soprattutto da coloro che andavano nei locali del West End, fulcro del loro business).
Memore dello stile di L.A. Confidential, Helgeland tratta la 'materia Krays' allo stesso modo in cui trattava la Los Angeles scritta da James Ellroy, rendendo i gemelli Krays affascinanti, impregnati da uno stile noir, con la musica iniziale uscita da un film degli anni della Hollywood d'oro.
Helgeland racconta la storia dal punto di vista di Frances, cercando di non voler tradire quell'allure di fascino che i gemelli sapevano esercitare, assurgendoli a mito (seppur negativo) che perdura nel corso degli anni.
Puntando sulla testimonianza indiretta di Frances, Helgeland si concentra soprattutto sulla figura di Reggie. Bello (ma anche Ronnie lo è, anche con gli occhiali e un naso 'importante'). elegante (Ronnie è più old fashioned, ma non disdegna il completo giacca e cravatta),  con il fiuto per gli affari (Ronnie invece lo è meno, mancando un training causa internamento in una casa di cura per malattie mentali), di buone maniere (Ronnie preferisce le maniere forti) e soprattutto determinato a  mettere le mani sulla zona est della città e su Frances, che riuscirà a sposare nonostante i suoi genitori - e tutta la gente del quartiere - sapessero quanto poco di buono sia. 
Entravi in un pub e se il barista aveva la faccia gonfia di botte, sapevi che i Krays erano passati a trovarlo; ti divertivi in  un locale esclusivo, e poco importa se la festa venisse interrotta dalle escandescenze di Ronnie. 
Questo è l'aspetto più interessante di Legend: come la scalata al potere dei gemelli Krays sia passata liscia come l'olio sotto gli occhi di tutti, con Scotland Yard venisse beffata da questi due fratelli che rivendicavano ciò che ritenevano fosse loro, fuori dal contesto proletario e vagamente squallido che circondava come una morsa l'East London. 
Tolto il fascino iniziale con lo stile noir preso in prestito da L.A. Confidential, Legend continua purtroppo sulla via facile del biopic quando scivola sul rapporto tra Frances e Reggie, arrivando a una buona dose di prevedibilità: più lui acquista potere, più il loro rapporto si incrina arrivando alla tragedia. Perché Reggie forse ha amato l'East London più di ogni altra cosa, volendolo cambiare a modo suo, anche con mezzi illeciti, ignorando probabilmente i fatto che Londra è una città che cambia pelle come un serpente, e l'East London sarebbe cambiato in ogni caso. 
Legend comunque è un film soprattutto di attori, dove Tom Hardy 'mette le mani' sul film con un gran bel one man show, dove sdoppia il suo talento, dove forgia un autentico accento cockney (chapeau per uno londinese D.O.C. che viene dal quartiere ovest di Hammersmith) e mostra soprattutto di sapere reggere il film, anche se tende a strafare nei panni di Ronnie, scatenandosi perché è il ruolo che alla fine lo richiede.
Tolto Hardy però, Legend rimane pur sempre un gangster movie tradizionale e senza guizzi autoriali, che però ha il merito di vedere un lato della 'Londra che fu' e soprattutto vale la pena vederlo per avere la conferma che Tom Hardy è uno degli attori più talentuosi e interessanti in circolazione.

Voto: 7


martedì 23 febbraio 2016

NEWS: Hollywood Vs Donald Trump, Hollywood pro Donald Trump




In Inghilterra si dice pain in the arse (or ass) quando qualcuno o qualcosa è una rottura di scatole. Donald Trump fa parte della categoria, rompendo le scatole a destra e a manca con le sue provocazioni, facendosi largo nella corsa alle prossime elezioni presidenziali USA cercando di sgomitare per ottenere la candidatura nel partito Repubblicano, tra mille polemiche. 
Tutti ce l'hanno con lui, pure papa Francesco che l'ha definito un pessimo cristiano (e viceversa, perché Donald ribadisce che buon cristiano è). L'ultima viene da Hollywood, che vede questa volta protagonista la comunità latina di Hollywood, che ha scritto una lettera aperta (arrivata dopo la petizione, da parte degli anglosassoni dove chiedevano di bannare Trump dalla Gran Bretagna) firmata da molte celebrità ispaniche, tra cui Carlos Santana Aubrey Plaza, America Ferrera, Benjamin Bratt e Zoe Saldana, dicendo apertamente di non votare per una persona che non supporta la comunità ispanica.
La lettera afferma che Trump ha accusato i latini di essere degli stupratori e di aver cacciato in malo modo il giornalista Jorge Ramos da una conferenza stampa; ma soprattutto di aver speso parte della sua campagna presidenziale a incutere paure anti-immigrazione, offendendo pesantemente la comunità. 
Trump in realtà ne ha per tutti i gusti: i suoi detrattori lo accusano di essere razzista, un bugiardo patologico, un bullo, un misogino e sogna di bannare 1.6 milioni di musulmani dalla faccia dell'America, magari fare su anche un muro per evitare di far venire gli immigrati. Spike Lee, uno che ama sguazzare nelle polemiche, ironicamente (se non con una punta di preoccupazione) ha detto che se Trump dovesse avere accesso all'armamento nucleare americano, farebbe sparire la popolazione americana 'licenziandola' come nel suo famoso reality show, The Apprentenship.
Se da un lato è odiato, temuto, sbeffeggiato (pur perdendo il privilegio di essere preso per i fondelli da David Letterman - che ha concluso l'anno scorso il suo David Letterman Show - che ha praticamente smontato la scalata di Mitt Romney alle presidenziali del 2012 a favore di Barack Obama), dall'altra parte di Hollywood c'è chi lo ama, ma non lo dice. Parola di Brett Easton Ellis, che, dopo aver preso parte a una cena a West Hollywood con alcuni amici, ha conosciuto persone che fanno parte dell'industria cinematografica che hanno ammesso che voterebbero volentieri il tycoon. Scioccato, lo scrittore ha scritto un tweet dove esprime il suo sconforto, per poi rimanere ancora più basito quando Trump con divertita provocazione ha twittato a sua volta il cinguettìo dello scrittore di American Psycho. 
Così come orgogliosamente viene sostenuto dalla figlia di John Wayne (repubblicano di ferro), che giura che se suo padre fosse ancora vivo, sicuramente avrebbe votato per lui. Intanto la corsa presidenziale procede, tra un Donald Trump che avanza come un bulldozer, sostenuto più o meno da una parte insospettabile di Hollywood (anche se non lo dice) che ha a che fare con una Hillary Clinton in apparentemente svantaggio. Anche perché il democratico di ferro Spike Lee ha ammesso candidamente che voterà per Bernie Sanders.

sabato 20 febbraio 2016

RIFLESSIONI: Hollywood e gli Oscar sono #SoWhite?



