sabato 20 febbraio 2016

RIFLESSIONI: Hollywood e gli Oscar sono #SoWhite?



Ullallà, è tempo di Oscar, è tempo di rompere le uova nel paniere della cara Academy, sia prima con le nomination, che dopo, soprattutto se Leonardo DiCaprio non si porterà a casa quella benedetta statuetta. Quest'anno però, per mettere un po' di pepe al culo ai flaccidi e sonnolenti membri dell'Academy, ci ha pensato Spike Lee, che ha deciso di boicottare zio Oscar perché anche quest'anno (e l'anno passato, rimarchiamo, sentiti in colpa bloody Academy!!!) gli Academy Awards sono bianchi come il latte di mucca, facendo di conseguenza incazzare i vegani perché gli Academy non sono bianchi come il latte di soya. 
E vai di campagna boicotta l'Oscaaaar!!!
Ma a conti fatti, gli Oscar sono razzisti? E Hollywood, è razzista? Lo scopriremo con una riflessione semi seria firmata Director's cult.

Gli Academy hanno una mentalità aperta!
Snobbano i neri, le registe donne (ma non contiamo Kathryn Bigelow che quando gira un film pare n'omo) ma anche gli asiatici, e la comunità LGBT, ostentando una forma di discriminazione che tende a discriminare tutti per non offendere nessuno. A parte la comunità ebraica che premia i film sull'olocausto e nomina Steven Spielberg quasi sempre manco dovesse chiedere scusa per aver creato il ghetto di Varsavia ai tempi della guerra, e la comunità ispanica, perché due anni fa hanno premiato Lupita Nyon'go che ha passaporto africano, ma è nata in Messico,  mentre Alejandro Gonzales Inarritu è messicano pure lui e quest'anno si potrebbe portare a casa il secondo Oscar consecutivo.

StepOscar Adoption
Quest'anno la comunità omossessuale è abbastanza attiva tra le nomination, abbiamo ben - due lesbiche - due con Carol, diretto da un regista gay (snobbato lui e il film), e un transgender con The Danish Girl, ruoli interpretati però da eterosessuali. Col senno di poi, ti premiano Tom Hanks che fa il ruolo dell'avvocato gay e non premiano Sir. Ian McKellen per Demoni e dei,  che gay lo è veramente e in quel film interpreta il ruolo di un regista gay. Eh, ti piace vincere facile Ian, vero?
Ma è meglio non perdere di vista l'obiettivo, sennò si scatena la polemica nella polemica che oltre a essere bianca sarebbe pure un pelo omofoba.

Ma allora, sono razzisti o no?
Secondo Woophi Goldberg (seconda attrice afroamericana a vincerlo con Ghost), no perché lei un Oscar l'ha vinto pur essendo afro- americana; secondo Halle Berry sì, perché i ruoli offerti alle donne di colore non sono un granché e non vengono nominate a random come Jennifer Lawrence. Però cara, se tu vinci l'Oscar e poi fai Catwoman che cosa pretendi?

Ma Hollywood, tanti tanti anni fa, era razzista?
Urka se lo era. Ma lo erano anche i tempi, finché Rosa Parks non si rifiutò di cedere il posto a un bianco su un autobus, Martin Luther King non raccontò a una folla estasiata che aveva fatto un sogno e aver marciato a Selma, finché Malcom X rivendicava i propri diritti meno teneramente del reverendo, e finché le Pantere nere non si incazzarono difendendo la difesa - dell'auto - difesa,  la comunità afro-americana mangiava pane e razzismo quotidianamente. 
Se Halle Berry lamenta una carenza di ruoli fighi, all'epoca la rosa dei ruoli per le donne di colore era parecchio avvilente: la mammy, la zia Jemina, la tragic mulatto, e il ruolo della donna nella mixed couple. Poi arrivò Dorothy Dandridge che fece un ruolo inusuale in una versione moderna e 'all black' della Carmen di Bizet in Carmen Jones e boom! Fu la prima donna afroamericana a ricevere la nomination agli Oscar come miglior attrice protagonista femminile, Premio che poi andò 40 anni dopo ad Halle Berry, che, ironia della sorte, aveva recitato Dorothy Dandridge in un biopic. Nel film, Dorothy Dandridge era stata ingaggiata per uno show in cui doveva cantare, ma non le era permesso di usare il bagno, avendo a disposizione un comodissimo bicchiere da usare in caso di emergenza pipì. Da questa scena si evince come venga apprezzato il talento di una artista di colore, ma come allo stesso tempo la sua etnia rappresenti un problema per la società. E da come l'Academy abbia nominato Dorothy Dandridge all'epoca, si evince che il talento viene pur sempre riconosciuto. Talento che venne (e viene) apprezzato in Sidney Poitier, l'uomo di colore educato e rassicurante, insomma, con le carte in regola per entrare nelle grazie di mamma Hollywood, capace però di iterpretare film adatti sia a un pubblico afroamericano, che caucasico, come fa Denzel Washington, che è il suo erede perfetto.

