giovedì 7 ottobre 2010

RECENSIONE: La passione


Titolo: La passione
Italia, 2010
Cast: Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Kasia Smutniak, Corrado Guzzanti, Stefania Sandrelli
Regia: Carlo Mazzacurati
Durata: 100'

Gianni Dubois (Silvio Orlando) è un regista che sta attraversando una fase di crisi creativa. Non dirige un film da cinque anni e finalmente ha l'opportunità di girare una pellicola con l'attrice Flaminia (Cristiana Capotondi), star di un programma televisivo, desiderosa di compiere il grando salto nel mondo del cinema. L'opportunità rischia di svanire quando è costretto a lasciare Roma per andare in Toscana: un guasto alle tubature ha danneggiato un affresco del Cinquecento situato in una chiesa vicina. Dubois rischia di essere denunciato, ma il sindaco (Stefania Sandrelli) gli propone di rivestire i panni dismessi da regista per la rappresentazione della Passione di Cristo. Aiutato da Ramiro (Giuseppe Battiston) ex galeotto, un metereologo che recita “come un cane” (Corrado Guzzanti) e una dolce barista di origine polacca (Kasia Smutniak), prova a cimentarsi, suo malgrado, in questa avventura...In un clima di imbarbarimento intellettuale, La Passione, è una riflessione più o meno satirica dei tempi decadenti e della volgarità che sta atrofizzando la cultura del belpaese. Gianni Dubois è l’incarnazione della tipologia di regista intellettuale che non si ritrova più con il clima di superficialità e di profitto che ormai sta intaccando il cinema (italiano e non), ormai uscito dal giro. Il tema non è nuovo, ma la differenza sta nel contestualizzarlo nelle problematiche che affliggono l’Italia. Mazzacurati non è tanto tenero neanche nei confronti della stampa, rea di assurgere a geni i registi emergenti per poi gettarli nei meandri del dimenticatoio: emblematica è l’esclusione dall’albero genealogico dei registi d’autore. Dubois fa fatica a riconoscersi in un mondo, quello dello spettacolo, dove non interessa la qualità, ma la quantità: la salvezza del regista è in una starlette televisiva presuntuosa che aspira ad un ruolo contemporaneo, ma non “sfigato” (una frecciata ai tanti attori per caso che si credono tali dopo una comparsata in tv). È vittima di produttori, attrici, del sindaco, indifferenti e preoccupati solo dei propri interessi. Neanche lui però, è un’anima “pura”: considerato un regista dal forte rigore morale, in realtà è un’ipocrita che non rispetta le norme di legge per la sua casa in subaffitto e la sua svolta è dettata più dalla paura di essere denunciato che dalla voglia di reagire all’apatia che lo tiene lontano dal mestiere che un tempo amava. Non cerca il riscatto, ma la possibilità di tornare alla ribalta, tanto da umiliarsi di fronte al meteorologo pur di convincerlo a recitare, nonostante lo consideri pessimo. Il suo blocco è derivato più dalla mancanza di dire qualcosa, che di una protesta verso una totale mancanza di buon gusto che ormai ha abbandonato la cultura italica; anche se tenta continuamente di partorire un’idea. Il cineasta si lascia travolgere suo malgrado dalla “lentezza” del paese di Fiorano, dove il cellulare prende solo in cima ad una casa abitata da un’anziana signora (divertente la scena della fila per fare una telefonata) e dove ancora si cerca di mantenere viva la tradizione. La volontà di voler rappresentare la Passione di Cristo è sintomo di recuperare le tradizioni di un paese un tempo ricco di cultura, definito ormai desueto e affogato nelle paludi dei reality show, programmi con le principesse, e talk-show/pollai. La scena della rappresentazione in cui Cristo/Battiston cade dalla sedia e il pubblico lo deride è il sintomo di una maleducazione delle persone e della cattiveria di chi giudica. La rappresentazione sembra un modo per riscattarsi, una sorta di salvezza per un paese alla deriva, come se volesse ricordarci che, nonostante tutto, si possono ancora recuperare dei valori ritenuti perduti. La Passione è un film sgangherato, leggero e divertente, con punte di patetismo verso la fine. Silvio Orlando è spaesato al punto giusto, Corrado Guzzanti offre una divertente parodia dell’attorucolo che si crede si atteggia a divo, ma la prova migliore la offre Giuseppe Battiston, con il suo Ramiro ex galeotto che si purifica e si riscatta nelle vesti di Gesù. Non è graffiante, cinico e cattivo come i film di Monicelli e Risi, ma di fronte alla miriade di film pseudo intellettuali, è una boccata d’aria fresca.

Voto: 7/8
A.M.

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