Ullallà, è tempo di Oscar, è tempo di rompere le uova nel paniere della cara Academy, sia prima con le nomination, che dopo, soprattutto se Leonardo DiCaprio non si porterà a casa quella benedetta statuetta. Quest'anno però, per mettere un po' di pepe al culo ai flaccidi e sonnolenti membri dell'Academy, ci ha pensato Spike Lee, che ha deciso di boicottare zio Oscar perché anche quest'anno (e l'anno passato, rimarchiamo, sentiti in colpa bloody Academy!!!) gli Academy Awards sono bianchi come il latte di mucca, facendo di conseguenza incazzare i vegani perché gli Academy non sono bianchi come il latte di soya. 
E vai di campagna boicotta l'Oscaaaar!!!
Ma a conti fatti, gli Oscar sono razzisti? E Hollywood, è razzista? Lo scopriremo con una riflessione semi seria firmata Director's cult.

Gli Academy hanno una mentalità aperta!
Snobbano i neri, le registe donne (ma non contiamo Kathryn Bigelow che quando gira un film pare n'omo) ma anche gli asiatici, e la comunità LGBT, ostentando una forma di discriminazione che tende a discriminare tutti per non offendere nessuno. A parte la comunità ebraica che premia i film sull'olocausto e nomina Steven Spielberg quasi sempre manco dovesse chiedere scusa per aver creato il ghetto di Varsavia ai tempi della guerra, e la comunità ispanica, perché due anni fa hanno premiato Lupita Nyon'go che ha passaporto africano, ma è nata in Messico,  mentre Alejandro Gonzales Inarritu è messicano pure lui e quest'anno si potrebbe portare a casa il secondo Oscar consecutivo.

StepOscar Adoption
Quest'anno la comunità omossessuale è abbastanza attiva tra le nomination, abbiamo ben - due lesbiche - due con Carol, diretto da un regista gay (snobbato lui e il film), e un transgender con The Danish Girl, ruoli interpretati però da eterosessuali. Col senno di poi, ti premiano Tom Hanks che fa il ruolo dell'avvocato gay e non premiano Sir. Ian McKellen per Demoni e dei,  che gay lo è veramente e in quel film interpreta il ruolo di un regista gay. Eh, ti piace vincere facile Ian, vero?
Ma è meglio non perdere di vista l'obiettivo, sennò si scatena la polemica nella polemica che oltre a essere bianca sarebbe pure un pelo omofoba.

Ma allora, sono razzisti o no?
Secondo Woophi Goldberg (seconda attrice afroamericana a vincerlo con Ghost), no perché lei un Oscar l'ha vinto pur essendo afro- americana; secondo Halle Berry sì, perché i ruoli offerti alle donne di colore non sono un granché e non vengono nominate a random come Jennifer Lawrence. Però cara, se tu vinci l'Oscar e poi fai Catwoman che cosa pretendi?

Ma Hollywood, tanti tanti anni fa, era razzista?
Urka se lo era. Ma lo erano anche i tempi, finché Rosa Parks non si rifiutò di cedere il posto a un bianco su un autobus, Martin Luther King non raccontò a una folla estasiata che aveva fatto un sogno e aver marciato a Selma, finché Malcom X rivendicava i propri diritti meno teneramente del reverendo, e finché le Pantere nere non si incazzarono difendendo la difesa - dell'auto - difesa,  la comunità afro-americana mangiava pane e razzismo quotidianamente. 
Se Halle Berry lamenta una carenza di ruoli fighi, all'epoca la rosa dei ruoli per le donne di colore era parecchio avvilente: la mammy, la zia Jemina, la tragic mulatto, e il ruolo della donna nella mixed couple. Poi arrivò Dorothy Dandridge che fece un ruolo inusuale in una versione moderna e 'all black' della Carmen di Bizet in Carmen Jones e boom! Fu la prima donna afroamericana a ricevere la nomination agli Oscar come miglior attrice protagonista femminile, Premio che poi andò 40 anni dopo ad Halle Berry, che, ironia della sorte, aveva recitato Dorothy Dandridge in un biopic. Nel film, Dorothy Dandridge era stata ingaggiata per uno show in cui doveva cantare, ma non le era permesso di usare il bagno, avendo a disposizione un comodissimo bicchiere da usare in caso di emergenza pipì. Da questa scena si evince come venga apprezzato il talento di una artista di colore, ma come allo stesso tempo la sua etnia rappresenti un problema per la società. E da come l'Academy abbia nominato Dorothy Dandridge all'epoca, si evince che il talento viene pur sempre riconosciuto. Talento che venne (e viene) apprezzato in Sidney Poitier, l'uomo di colore educato e rassicurante, insomma, con le carte in regola per entrare nelle grazie di mamma Hollywood, capace però di iterpretare film adatti sia a un pubblico afroamericano, che caucasico, come fa Denzel Washington, che è il suo erede perfetto.

Hollywood però non ha mai premiato un regista afro-americano. E Steve McQueen?
Se Spike Lee non stesse sui maroni ai membri dell'Academy, sarebbe stato probabilmente il primo regista afro-americano della storia a vincere la statuetta che quella mozzarellina di DiCaprio ci sta morendo dietro da vent'anni. Eh, un momento, ma Steve McQueen non ha vinto per 12 anni schiavo?
Non si sa per quale oscuro motivo, SteveMcQueen viene considerato afro-americano perché di colore ed è stato premiato dal più prestigioso ente americano da mamma Hollywood. 
Un po' come Jennifer Lopez che viene scambiata dai produttori americani per italiana. O forse siamo noi italiani che la scambiamo per una terrona (per metà lo sono io, quindi popolo terrone scaldatevi di meno e mangiate più anduja), quando è americana di prima generazione proveniente da una famiglia portoricana. 
Siccome sono stronza, rincaro la dose e rompo ancor di più i maroni: Steve McQueen, in realtà è inglese, londinese DOC, con una probabile, (essendo nato sul finire degli anni Sessanta) se non certa discendenza caraibica (e quindi America Centrale, non Africa, ho controllato su Wikipedia, ah!) - etnia ampiamente assoggettata al colonialismo inglese -  cui successivamente una gran bella fettona si era trasferita a Londra una cinquantina di anni fa per lo più nel quartiere di Brixton, Notting Hill (negli anni Sessanta, dando origine al carnevale sputtanato in nome 'della bevi la bumba per due giorni di fila') e a nord nel distretto di Seven Sisters e Hackney a Est. 
A voler rompere ancora di più i maroni, se vogliamo considerare McQueen come primo black director, nella speranza di non suonare razzista -  anche se per gli anglo-indiani indicare una persona di colore se la chiami 'black' lo è, o se la chiami con l'obsoleto coloured vieni tacciato di razzismo come è successo a Benedict Cumberbach - è il primo vincitore della storia degli Oscar, ma se consideriamo la questione dal punto di vista del rispetto delle varie etnie che popola questo triste mondo malato e dal punto di vista di patria America che non so se farebbe gioire o incazzare Donald Trump, se Spike Lee se dovesse vincerne uno, eccerto che sarebbe il primo afro-americano della storia a vincerlo. 
Ma siccome Lee è un po' sfigato, lo è pure due volte: il primo, perché sta sulle balle all'Academy perchè rompe le balle, il secondo perché Steve McQueen è di colore e l'ha fregato in partenza, se non ci arrivava prima John Singleton con Boys in the Hood vent'anni fa.

