Nuova rubrica di Director's Cult in collaborazione con Ho voglia di cinema: ogni mese prenderemo un film e analizzeremo la versione originale con il suo remake. Il primo è un grandissimo film firmato Alfred Hitchcock, Psycho: Gus Van Sant ha rifatto l'originale nel 1998, un vero e proprio shot for shot, riproponendo lo stesso identico film con le stesse identiche sequenze, ma a colori e con attori diversi. Sarà all'altezza del suo predecessore?
Ecco il link per leggere la recensione del remake:
Ho voglia di cinema
Ecco il link per leggere la recensione del remake:
Ho voglia di cinema
Titolo: Psycho
USA, 1960
Cast: Janet Leigh, Anthony Perkins, John Gavin, Martin Balsam, Vera Miles.
Sceneggiatura: Joseph Stefano.
Regia: Alfred Hitchcock.
Durata: 104'
Marion Crane (Janet Leigh) è una segretaria che lavora in un'agenzia immobiliare, ma sogna una vita diversa insieme al suo amante Sam Loomis (John Gavin), con cui intrattiene una relazione amorosa fatta di incontri fugaci in un hotel. Decisa a cambiare drasticamente la propria esistenza, Marion ruba la somma di un cliente dell'agenzia e decide di fuggire. Colta dalla pioggia battente e impossibilitata a guidare a causa della scarsa visibilità, trova riparo al Bates Motel di proprietà del mite Norman Bates (Anthony Perkins), giovane timido tiranneggiato dalla madre...
Alfred Hitchock con Psycho non realizzò solo il suo film di maggiore successo commerciale, ma anche un viaggio nell'oscurità, nei meandri nella debolezza, della deviazione umana, del vouyerismo e della sessualità, quando sul grande schermo vigeva il codice Hayes (codice di censura che cadrà a tutti gli effetti solo nel 1968), ovviamente mescolando le carte come solo lui sapeva fare.
Marion Crane è una donna insoddisfatta della propria esistenza, e cerca di fuggire da una realtà che ormai le risulta insopportabile. Nubile, intreccia una relazione clandestina fatta di incontri fugaci con un uomo in attesa di divorzio. Seduta sul letto semi svestita, in gonna e reggiseno, Marion Crane è una donna dalla prorompente sessualità, ma che sa far trasparire frustrazione e oppresione, e pensa che il denaro possa essere la chiave di accesso per avere una vita diversa. E se ne impossessa indebitamente per cambiare vita.
Ma a Hitchcock ovviamente non interessa la parabola esistenziale di Marion Crane, il grande Hitch si "serve" di Marion Crane per arrivare a Norman Bates e al suo Bates Motel.
Norman il solitario e mite proprietario di un motel che ormai nessuno frequenta più da quando hanno cambiato il percorso dell'autostrada.
Norman è una persona tranquilla, mite e gentile, vive con la madre invalida, donna gretta e bigotta che vieta al figlio di ospitare la giovane nella loro casa. Una donna troppo attraente, di una bellezza che colpisce Norman, uomo solitario che impaglia animali per avere una fittizia compagna.
La sensualità di Marion disturba Norman, che la spia da un buco dietro un quadro, e disturba anche sua madre, che vede in lei un nemico per il figlio da eliminare. E così fa.
Sotto la doccia, Marion diventa la vittima della più famosa scena di omicidio della storia del cinema, per via della crudele madre.(ci arriverà il suo pupillo/fan Brian De Palma 28 anni dopo con Omicidio a luci rosse, che cita tra l'altro Omicidio perfetto del maestro inglese).
Marion finisce sepolta nel lago, ma non interessa sapere se il colpevole verrà arrestato o no. Lo spettatore lo sa chi ha ucciso Marion Crane è questo al buon Hitch basta. Ci saranno le sue ricerche, certo, ma ciò che interessa sapere chi è Norman Bates. E perché la sua mammina cara, così cara non è.
Hitchock ama confondere e "accompagnare per mano" lo spettatore verso l'identificazione con Norman, persona così buona da sembrare a dir poco inquietante.
Chi è l'inquilino della casa desolata, e che rapporto ha con la madre? E' Norman a essere succube della madre, o la madre che non può vivere senza di lui?