Hollywood però non ha mai premiato un regista afro-americano. E Steve McQueen?
Se Spike Lee non stesse sui maroni ai membri dell'Academy, sarebbe stato probabilmente il primo regista afro-americano della storia a vincere la statuetta che quella mozzarellina di DiCaprio ci sta morendo dietro da vent'anni. Eh, un momento, ma Steve McQueen non ha vinto per 12 anni schiavo?
Non si sa per quale oscuro motivo, SteveMcQueen viene considerato afro-americano perché di colore ed è stato premiato dal più prestigioso ente americano da mamma Hollywood. 
Un po' come Jennifer Lopez che viene scambiata dai produttori americani per italiana. O forse siamo noi italiani che la scambiamo per una terrona (per metà lo sono io, quindi popolo terrone scaldatevi di meno e mangiate più anduja), quando è americana di prima generazione proveniente da una famiglia portoricana. 
Siccome sono stronza, rincaro la dose e rompo ancor di più i maroni: Steve McQueen, in realtà è inglese, londinese DOC, con una probabile, (essendo nato sul finire degli anni Sessanta) se non certa discendenza caraibica (e quindi America Centrale, non Africa, ho controllato su Wikipedia, ah!) - etnia ampiamente assoggettata al colonialismo inglese -  cui successivamente una gran bella fettona si era trasferita a Londra una cinquantina di anni fa per lo più nel quartiere di Brixton, Notting Hill (negli anni Sessanta, dando origine al carnevale sputtanato in nome 'della bevi la bumba per due giorni di fila') e a nord nel distretto di Seven Sisters e Hackney a Est. 
A voler rompere ancora di più i maroni, se vogliamo considerare McQueen come primo black director, nella speranza di non suonare razzista -  anche se per gli anglo-indiani indicare una persona di colore se la chiami 'black' lo è, o se la chiami con l'obsoleto coloured vieni tacciato di razzismo come è successo a Benedict Cumberbach - è il primo vincitore della storia degli Oscar, ma se consideriamo la questione dal punto di vista del rispetto delle varie etnie che popola questo triste mondo malato e dal punto di vista di patria America che non so se farebbe gioire o incazzare Donald Trump, se Spike Lee se dovesse vincerne uno, eccerto che sarebbe il primo afro-americano della storia a vincerlo. 
Ma siccome Lee è un po' sfigato, lo è pure due volte: il primo, perché sta sulle balle all'Academy perchè rompe le balle, il secondo perché Steve McQueen è di colore e l'ha fregato in partenza, se non ci arrivava prima John Singleton con Boys in the Hood vent'anni fa.