E se l'industria non offrisse tanti ruoli agli afroamericani, finendo per auto-ghettizzarsi?
Per capire come funziona l'interazione tra diverse etnie, basterebbe guardare un episodio di Orange Is the New Black: in gattabuia le afroamericane stanno con le afroamericane, le latine con le latine, le bianche con le bianche, piazzandoci la biondissima, coltissima e waspissima protagonista nel mucchio. A prima vista, è un bel mazzolin di cliché, ma considerando che l'autrice del serial è Jenji Kohan, che ha fatto fortuna su un'altra serie sulla cannabis, sa di presa per i fondelli degli stereotipi. Ma quando si tratta di industria cinematografica, il sistema funziona proprio così: un determinato genere per i bianchi, un determinato genere per gli asiatici, uno per gli ispanici e uno per i neri. E' sempre stato così, dai tempi dei race movies dove il produttore afromaericano Oscar Micheaux aveva creato un universo parallelo alla bianchissima Hollywood, dimostrando che i neri potevano essere bravi, buoni, ben educati e di un certo spessore sociale. Insomma, ci era arrivato almeno 60 anni prima del telefilm dei Robinson. Poi venne la Blaxploitation, dove il Black Power era arrivato anche al cinema salvando le chiappe delle major, dando spazio agli afroamericani e spianando loro la strada a futuri registi come quel rompi maroni di Spike Lee. 
Il suo film d'esordio She's Gotta Have It, rompe le acque presentando una donna di colore indipendente, sessualmente libera che sa quello che vuole, anticipando di una quindicina di anni quel Sex and the City che piace tanto a noi pollastrelle mozzarelle, ma magari anche un po' a tutte le polle in generale. Lola Darling agisce come una donna bianca (anche se poi sceglie un buppie, lo yuppie afroamericano), dimostrando che lei è libera esattamente come una donna bianca newyorchese. Il film è l'esordio di Spike Lee ed è un bel film, ma da spettatrice bianca, mi vien da chiedere: possibile che negli anni Ottanta una donna fica come Lola, così indipendente e così libera non abbia un'amica di etnia caucasica, asiatica o ispanica? E soprattutto, perché una donna sessualmente aperta come Lola non si tromba un uomo di etnia caucasica, asiatica o ispanica?
E' anche vero che le commedie interpretate dai neri hanno un appeal maggiore per la comunità afroamericana, così come le commedie interpretati dai bianchi hanno un chiaro appeal per la comunità causacasica. D'altronde il business è business:  un gelato lo venderesti prima a un bambino, o a un adulto fissato con la dieta?
Pensate a un film come Think Like a Man: sembra una versione maschile di Sex and the City, ma nel gruppo, c'è solo un amico bianco, e per di più ha un ruolo marginale. Possibile che nel Ventunesimo secolo un afroamericano, che per dindirindina, è un americano, non abbia nelle cerchie un amico di etnia asiatica o causasica, e viceversa?

E se Spike Lee fosse (inconsapevolmente) razzista a sua volta?
Premetto che a me Spike Lee piace. L'ho un po' perso di vista dopo Inside Man, ma lo stimo sempre, Però caro Spike Lee, hai scassat'u'cazz. Spike Lee è il duro e puro della comunità afromaericana, l'icona per eccellenza del Black power. Ma fino agli anni 2000, anno in cui decise di dirigere un cast prevalentemente bianco in Summer of Sam, il suo cinema era rivolto esclusivamente al pubblico di colore. Che, se da un lato è puramente legittimo usare quel potere acquisito all'interno dell'industria dedicando film alla comunità afroamericana dandole più forza e per lo più con bellissimi film come Malcom X o Mo' Better Blues, dall'altro chiude la porta in faccia all'integrazione tra diverse etnie, pur lesinando sforzi in spot 'black and withe' per la Swatch (ma ci era già arrivato prima il bianchissimo e per di più italianissimo Oliviero Toscani per Benetton) e film sul razzismo come Fa la cosa giusta. 
Ed è sacrosanto suo il diritto di fare uno studio antropologico sul razzismo e  lo fa pure in grande stile con Fa la cosa giusta, con il monologo in cui il bianco insulta il nero, il nero insulta il bianco e l'ispanico insulta entrambi. Allo stesso tempo però non si esime dai cliché che la sua stessa etnia ha provato, dove la comunità bianca è rappresentata dal cliché dell'italoamericano che a quanto pare, sta parecchio sui maroni all'afroamericano se  poi successivamente dedicato un'intera problematica della mixed couple in Jungle Fever, dove l'architetto di colore si innamora della segretaria italoamericana che riceve insulti a iosa da entrambe le 'casate'. 
Cellà con Quentin Tarantino, che, amando la comunità di colore tanto tanto in modo assurdo (cit.), osa fare: un film che omaggia la Blaxploitation, un film che tratta la schiavitù e osa far dire la parola 'negro' a Samuel L. Jackson. Che, se lo dice un nero non è un insulto, ma se lo dice un bianco sì. Però se un bianco lo fa dire a un nero allora lo fai incazzare. Vero Spike? Non sapevo che ci fosse un copyright sulle parole. In tua difesa è pur sempre vero che se un  lumbard DOC mi da della terrona, io mi incazzo e rimarco le mie origini lombarde (sono come J-Lo, ma lumbard di prima generazione!), ma se sono con il mio amico che è terrone DOC gli do' del terrone sento che fa un po' community, quindi forse è per quello che Spike può dire la parola 'negro' e ce l'ha con Quentin se la usa. Ma Quentin è figoso, non è che gliela puoi prestare ogni tanto? Farebbe tanto unione come il tuo spot Black and Withe della Swatch, no?