Il migliore amico di un ragazzo è la propria madre. E questa frase raccoglie l'essenza del rapporto edipico che Norman ha sviluppato nei suoi confronti, donna che lo ha educato nella convinzione che ogni possibile ragazza rappresenti una minaccia, tutte malvage tranne lei. E Marion Crane lo rappresenta eccome questa tipologia femminile.
Hitchcock ci porta nei meandri della mente oscura di Norman, in un viaggio nelle deviazioni della mente umana, scoprendo piano piano le carte, e si scopre che Norman Bates e sua madre sono come un'unica entità, e l'arrivo inatteso di Marion Crane turba questa relazione esclusiva, diventandone vittima designata, inconsapevole di "essersi intromessa" nella vita di Norman.
Una vita in simbiosi che va difesa a costo della vita di Marion e del detective Arbogast (Martin Balsam), ingaggiato dalla sorella di lei, Lyla (Vera Miles), l'unica a scoprire la verità. Ma poco importa.
Nessuno è come sembra e solo gli specchi vedono il doppio di ogni individuo: lo specchietto retrovisore della macchina di Marion tradisce la colpevolezza del suo furto, così perfettamente celato dalla fuggiasca al poliziotto insospettito, lo specchio nella stanza da letto di Norman, che riflette o quasi il rapporto malato con la madre.
Ma non importa, perché il pubblico è attratto, spaventato, affascinato da Norman Bates, così buono da non nuocere nemmeno a una mosca. Come ci dimostra nell'ultima inquietante sequenza che ci regala il maestro del brivido.
Capolavoro noir venato di horror, vouyerismo, gotico e psicologia, Alfred Hitchcock ci regala un gioiello di suspence, e di perfezione tecnica, con quelle inquadrature ricche di immagini verticali e orizzontali, suggeriti dagli splendidi titoli di testa di Saul bass: dalla verticalità di una gru che taglia l'orizzonte della città in cui Marion si sente soffocare, o dall'orizzontalità delle persiane abbassate che nascondono i momenti passionali di Marion con Sam, il tutto arricchito dalle musiche di Bernard Hermann (celebre ormai il motivo della scena della doccia) e dalla bravura degli attori, con un Anthony Perkins così bravo nel recitare Norman da rimanere intrappolato nel personaggio nel corso della sua carriera.
Psycho è il capolavoro dell'io e del suo doppio, portandoci in un vortice di orrore e fascino senza fine, capace ancora dopo 53 anni di emozionare lo spettatore.
Voto: 10
A.M.
furbona!
RispondiEliminati sei presa il capolavoro originale, scaricando la riproduzione (comunque decente) alla povera antonella :)
E' stato un tacito accordo. :-p E poi io a casa italiana tengo l'originalo, mica lo scopiazzone! XD
EliminaScherzi a parte, il mese prossimo il remake tocca a me, e a lei l'originale. :-)
Ahahah ho fatto volentieri la recensione del remake, dato che ho visto l'originale tante volte!
RispondiEliminaComunque bellissima recensione e bellissimo film. Psycho è un film che non smette mai di stupirmi.
Direi che questo mese l'originale vince nel modo più assoluto!
Lascio il link della mia recensione http://hovogliadicinema.blogspot.it/2013/10/originale-vs-remake-psycho.html
RispondiEliminaAppena ho un po' di tempo mi guarderò il remake, ora sono curiosa! Abbiamo fatto un ottimo lavoro! ;-) Ora c'è solo da scegliere il prossimo film! Mi sa che devo rifare il codice, ci impiegherò 50 anni, gli anni che ha Psycho, ahahahahah! XD
EliminaInutile sperticarsi in elogi, scontati, dell'originale. Il remake invece è interessante, un'operazione stranissima: più che un rifacimento, infatti, è una vera e propria 'copia conforme', con perfino le stesse scene e le stesse inquadrature... il dilemma è sempre lo stesso: ha un senso un'operazione del genere? Si può considerare un omaggio oppure un plagio (seppur autorizzato?) Il dibattito è aperto...
RispondiEliminaSe è un modo per spingere a vedere la versione originale, ben venga! ;-)
Elimina