giovedì 3 marzo 2011

RECENSIONE: Il cigno nero


Titolo: Il cigno nero
Titolo originale: Black Swan
USA, 2010
Cast: Natalie Portman, Vincent Cassel, Barbara Hershey, Mila Kunis, Winona Ryder.
Sceneggiatura:Andres Heinz, Mark Heyman, John J. McLaughlin
Regia: Darren Aronosfky
Durata: 105'

Nina Sayers (Natalie Portman) sogna da sempre di diventare una etoile del New York City Ballet. Nina è sempre alla ricerca della perfezione, spronata fino all’eccesso da una madre (Barbara Hershey) che scarica su di lei la frustrazione di una carriera nella danza mai decollata.
L’occasione di fare il grande salto avviene con una nuova versione del Lago dei cigni diretta dal coreografo Thomas Leroy (Vincent Cassel), deciso a trovare una nuova “principessina” che sia in grado di arrivare ai livelli di Beth McIntyre (Winona Ryder), la stella del New York City Ballet ormai sul viale del tramonto.
Nina è perfetta per interpretare il ruolo di Odette/cigno bianco, ma Leroy non vede in lei il ruolo di Odile/cigno nero. Nina riesce a dimostrare a Leroy di essere in grado di incarnare entrambi i ruoli, ma la strada verso il successo è resa ancora più tortuosa dall’arrivo di Lily (Mila Kunis), giovane astro nascente della danza, meno perfetta sul profilo tecnico, ma in grado di sprigionare sicurezza e sensualità, elementi che mancano alla giovane danzatrice.
Nina si sottopone ad un estenuante allenamento pur di entrare nella parte, compiendo un processo di metamorfosi tale da farle perdere la percezione con la realtà.
Darren Aronosky torna alle atmosfere di The Wrestler e con fare da antropologo studia la sua creatura. Con la macchina a mano, in cineasta segue Nina mentre si reca al teatro, durante le prove, quando si allena a casa, mentre si destreggia tra le sue rivali. La macchina da presa è costantemente su di lei, sul suo volto segnato dalla fatica, registrando ogni suo passo e movimento delle braccia.
Il Cigno nero è un film fatto di corpi, corpi che vengono martoriati da ore e ore di sfibranti prove, dita sanguinanti, distorsioni alle caviglie, tanta sofferenza nascosta dietro la grazia e la perfezione di un salto e di una piroetta. Ciò che interessa al regista non è una traposizione moderna di Scarpette rosse, né una fedele versione del balletto classico di Cjaikovskji. Aronosfky si concentra sulla metamorfosi spirituale di Nina e sulla sua perdita di ogni inibizione.
Odile, il cigno nero trasformato da un maleficio si prende possesso di Nina poco a poco, entrandole dentro la carne e l’anima, liberandola da un senso di castità e purezza, fuggendo da una prigione dorata costruita da una madre apprensiva e castrante, la tipica madre americana che non riuscendo a realizzarsi da sola plasma e plagia la figlia con le proprie ambizioni tanto sospirate.
Aronosfky trasforma la leggiadria, la grazia e l’eleganza della danza in qualcosa di oscuro, torbido, al limite del gore. L’anima di Nina si fonde con il “male”, la sua stessa ombra è costantemente minacciata dal cambiamento, dal suo doppio. Se prima Nina è priva di una personalità propria e tende ad assomigliare il più possibile a Beth (Wynona Ryder) la stella dell'American Ballet votata al declino, successivamente scava nel suo io nella costante ricerca di sé, del piacere e della propria sessualità, ma soprattutto di un’età adulta che tarda ad arrivare.
Una metamorfosi interna che si traduce esternamente con graffi sulla schiena, dita impregnate di sangue, sguardi allusivi diretti ad una sconcertata e spaventata Nina. Aronosfky però come al solito tende all'esagerazione. Il cineasta pigia l’acceleratore sull’horror tendendo ad eccedere con scene al limite dell’impressionante, mal mescolando gli elementi forti e perversi con quelli drammatici alla “Eva contro Eva” , sesso e psicologia, e con cadute nel kitch (come la scena a casa di Thomas che le consiglia l’autoerotismo, mentre la scena lesbo, tanto chiaccherata al Festival di Venezia è solo una classica scena lesbo).
Bravi gli interpreti: Mila Kunis è una Lily disinibita e sensuale in perfetta contrapposizione con l’angelica innocenza di Nina. Natalie Portman merita l’Oscar solo per la scena della sua completa trasformazione in Odile, la sequenza più bella del film (una vera delizia, soprattutto per chi ama il balletto…), irriconoscibile nella sua trasformazione da timida impaurita e quasi irritante, a femme fatale sicura di sé in grado di sedurre.
Se Vincent Cassel è bravo nell’evitare di strafare nel ruolo di coreografo tiranno, così come Barbara Hershey che evita ogni isterismo pur rendendo il suo ruolo oppressivo. Ottimo è il cameo di Winona Ryder, melodrammatica stella cadente che non si rassegna a uscire di scena.
Il cigno nero è con una punta di imperfezione, ma terribilmente affascinante, che va metabolizzato lentamente e “assorbito” poco alla volta, ma una volta entrato in circolo lascia una sensazione di forte seduzione, lasciando lo spettatore stordito e intrigato come se fosse appena uscito da un labirinto ricco di passioni forti.

Voto: 7,5
A.M.

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