Ma perché non posso parlare di una argomento che non mi appartiene?
Dunque, ritorniamo a Steve McQueen. Il regista inglese e non americano ha parlato della schiavitù. E nessuno, manco Spike ha detto beh. Lo fa Quentin Tarantino, e Spike s'incazza. Ora, entrambi non hanno le carte in regola per parlare della schiavitù, poiché vige la legge 'ognuno a cà propria': in teoria McQueen avrebbe dovuto occuparsi di tematiche più consone al proprio background culturale, ergo del colonialismo inglese, e Quentin si sarebbe semplicemente dovuto fare i caz°i suoi. Così come altra polemica agli Oscar è che un film all black come Straight Outta Compton sia stato nominato alla sceneggiatura perché gli sceneggiatori sono bianchi. Quindi, fatemi capire, se 4 bianchi non sono in teoria 'autorizzati' a scrivere del mondo hip-pop di colore, io allora dovrei riscrivere da capo la tesi di laurea sulla Blaxploitation e farne una sul cinema italiano, da brava italiana, giusto? E se ascolto i Beastie Boys va  bene, ma se ascolto Notorious BIG non capisco un caz§o ed è meglio se ascolto gli Articolo 31?

Ma quindi, sti' Oscar, sono razzisti o no???
Il presidente degli Academy Awards è una donna afromericana, quindi no, non è razzista l'Academy. L'Accademy è solo ottusa: i membri sono anziani e hanno un raggio di azione visiva degna di una talpa. E quindi si perdono un sacco di film, preferendo andare sul sicuro con film che rispettano i loro canoni di sta' ceppa. Pare che la bianchissima mozzarellissima Penelope Ann-Miller si sia sbracciata per far includere Beasts of no Nation e Idris Elba, il vero scandalo dell'esclusione perché è bravo al di là del colore della pelle. Che poi non avrebbe fatto alzare le quote afroamericane nemmeno lui, perché è londinese DOC. Se la polemica viene vista dal quel punto di vista etnico-culturale, come spiegato sopra parlando di McQueen.
Quindi il problema sarebbe nel smettere di classificare le persone, in nome del business, cosa che Hollywood fa a prescindere da una vita. Una diversificazione dei ruoli porta a ruoli appetibili per l'Oscar. La schiavitù è finita da più di 200 anni, Quentin Tarantino ha chiesto scusa a modo suo con Django Unchained e ha soprattutto sfilato contro i poliziotti razzisti. Perché un uomo bianco non si può interessare della cultura musicale nera, o perché un afromaericano non fa un film sulla comunità italiana o ispanica ripulendola dai cliché imposti dall'industria? Messa così sembra il ragionamento di un bambino, ma allo stesso tempo è ovvio: siamo esseri umani. Il mondo è bello perchè vario, se fossimo tutti uguali, avrebbe senso invadere il mondo con la nostra sovrappopolazione? Perché we are the world, we are sto' caz°o. 
Dunque, di film per le donne e uomini bianchi ce ne sono a iosa, ma perché non diversificare il mercato offrendo qualcosa di diverso in un contesto normale e non politicamente scorretto? Altrimenti si finisce come nella gattabuia creata dalla Kohan, dove Black Cindy mangia in mensa con Crazy Eyes e Gloria Mendoza lavora insieme a Flaca Gonzales. E Piper è sempre in mezzo al mucchio. 


venerdì 19 febbraio 2016

FILMOGRAFIA: Woophi Goldberg






NOME:
Whoopi Goldberg
ALL'ANAGRAFE: Caryn Elaine Johnson
DATA DI NASCITA: 13/11/1955
LUOGO DI NASCITA: New York, New York, Stati Uniti
PROFESSIONE: Attrice





ATTRICE:

(2014) Top Five -
(2014) Tartarughe Ninja - Bernadette Thompson
(2011) Il mio angolo di paradiso - Dio
(2010) For Colored Girls - Kelly/Bianco
(2010) Toy Story 3 - La grande fuga - (voce)
(2006) If I Had Known I Was a Genius - Mom
(2006) Farce of the Penguins - (voce)
(2006) Homie Spumoni - Thelma
(2006) Law & Order: Criminal Intent: episodio "To the Bone" (Serie Tv) - Chesley Watkins
(2006) Piccolo grande eroe - Darlin (voce)
(2006) Doogal - Ermintrude (voce)
(2005) Bear in the Big Blue House: episodio "The Great Bandini" (Serie Tv) - The Great Bandini
(2005) The Magic Roundabout - Ermintrude (voce)
(2005) Striscia, una zebra alla riscossa - Franny (voce)
(2004) Littleburg (Serie Tv) - Mayor Whoopi
(2004) P3K - Pinocchio 3000 - Cyberina (voce)
(2004) Il Re leone 3: Hakuna matata - Shenzi (voce)
(2003-2004) Whoopi (Serie Tv) - Mavis Rae
(2003) Good Fences (Film Tv) - Mabel Spader
(2003) Blizzard - Blizzard (voce)
(2002) Star Trek: La Nemesi - Guinan
(2002) It's a Very Merry Muppet Christmas Movie (Film Tv) - Daniel's 'Boss'
(2002) Madeline: My Fair Madeline (Film Tv) - Miss Clavel (voce)
(2002) Liberty's Kids: Est. 1776 (Serie Tv) - Deborah Samson / Robert Shurtleff (voce)
(2002) Absolutely Fabulous: episodio "Gay" (Serie Tv) - Goldie
(2001) Golden dreams - Calafia (Narratrice)
(2001) Babbo Natale cercasi - Lucy Cullins
(2001) Rat race - Vera Baker
(2001) Monkeybone - La morte
(2001) Venga il tuo regno - Raynelle Slocumb
(2001) The Hollywood Sign - Una delle donne che gettano sporcizia sulla bara alla scena funerea
(2001) Golden Dreams - Calafia, la regina della California
(2001) What makes a family (film tv)
(2000) Una valigia a 4 zampe - Cleo
(2000) Le avventure di Rocky & Bullwinkle - Giudice Cameo
(2000) Strong Medicine (Serie Tv) - Dr. Lydia Emerson
(2000) A Second Chance at Life - Narratore
(1999) Our Friend, Martin - Mrs. Peck (voce)
(1999) Ragazze interrotte - Valerie
(1999) The magical legend of the Leprechauns (Film Tv)
(1999) Foxbusters (telefilm) - (voce)
(1999) Jackie's Back! (film tv) - Ethyl Washington
(1999) In fondo al cuore - Candy Bliss
(1999) Alice in Wonderland (film tv) - Cheshire Cat
(1998) Rugrats - Il film - Ranger Margaret (voce)
(1998) A knight in Camelot (film tv) - Vivien Morgan
(1998) Rudolph, il cucciolo dal naso rosso - Stormella (voce)
(1998) Benvenuta in paradiso - Delilah
(1997) A Christmas Carol - (voce)
(1997) Cinderella (film tv) - Regina Constantina
(1997) Hollywood brucia - se stessa
(1997) In & Out - se stessa
(1997) Destination Anywhere - Cabbie
(1997) In the Gloaming (film tv) - Myrna
(1996) L'agguato - Ghosts from the past - Myrlie Evers
(1996) Funny money - Come fare i soldi senza lavorare - Laurel Ayres
(1996) Bogus, l'amico immaginario - Harriet Franklin
(1996) Bordello of Blood - Una paziente d'ospedale
(1996) Eddie - Edwina "Eddie" Franklin
(1995) Happily ever after: fairy tales for every child (telefilm) - Madre Goose
(1995) The sunshine boys (film tv) - Infermiera
(1995) Theodore Rex - Katie Coltrane
(1995) Moonlight and Valentino - Sylvie Morrow
(1995) Lo schermo velato -
(1995) A proposito di donne - Jane
(1994) Una moglie per papà - Corrina Washington
(1994) Liberation - Narratore
(1994) Vado a vivere a New York -
(1994) Piccole canaglie - La mamma di Buckwheat
(1994) Pagemaster - L'avventura meravigliosa - Fantasia
(1994) Star Trek: generazioni - Guinan
(1994) Il re leone - Shenzi (voce)
(1993) Sister act 2 - Più svitata che mai - Deloris Van Cartier/Suor Maria Claretta
(1993) Made in America - Sarah Mathews
(1993) Palle in canna - Sergente York
(1992) Sarafina! Il profumo della libertà - Mary Masembuko
(1992) Sister act - Una svitata in abito da suora - Deloris Van Cartier/Suor Maria Claretta
(1992) I protagonisti - Detective Susan Avery
(1991) House Party 2 -
(1991) Wisecracks - se stessa
(1991) Bolle di sapone - Rose "Rosie" Schwartz
(1990) Captain Planet and the Planeteers (serie tv) - Gaia (voce)
(1990) La lunga strada verso casa - Odessa Cotter
(1990) Ghost - Fantasma - Oda Mae Brown
(1990) Bagdad Cafe (serie tv) - Brenda
(1989) Beverly Hills Brats -
(1989) Comicitis -
(1989) Homer & Eddie - Eddie Cervi
(1989) Kiss shot (Tv) - Sarah Collins
(1988) Il grande cuore di Clara - Clara Mayfield
(1988) The telephone - Vashti Blue
(1987) Affitasi ladra - Bernice 'Bernie' Rhodenbarr
(1987) Fatal beauty - Rita Rizzoli
(1986) Jumpin Jack Flash - Teresa "Terry" Dolittle
(1985) Il colore viola - Celie
(1982) Citizen -

