martedì 17 luglio 2018

CULT MOVIE: Persona

Il 14 luglio di 100 anni fa nasceva Ingmar Bergman e Mari di Redrumia ha voluto omaggiare il regista svedese con il gruppetto di bloggers. Director's cult per ragioni tecniche non ha potuto partecipare, ma ha deciso lo stesso di fare gli auguri in ritardo con la recensione di Persona.







Titolo: Persona
Id., Svezia, 1966
Cast: Bibi Andersson, Liv Ullman
Sceneggiatura: Ingmar Bergman
Regia: Ingmar Bergman
Durata: 85'


Una rivista inglese chiamata Stylist una volta definì Paul Verhoeven un regista femminista per aver rappresentato un personaggio femminile così forte in Elle e per aver trattato una tematica spinosa come lo stupro senza i pregiudizi maschili(sti) del caso. 
Cosa c'entra il regista olandese con Ingmar Bergman, nazionalità svedese e differente retaggio culturale e sociale? In un certo senso c'entra, perché anche il regista de Il settimo sigillo si puà definire femminista e con 50 anni di anticipo.
Persona infatti è - dal punto il mio punto vista femminile - un film femminista che rompe i tabù sessuali - a cominciare da immagini 'subliminali' di un pene in erezione mischiate a simbolismi religiosi da far impallidire le immagini messe 'a nascondino' da David Fincher in Fight Club.
Prima ancora del 1968 al motto americano de 'l'utero è mio e me lo gestisco io' e quasi 10 anni dopo delle femministe italiane al grido di 'tremate, tremate, le streghe son tornate!', le donne svedesi avevano (probabilmente) già a che fare con le beghe della sessualità in termini di pura esplorazione /sperimentazione e del concetto spinoso di maternità non voluta. Donne diverse accomunate dalla stessa difficoltà di svincolarsi dal ruolo predisposto di moglie e madre, due facce, una sola persona. 
Due volti, quello di Elisabeth (Liv Ullman), attrice teatrale che nel bel mezzo de L'elettra decide di smettere di parlare e il volto di Alma (Bibi Andersen), la giovane infermiera incaricata di prendersi cura di lei durante la degenza. Due donne, una sola persona, con un fardello da portare sulle spalle pesante come un macigno. 
Elisabeth non soffre di afasia, ma non ne vuole sapere di riprendere a parlare. E durante il soggiorno terapeutico al mare, Alma finisce parlare per due, un fiume in piena per sopperire alla mancanza di risposte e al mutismo assoluto dell'attrice.
Durante la permanenza alla casa al mare, Alma finisce per essere oggetto di studio di Elisabeth, carpendo i segreti di una giovane donna che involontariamente o forse no, ha trovato una persona con cui togliersi un peso che le schiaccia l'anima o solo poter raccontare una vicenda personale che viene considerata tabù dalla società dell'epoca. La giovane Alma finisce inconsapelvolmente per essere psicanalizzata da Elisabeth, che silenziosamente la ascolta come farebbe uno psicologo. E Alma si confida e racconta di quando era desiderosa di esplorare il sesso, finendo in un'orgia e rimanendo incinta per poi abortire. 
Alma rifiuta la maternità, ma il senso di colpa la pervade e la fa piangere, quasi vergonare per la sua promiscuità sessuale, ma almeno è stata coerente con la sua scelta.
Scelta che invece non ha osato fare Elisabeth, che ha avuto un figlio ma che trascura e rinnega, proprio perché non accetta il suo status di madre.
Sesso e maternità negata, due delle peggiori onte che la religione possa tollerare, che dovrebbero essere punite con le mani inchiodate e lo sgozzamento di un agnello (tipico simbolo del sacrificio) - come mostrato cripticamente dal regista nell'intro del film.
Ora, Persona non è un manifesto pro aborto, ma è un modo per esplorare il conflitto dell'essere donna in una società - non solo svedese - che stava cambiando verso una maggiore consapevolezza del ruolo femmininile che non è fatto solo di maternità. E Bergman nonostante utilizzi il suo retaggio religisoso, mostra queste due donne accomunate dall'angoscia di non essere all'altezza del ruolo di madre, facendo rinnegare la maternità ad Alma - ancorata comunque al rimorso - e al senso di inadeguatezza di Elisabeth che preferisce annullarsi quasi per non esistere più per quel ragazzino che rifiuta di voler crescere. I tempi cambiano in un terremoto sociale e storico dove in Vietnam i monaci buddhisti si danno fuoco in segno di protesta, in una società dove l'alienazione cominciava già a prendere piede e dove comunicare il senso di disagio era già difficile. I tempi cambiano e le donne vogliono essere padrone del proprio corpo e del proprio destino.
E se non puoi comunicare il tuo disagio, allora l'unica alternativa è il silenzio. Forse però l'unico modo per rompere questo silenzio è andare in un luogo sperduto e al sicuro, dove potersi scambiare i ruoli per potersi liberare da pesanti fardelli e poter ricominciare a vivere in qualche modo. Un modo per ricominciare a vivere anche per il regista svedese, che scelse il cinema per potersi liberare dalle angosce del suo retaggio culturale e religioso e per sfuggire dalla depressione che lo aveva attanagliato anni prima nonostante il successo. 
Ingmar Bergman fu un'anima tormentata e illuminata allo stesso tempo. E secondo me, anche femminista.


4 commenti:

  1. Grande, ci sei riuscita! Ti aggiungo subito alla mia lista ;)

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  2. Temo che anche questo l'avessi saltato. Ma cosa avevo in mente per preferirgli L'uovo del serpente??? T__T

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    1. Puoi sempre recuperare! Lo trovi in svedese sottotitolato in inglese su Daily motion!

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