E se l'industria non offrisse tanti ruoli agli afroamericani, finendo per auto-ghettizzarsi?
Per capire come funziona l'interazione tra diverse etnie, basterebbe guardare un episodio di Orange Is the New Black: in gattabuia le afroamericane stanno con le afroamericane, le latine con le latine, le bianche con le bianche, piazzandoci la biondissima, coltissima e waspissima protagonista nel mucchio. A prima vista, è un bel mazzolin di cliché, ma considerando che l'autrice del serial è Jenji Kohan, che ha fatto fortuna su un'altra serie sulla cannabis, sa di presa per i fondelli degli stereotipi. Ma quando si tratta di industria cinematografica, il sistema funziona proprio così: un determinato genere per i bianchi, un determinato genere per gli asiatici, uno per gli ispanici e uno per i neri. E' sempre stato così, dai tempi dei race movies dove il produttore afromaericano Oscar Micheaux aveva creato un universo parallelo alla bianchissima Hollywood, dimostrando che i neri potevano essere bravi, buoni, ben educati e di un certo spessore sociale. Insomma, ci era arrivato almeno 60 anni prima del telefilm dei Robinson. Poi venne la Blaxploitation, dove il Black Power era arrivato anche al cinema salvando le chiappe delle major, dando spazio agli afroamericani e spianando loro la strada a futuri registi come quel rompi maroni di Spike Lee. 
Il suo film d'esordio She's Gotta Have It, rompe le acque presentando una donna di colore indipendente, sessualmente libera che sa quello che vuole, anticipando di una quindicina di anni quel Sex and the City che piace tanto a noi pollastrelle mozzarelle, ma magari anche un po' a tutte le polle in generale. Lola Darling agisce come una donna bianca (anche se poi sceglie un buppie, lo yuppie afroamericano), dimostrando che lei è libera esattamente come una donna bianca newyorchese. Il film è l'esordio di Spike Lee ed è un bel film, ma da spettatrice bianca, mi vien da chiedere: possibile che negli anni Ottanta una donna fica come Lola, così indipendente e così libera non abbia un'amica di etnia caucasica, asiatica o ispanica? E soprattutto, perché una donna sessualmente aperta come Lola non si tromba un uomo di etnia caucasica, asiatica o ispanica?
E' anche vero che le commedie interpretate dai neri hanno un appeal maggiore per la comunità afroamericana, così come le commedie interpretati dai bianchi hanno un chiaro appeal per la comunità causacasica. D'altronde il business è business:  un gelato lo venderesti prima a un bambino, o a un adulto fissato con la dieta?
Pensate a un film come Think Like a Man: sembra una versione maschile di Sex and the City, ma nel gruppo, c'è solo un amico bianco, e per di più ha un ruolo marginale. Possibile che nel Ventunesimo secolo un afroamericano, che per dindirindina, è un americano, non abbia nelle cerchie un amico di etnia asiatica o causasica, e viceversa?

E se Spike Lee fosse (inconsapevolmente) razzista a sua volta?
Premetto che a me Spike Lee piace. L'ho un po' perso di vista dopo Inside Man, ma lo stimo sempre, Però caro Spike Lee, hai scassat'u'cazz. Spike Lee è il duro e puro della comunità afromaericana, l'icona per eccellenza del Black power. Ma fino agli anni 2000, anno in cui decise di dirigere un cast prevalentemente bianco in Summer of Sam, il suo cinema era rivolto esclusivamente al pubblico di colore. Che, se da un lato è puramente legittimo usare quel potere acquisito all'interno dell'industria dedicando film alla comunità afroamericana dandole più forza e per lo più con bellissimi film come Malcom X o Mo' Better Blues, dall'altro chiude la porta in faccia all'integrazione tra diverse etnie, pur lesinando sforzi in spot 'black and withe' per la Swatch (ma ci era già arrivato prima il bianchissimo e per di più italianissimo Oliviero Toscani per Benetton) e film sul razzismo come Fa la cosa giusta. 
Ed è sacrosanto suo il diritto di fare uno studio antropologico sul razzismo e  lo fa pure in grande stile con Fa la cosa giusta, con il monologo in cui il bianco insulta il nero, il nero insulta il bianco e l'ispanico insulta entrambi. Allo stesso tempo però non si esime dai cliché che la sua stessa etnia ha provato, dove la comunità bianca è rappresentata dal cliché dell'italoamericano che a quanto pare, sta parecchio sui maroni all'afroamericano se  poi successivamente dedicato un'intera problematica della mixed couple in Jungle Fever, dove l'architetto di colore si innamora della segretaria italoamericana che riceve insulti a iosa da entrambe le 'casate'. 
Cellà con Quentin Tarantino, che, amando la comunità di colore tanto tanto in modo assurdo (cit.), osa fare: un film che omaggia la Blaxploitation, un film che tratta la schiavitù e osa far dire la parola 'negro' a Samuel L. Jackson. Che, se lo dice un nero non è un insulto, ma se lo dice un bianco sì. Però se un bianco lo fa dire a un nero allora lo fai incazzare. Vero Spike? Non sapevo che ci fosse un copyright sulle parole. In tua difesa è pur sempre vero che se un  lumbard DOC mi da della terrona, io mi incazzo e rimarco le mie origini lombarde (sono come J-Lo, ma lumbard di prima generazione!), ma se sono con il mio amico che è terrone DOC gli do' del terrone sento che fa un po' community, quindi forse è per quello che Spike può dire la parola 'negro' e ce l'ha con Quentin se la usa. Ma Quentin è figoso, non è che gliela puoi prestare ogni tanto? Farebbe tanto unione come il tuo spot Black and Withe della Swatch, no?