venerdì 12 febbraio 2016

COMING SOON: The Danish Girl



La vera storia di Lili Elbe (Eddie Redmanyne), il primo uomo che venne identificato transgender e il primo ad essersi sottoposto a un intervento per la transizione da uomo a donna.
Nella Copenaghen degli anni Venti, la pittrice Gerda Weneger (Alicia Vikander) chiese al marito e anche egli pittore paesaggista Einar Wanegar di posare in abiti femminili per uno dei suoi quadri.
Weneger successivamente si sentì sempre più attratto dal suo lato femminile, e Gerda lo sosterrà nella sua decisione di cambiare sesso, nonostante si renda conto che Lili non è più la persona che ha sposato.
Diretto da Tom Hooper (Les Miserable), The Danish Girl è soprattutto un film di attori, che consacra Alicia Vikander a nuova stella del cinema (con nomination agli Oscar) e conferma il talendo di Eddie Redmayne, che rischia di vincere il secondo Oscar dopo la sua performance in La teoria del tutto.
Il film uscirà nelle sale il 18 febbraio.

giovedì 11 febbraio 2016

IL CIRCOLO DI CUCITO: Duncan Jones diventerà papà



Oggi è un mese che papà è morto. Ho creato questa cartolina per lui lo scorso Natale. Arriverà a giugno. E' il cerchio della vita. Ti voglio bene, nonno.
E con questo tweet Duncan Jones regista di Moon, Source Code ha dedicato un tweet a suo padre, il leggendario David Bowie morto un mese fa, annunciando allo stesso che a giugno diventerà papà. Alla famiglia Jones piace tenere i segreti, e la moglie, la fotografa Rodene Ronquillo Jones commenta la lieta novella prendendo in giro gli amici chiedendole sempre e fosse ingrassata, evitando accuratamente di contraddirli.
Duncan Jones, nome d'arte (o meglio, che ha fatto cambiare una volta divenuto maggiorenne) di Zowie Bowie, figlio della mitica rockstar e della prima moglie, Angela Barnett, dalla quale divorziò nel 1980. Bowie ebbe la custodia del figlio, che finì per estraniarsi completamente dalla madre biologica e venendo in seguito adotatto da Iman, la seconda moglie del padre.
E' una bella notizia per il regista di Warcraft, che ha passato momenti terribili quando a Rodene Ronquillo Jones le avevano diagnosticato il cancro al seno nel 2012 e successivamente dopo la morte del padre. Bowie aveva ricevuto la lieta notizia come regalo di Natale, e sicuramente sarebbe stato in grande nonno, dato che, pur vivendo le eccentricità tipiche dello star system, si rivelò un grande padre. E' il meraviglioso cerchio della vita.

mercoledì 10 febbraio 2016

OMAGGIO A DAVID BOWIE: Labyrinth

E' passato un mese da quando David Bowie se n'è andato, lasciandoci come testamento la sua arte immensa. Noi blogger, grazie all'iniziativa di Obsidian Mirror, abbiamo voluto omaggiare il duca bianco nelle vesti di attore. Da artista poliedrico e completo qual era, David Bowie ha recitato in alcuni film nel corso degli anni. Uno di questi è il mitico Labyrinth, dove lui è (per Director's cult) bellissimo e fascinoso, re dei Goblin che immerge la allora giovanissima e altrettanto bella Jennifer Connelly in un labirinto fatto di insidie e pericoli.



Caro Duca bianco, la tua arte sarà eterna.




