domenica 11 aprile 2010

RECENSIONE.: La banda del Brasiliano




Titolo: La Banda del Brasiliano.
Italia, 2009
Cast: Carlo Monni, Luke Haiti, Gabriele Pini, Luca Spanà.
Sceneggiatura: Patrizio Gioffredi, Lorenzo Orlandini.
Produzione: John Snellinger Film.
Regia: John Snellinberg
Durata: 90'

Un impiegato cinquantenne di Prato viene rapito dalla banda del Brasiliano (composta dal Mutolo, il Biondo, il Randagio e il Brasiliano) che hanno come movente un sentimento di rivalsa contro i soprusi del precariato e della disoccupazione. I membri della banda sono trentenni che tentano di collocarsi nel mondo del lavoro, precari delusi da una generazione e da uno Stato che non ha più niente da offrire e sta morendo inesorabilmente. L'ispettore Brozzi (Carlo Monni) indaga sul caso e scopre che l'ostaggio è legato alla morte di un bambino... Il film del collettivo Snellinberg si potrebbe riassumere con una battuta dell'ispettore Brozzi che coglie in pieno il malessere che pervade la generazione dei trentenni: che mondo di merda. Finalmente!!! Finalmente qualcuno ha il coraggio di mandare a quel paese questa realtà in cui è annegata la società italiana. Finalmente si mostra realmente la condizione dei precari, dei laureati e non che finiscono a spasso dopo essere stati sfruttati fino al midollo. Finalmente non è il classico film generazionale leccato, falso, edulcorato e paraculo che pretende di offrire la finestra sul mondo dei giovani e ha come protagonista Nicolas Vaporidis. La banda è il ritratto dell'insoddisfazione e della frustrazione di ragazzi che vogliono fare ma che non possono fare perchè ritenuti incapaci, inutili dai cinquantenni che subiscono pesantemente le conseguenzi di un mancato ricambio generazionale. Un pò come i protagonisti de Le Iene di Quentin Tarantino vengono mostrati degli sprazzi di vita della banda: c'è chi a perso il lavoro per la ristrutturazione dell'azienda o soltanto perchè è l'ultimo arrivato, chi ha una laurea e trova solo posti temporanei non pagati, chi è considerato una nullità dal proprio datore che si rifiuta di insegnargli il mestiere. è un continuo e reciproco j'accuse tra le due generazioni: da un lato viene riprodotta fedelmente la frustrazione dei trentenni che si sentono umiliati nel ricevere la paghetta, che studiano e si ritrovano a fare lavoretti saltuari, a tempo determinato che scadono come un cartone del latte, che hanno l'assurda pretesa di essere retribuiti, che peccano di presunzione nel pensare di costruirsi un futuro. Dall'altra ci sono i cinquantenni che si ritrovano senza un lavoro e devono ricominciare da zero facendo colloqui infruttuosi negli uffici di collocamento e altri invece vedono nei loro figli, nipoti o dipendenti dei bambocci viziati che hanno avuto tutto e che pretendono tutto senza il minimo sforzo e che hanno costruito tutto dal nulla. Il tutto viene filtrato attraverso il genere poliziesco anni Settanta, un omaggio ai film interpretati da Tomas Milian e i noir diretti da Fernando Di Leo. Lo spirito di quei film aleggia in questo lungometraggio e confluisce nell'insoddisfazione che come un virus intossica l'esistenza dei protagonisti, e soprattutto nella disillusione e sfinitezza dell'ispettore Brozzi, che sembra proprio uscito da uno di questi film. Il film è costato solo 2.000€ e pecca di una forma un pò amatoriale (dovuta al low budget), ma in compenso ha 2000 idee, un sottile strato di humor, cultura cinematografica e ottima musica. Ce ne fossero così di film. Dovrebbe vederlo il ministro Brunetta...

Voto: 8,5
A.M.


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