Titolo: Labyrinth
Id, UK, 1986
Cast: David Bowie, Jennifer Connelly, Toby Froud.
Sceneggiatura: Terry Jones.
Regia: Jim Henson.
Durata: 96'



Crescere, che fatica. Soprattutto se hai 15 anni e ti ostini a vivere nel mondo delle favole. Anche perché Sarah (Jennifer Connelly) preferisce un mondo fittizio, come il suo libro preferito, Labyrinth così meraviglioso rispetto alla realtà così triste e insopportabile, dove i genitori sono divorziati, il papà si è risposato con una donna che non sopporta e soprattutto ora hai un fratellino. Non sei più la principessa di casa, Sarah, e questo non lo accetti. 
Così una sera, quando i tuoi genitori ti responsabilizzano e ti lasciano il piccolo Toby, ma lui continua a piangere per via del temporale e ti esasperi a tal punto da evocare il re dei goblin per fartelo portare via. Jareth (David Bowie) l'accontenta all'istante, perchè il re dei Goblin è generoso, tanto da regalarle una sfera con dentro i suoi sogni. Sarah però rifiuta, e dovrà entrare nel labirinto per riprendersi Toby, o diventerà un goblin al servizio di Jareth.
Sarah entra nel labirinto e comincia a scoprire che il mondo fatato che si è costruita non è così meraviglioso, dove le splendide fatine in realtà mordono, e gli esseri che abitano il labirinto sembrano aiutarla, ma in realtà le complicano il cammino per arrivare al castello di Jareth. D'altronde, la vita è fatta di difficoltà e ingiustizie che non possono essere quantificate, niente è dato per niente e se vuoi conquistare una cosa, devi combattere per averla. Sarah è sveglia e intelligente, ma le difficoltà si accumulano a ogni passo e non demorde.
Sarah vaga in un labirinto che strizza l'occhio ad Alice nel paese delle meraviglie, meraviglie che però non esistono, dove i goblin e i mostri sono esseri soli che non hanno mai conosciuto il significato dell'amicizia. 
Anche Jareth è solo, e l'unica compagnia sono i suoi goblin, sulla quale esercita il suo potere, nutrendosi delle fantasie di Sarah, che grazie alla sua fanciullezza gli permette di vivere.
Jareth rappresenta il mondo posticcio che Sarah ha sempre voluto vivere: una sontuosa festa in maschera dove lei, vestita come la principessa del suo carillon danza in compagnia del suo temibile cavaliere, che l'ha ingannata con una pesca avvelenata. Sarah però, come una novella Biancaneve, si sveglia dal sogno che in realtà è un incubo, si ridorda di Toby e fugge, infrangendo quella palla di cristallo nella quale Jareth l'aveva racchiusa con l'inganno. Un tranello forse orchestrato ad arte dal re dei Goblin, un essere così bello a capo di un popolo ripugnante, dove brama una una bella ragazza come Sarah per vivere insieme a lei nei sogni che ha sempre nutrito. Solo che Sarah ha capito che quel mondo non esiste, e non diventerà mai la regina che (forse) Jareth ha sempre desiderato. 
Sarah è sul punto di arrivare al castello, ma Jareth le riserva l'ultimo inganno, che poi è il mondo fittizio dove Sarah si rifugia: la sua stanza da letto, fatta di orsacchiotti, peluche, bambole e rossetti, un posto che la imprigiona impedendole di crescere. 
Sarah però finalmente ha capito che l'infanzia non c'è pi per lei, e capisce che lei ha creato il labirinto, è lei che ha creato Jareth, un essere affascinante quanto mefistofelico che si sente tradito da lei, soprattutto dopo tutto quello che ha fatto per lei, sovvertendo il tempo (e quindi capace di farla rimanere una bambina), sovvertendo il mondo intero solo per lei, dimostrando la sua generosità. E ora  Sarah ha capito se ne deve liberare se vuole vivere pienamente l'adolescenza. Perché Jareth non ha nessun potere su di lei. Non si può decidere di rimanere infanti, non si ha il pieno potere di fermare il tempo, nè il potere di sfuggire dalle responsabilità. 
E come il poster della relatività di Escher, Sarah affronta i suoi demoni e scopre che è in grado di decidere per sè stessa e finalmente non ha più paura di crescere, capendo che deve prendersi cura di Toby, il cui cammino impervio verso la vita adula deve ancora iniziare.
Sarah è diventata finalmente grande, ma un lato fanciullesco rimarrà con lei, danzando con i suoi amici Ludo e Hogol. Perché alla fine c'è sempre un fanciullo in noi, solo che uno degli effetti collaterali dell'essere adulto è dimenticarsi di essere stati dei bambini.
Labyrinth diretto dal creatore dei Mupppets, ormai è un film culto degli anni Ottanta, soprattutto per quei ragazzini che oggi sono dovuti per forza diventare adulti, ma che possono tornare bambini o adolescenti per una volta, grazie a questo film, che racconta il processo di crescita di questa ragazzina, che di crescere proprio non ne vuole sapere. 
Visto con gli occhi di un adulto, Labyrinth ha tanti significati, ma il bello di questi fantasy anni Ottanta è che, dal di là della tecnica ormai obsoleta, mantiene ancora un certo fascino e un divertimento ricordando che il mondo fatato grazie al cinema esiste. D'altronde il cinema non è la fabbrica dei sogni e non ci rifiugiamo dentro quando vediamo un film?

Voto: 7/8

Hanno reso omaggio a David Bowie:
L’uomo che cadde sulla terra (1976) su In Central Perk
The Elephant Man (1980) su The Obsidian Mirror
ChristianeF. (1981) su Mari’s Red Room
Furyo (1983) su White Russian
Miriam si sveglia a mezzanotte (1983) su Combinazione Casuale
Tutto in una notte (1985) su Non c’è paragone
C.R.A.Z.Y (2005) su Pensieri cannibali
The Prestige (2006) sul Bollalmanacco di cinema

A.M.

martedì 9 febbraio 2016

RECENSIONE: The Hateful Eight

Titolo: The Hateful Eight
id, USA, 2016
Cast: Samuel L. Jackson, Jennifer Jason Leigh, Kurt Russell.
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Regia: Quentin Tarantino
Durata: 187' (Panavision 70mm)-169' (digitale)


Il cerchio si chiude. Tutto iniziò 24 anni fa, con Le iene e si conclude (si spera almeno per ora) con The Hateful Eight, il personale 8 e ½ di Quentin Tarantino (se si considera Kill Bill come unico film e se si considera anche l’ultimo episodio snobbato – se non dimenticato di Four Rooms).
Con The Hateful Eight il regista di Knoxville continua il suo percorso di personale rilettura della storia iniziato con Bastardi senza gloria – dove utilizza la settima arte per ‘aggiustare’ le storture e gli atti indecenti che la storia ci ha offerto in varie disgraziate occasioni, focalizzandosi ancora sulla storia (in)civile americana fatta di schiavitù (Django Unchained), guerra di Secessione facendo allo stesso tempo un j’accuse e un mea culpa a ciò che a portato l’America di oggi a essere ancora (così tanto) razzista nei confronti degli afroamericani. 
Nell’universo cinematografico tarantiniano non ci sono nè buoni, nè cattivi: tutti gli esseri umani hanno un lato oscuro, anche chi rispetta la legge. Soprattutto chi la segue in un mondo dove la legge viene rivisitata e interpretata più volte. E dove può accadere se non in un terreno fertile come il western?
Tarantino dopo aver rivisitato lo spaghetti western di Sergio Corbucci, prende questa come modello il western di Sergio Leone - modellando i suoi personaggi senza remore e morale, e il western classico di Ford - mettendoci nella diligenza anche lui gente 'poco raccomandabile': una criminale, un cacciatore di taglie, un rinnegato del Sud e il bounty killer, sempre in quell'America del 1800 dove si cerca l'ordine nell'anarchia che cerca di raccogliere i cocci della civiltà dopo la guerra civile americana. 
Tarantino si prende i suoi tempi e la prima parte, lineare, ci presenta le 8 odiose persone, dove non si salva nessuno, neanche chi la legge la segue per portare i criminali alla giustizia. Il boia John Ruth (Kurt Russell) ha l'abitudine di portare al patibolo i criminali da giustiziare, previa una lauta taglia per il lavoro svolto. In teoria dovrebbe essere il buono di turno, ma è manesco e il rapporto con la 'sua' prigioniera rasenta la sindrome di Stoccolma. Non si salva nemmeno 'l'eroina' del film, Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh) maltrattata da Ruth (viene presentata con un bell'occhio nero), ma allo stesso tempo è rozza, al limite dello psicopatico, una cagna che se viene mandata al patibolo che tanto santa non è, anzi, sembra in odore di stregoneria.
C'è il rinnegato del Sud Charles Mannix (Walter Goggings), che afferma di essere il nuovo sceriffo 'senza referenze' (ma a cosa servono quando le leggi le fai da te?) e il maggiore Warren (Samuel L. Jackson), vittima della guerra due volte, la prima per essere stato prigioniero di guerra, la seconda per essere congedato con disonore. La guerra è sporca e lo sapevamo già, ma ciò che rimarca Tarantino è che non ci sono ricompense per chi va a morire in nome di una battaglia decisa da altri.
Tarantino continua la storia lineare e liscia come l'olio, usando l'escamotage della tempesta di neve dove 4 degli 8 haters sono costretti a rifugiarsi nell'emporio di Minnie.
Minnie non c'è, ma a fare i convenevoli ci sono Bob il messicano (Demian Bachir), Oswaldo Mobray (Tim Roth) che fa il boia anche lui (uno dei lavori più richiesti all'epoca) e il taciturno Joe Gage (Michael Madsen) e il generale Sandy Smithers (Bruce Dern), che agli occhi di Mannix è un eroe di guerra che ha combattuto per gli ideali americani, ma che in realtà reo di aver perpetrato atrocità ai danni della comunità di colore.
Ma cosa ci fanno otto odiosi rinchiusi nella stessa stanza (emporio in questo caso, capannone nel caso de Le iene), si limitano a mangiare lo stufato e passano il tempo a bere caffè? Ovvio che no, ed ecco che Quentin il buon figlio di buona donna rimescola le carte (e gli spazi temporali) e come i 10 piccoli indiani ecco che comincia la mattanza, dopo un estenuante gioco fatto di intolleranza, diffidenza e vendetta, dove nessuno è ciò che sembra. E il bello di Tarantino è che vien da prendere le parti dei i 'cattivi', quando in realtà i buoni non esistono e vengono puniti tutti allo stesso modo.
E il cerchio si chiude, dove la summa del 'Tarantino's Universe' continua a dirigere un cast con i fiocchi con i suoi attori feticcio (gli habituè Jackson, Roth, Madsen, più i neofiti Goggings, Dern e Russell) e prende nel suo 'giro' al grido di 'alzati e recita' la magnifica Jennifer Jason Leigh. 
E non mancano i rimandi e le citazioni (dovrebbero fare una speciale edizione del Trivial Pursuit per scoprire tutte le citazioni che ha disseminato lungo i suoi film), dove anche la superba colonna sonora di Ennio Morricone strizza l'occhio all'auto omaggio, con quel leit motiv che è un lontano parente dell'altrettanto spledida colonna sonora de Per qualche dollaro in più.
Tarantino non solo gioca con la storia, non solo gioca con sé stesso, ma gioca anche con la tecnica cinematografica con quel magnifico Panavision 70mm creato appositamente per esaltare l'epicità degli esterni, e qua usato principalmente per esaltare un trhiller da camera con un impianto squisitamente e prettamente teatrale, impregnando le immagini di profondità da trasportare lo spettatore nello schermo come se assistesse a un film in 3D.
E parafrasando il 'Yes you can!' del primo presidente afroamericano della storia degli Stati Uniti d'America, il cinema e le sue regole vengono stravolte dal genio di Knoxville, al grido di 'Of course I can!' spianando la strada a un nuovo modo di fare cinema, esprimendo allo stesso tempo un profondo amore ed eterna gratitudine per la settima arte, senza dimenticarne le radici.

Voto: 8,5

A.M.

sabato 6 febbraio 2016

100% PURE GLAMOUR: Chitarra modello Martin 1870



Daisy Domergue canta una canzone accompagnata da una chitarra classica, quando all'improvviso John Ruth gliela strappa di mano per fracassarla contro il muro.
La chitarra distrutta durante una scena di The Hateful Height di Quentin Tarantino era una vera Martin del 1870, che il buon Kurt Russell ha distrutto a sua insaputa, facendo urlare genuinamente Jennifer Jason Leigh.
C.F. Martin & Co. è una fabbrica di chitarre acustiche che ha la sua sede a Nazareth, Pensylvania, ed era stata inventata da Christian Frederick Martin, un liutaio di origine tedesca emigrato negli USA nel 1833, La chitarra Martin si distingue per il x-bracing posizionato nel manico, che è un sistema atto a mantenere un livello ottimale di vibrazioni, in modo da ottenere un suono migliore. Inoltre, il manico della chitarra è allungato, ottenendo 14 tasti invece dei tradizionali 12. Questa modifica fece in modo di creare il modello 'orchestra', prima che venisse sostituito a partire dal 1916 dal modello folk Dreadnought. La cassa della Martin è un modello caratterizzato da una cassa poco profonda e con curve abbastanza simili tra di loro, che producevano un suono poco potente (migliorato comunque dall'x-bracing), ma comunque più caldo con predominanza dei suoni bassi.
I suoni alti invece sono stati amplificati dalla rottura contro il muro ad opera di un inconsapevole Kurt Russell. 
La Martin usata sul set (è reso noto che è stata la prima e ultima volta che il museo Martin presterà una chitarra per un film) era stata assicurata per 40,000 dollari, ma il valore di un pezzo di musica americana non ha prezzo. Come una recitazione genuina.

mercoledì 3 febbraio 2016

IL CIRCOLO DI CUCITO: Jennifer Jason Leigh, alzati e recita!



La sindrome alzati e recita colpisce ancora, grazie a Quentin Tarantino, capace di risollevare carriere in stand-by (come quella di John Travolta all'epoca di Pulp Fiction) e rimetterle in sesto alla grande. Questa volta è accaduto a Jennifer Jason Leigh, che era tentata di chiudere con il cinema dopo un periodo di stop per dedicarsi alla maternità. L'attrice nel 2005 aveva sposato il regista Noah Baumbach e nel 2010 nasce il loro unico figlio Rohmer, che ora ha quasi 6 anni. Leigh nel 2013 divorzia, e si rende conto che, una volta uscita dal giro di Hollywood, rientrare era davvero dura. Stava per mollare la recitazione e dedicarsi alla scrittura o alla regia (The Anniversary Party è l'unico film che ha diretto per ora). finché non è arrivato Quentin a miracolarla affidandole il ruolo di Daisy Domergue in The Hateful Height, in uscita domani sugli schermi italiani.
L'attrice è stata da poco premiata al festival di Capri, e ora è in corsa agli Oscar come miglior attrice protagonista. E ora Jennifer, alzati e recita! C'è ancora posto per te a Hollywood.

martedì 2 febbraio 2016

FILMOGRAFIA: Michael Madsen




NOME:
Michael Madsen
DATA DI NASCITA: 25/09/1958
LUOGO DI NASCITA: Chicago, Illinois, Usa
PROFESSIONE: Attore, Produttore, Regista




ATTORE:

(2015) The Hateful Eight - Joe Gage
(2014) 2047: Sights of Death - Lobo
(2011) Not Another Not Another Movie - Lester Storm
(2008) Hell Ride - The Gent
(2007) Boarding Gate - Miles Rennberg
(2005) The last drop - Col J.T. Colt
(2005) Chasing Ghosts - Kevin Harrison
(2005) Tilt (Serie TV) - Don 'Il Matador' Everest
(2005) Sin City - Bob
(2004) A Christmas Cop -
(2004) Kill Bill: Vol. 2 - Budd/Sidewinder
(2004) L.A. Dicks - Steven Miller
(2004) Blueberry - Wallace Sebastian Blount
(2003) La figlia del mio capo - T.J.
(2003) Vampires Anonymous - Geno
(2003) Kill Bill: Vol. 1 - Budd/Sidewinder
(2003) 44 Minutes: The North Hollywood Shoot-Out (Film TV) - Frank McGregor
(2003) Where's Angelo? - Produttore
(2002) The Real Deal - Baker Jacks
(2002) Welcome to America - Agente Speciale Leon Fogel
(2002) La morte può attendere - Damian Falco
(2001) L.A.P.D.: To Protect and to Serve - James Alexander
(2001) Outlaw - Conner
(2001) Pressure Point - Jed Griffin
(2001) Extreme Honor - Sparks
(2001) Big Apple (serie tv) - Terry Maddock
(2000) 42K - Narratore
(2000) Bad Guys -
(2000) Choke - Will
(2000) Fall - Jeremy Banes
(2000) The Ghost - Dan Olinghouse
(2000) Ides of March -
(2000) Love.com - Russ
(2000) The Price of Air - Mr. Ball
(2000) High Noon (film tv) - Frank Miller
(2000) Sacrifice - Indagini sporche (film tv) - Tyler Pierce
(2000) Il sostituto - Agente Briggs
(2000) Gli implacabili - Zippo
(2000) The Inspectors 2: A Shred of Evidence (film tv) - Joe
(1999) The Stray - Ben
(1999) Detour - Burl Rogers
(1999) The Florentine - Whitey
(1999) Supreme Sanction (film tv) - Dalton
(1998) Los Angeles - Cannes solo andata - John Wilbur Hardin
(1998) Flat Out - Gene
(1998) The Thief & the Stripper - Jimmie D.
(1998) Fait Accompli - Frank Barlow
(1998) Vengeance Unlimited (serie tv) - Mr. Chapel
(1998) Species II - Press Lenox
(1997) Messaggi di un killer - Brad Abraham
(1997) Inchiesta ad alto rischio - Haynes
(1997) The Sender - Dallas Grayson
(1997) Surface to Air - Sergente Zach Massin
(1997) Trappola per il presidente - Nick
(1997) Catherine's Grove - Zio Joseph
(1997) Scelte pericolose - Skarney
(1997) The Girl Gets Moe - Donnelly
(1997) Donnie Brasco - Sonny Black
(1997) Uomini spietati - Sal
(1996) Red Line - Mr. Lawrence
(1996) Man with a Gun - John Wilbur Hardin
(1996) Il vincitore - Wolf
(1996) Scomodi omicidi - Eddie Hall
(1995) Free Willy 2: The Adventure Home - Glen Greenwood
(1995) Specie mortale - Preston Lennox
(1994) Combinazione finale - Matt Dickson
(1994) Season of Change - Randy Parker
(1994) Wyatt Earp - Virgil Earp
(1994) Blue Tiger - Cameo
(1994) The Getaway - Rudy Travis
(1993) La casa sulle colline - Mickey
(1993) Uno sporco affare di droga - Richard Montana
(1993) Milionario per caso - Detective Laurenzi
(1993) Free Willy - un amico da salvare - Glen Greenwood
(1992) Almost Blue - Morris Poole
(1992) L'infiltrato - Blood
(1992) Harry e Kit - Harry Talbot
(1992) Le Iene - Mr. Blonde/Vic Vega
(1992) Baby Snatcher (film tv) - Cal Hudson
(1992) Linea diretta - un'occasione unica - Steve
(1991) Fatal Instinct - Cliff Burden
(1991) Thelma & Louise - Jimmy
(1991) The Doors - Tom Baker
(1990) The End of Innocence - Earl
(1990) The Outsiders (serie tv) - Mick Jenkins
(1990) Montana (film tv) - Pierce
(1989) Kill Me Again - Vince Miller
(1989) Legami di sangue - Enzio
(1988) Melanie - Earl
(1988) War and Remembrance (serie tv) - Tenente "Foof" Turhall
(1988) Iguana - Sebastián
(1987) Armato per uccidere - Stu
(1985) Our Family Honor (serie tv) - Augie Danzig
(1985) Our Family Honor (film tv) - Augie Danzig
(1984) Il Migliore - Bartholomew "Bump" Bailey
(1984) In gara con la luna - Frank
(1983) Wargames - giochi di guerra - Steve
(1983) Special Bulletin (film tv) -
(1982) Against All Hope - Cecil Moe

PRODUTTORE:
(2004) Red Light Runners - Produttore esecutivo
(2004) A Christmas Cop - Produttore
(2000) The Price of Air - Produttore
(1997) The Sender - Produttore associato
(1997) Trappola per il presidente - Produttore associato

REGISTA:
(2004) Pretty Boy