Ma perché non posso parlare di una argomento che non mi appartiene?
Dunque, ritorniamo a Steve McQueen. Il regista inglese e non americano ha parlato della schiavitù. E nessuno, manco Spike ha detto beh. Lo fa Quentin Tarantino, e Spike s'incazza. Ora, entrambi non hanno le carte in regola per parlare della schiavitù, poiché vige la legge 'ognuno a cà propria': in teoria McQueen avrebbe dovuto occuparsi di tematiche più consone al proprio background culturale, ergo del colonialismo inglese, e Quentin si sarebbe semplicemente dovuto fare i caz°i suoi. Così come altra polemica agli Oscar è che un film all black come Straight Outta Compton sia stato nominato alla sceneggiatura perché gli sceneggiatori sono bianchi. Quindi, fatemi capire, se 4 bianchi non sono in teoria 'autorizzati' a scrivere del mondo hip-pop di colore, io allora dovrei riscrivere da capo la tesi di laurea sulla Blaxploitation e farne una sul cinema italiano, da brava italiana, giusto? E se ascolto i Beastie Boys va  bene, ma se ascolto Notorious BIG non capisco un caz§o ed è meglio se ascolto gli Articolo 31?

Ma quindi, sti' Oscar, sono razzisti o no???
Il presidente degli Academy Awards è una donna afromericana, quindi no, non è razzista l'Academy. L'Accademy è solo ottusa: i membri sono anziani e hanno un raggio di azione visiva degna di una talpa. E quindi si perdono un sacco di film, preferendo andare sul sicuro con film che rispettano i loro canoni di sta' ceppa. Pare che la bianchissima mozzarellissima Penelope Ann-Miller si sia sbracciata per far includere Beasts of no Nation e Idris Elba, il vero scandalo dell'esclusione perché è bravo al di là del colore della pelle. Che poi non avrebbe fatto alzare le quote afroamericane nemmeno lui, perché è londinese DOC. Se la polemica viene vista dal quel punto di vista etnico-culturale, come spiegato sopra parlando di McQueen.
Quindi il problema sarebbe nel smettere di classificare le persone, in nome del business, cosa che Hollywood fa a prescindere da una vita. Una diversificazione dei ruoli porta a ruoli appetibili per l'Oscar. La schiavitù è finita da più di 200 anni, Quentin Tarantino ha chiesto scusa a modo suo con Django Unchained e ha soprattutto sfilato contro i poliziotti razzisti. Perché un uomo bianco non si può interessare della cultura musicale nera, o perché un afromaericano non fa un film sulla comunità italiana o ispanica ripulendola dai cliché imposti dall'industria? Messa così sembra il ragionamento di un bambino, ma allo stesso tempo è ovvio: siamo esseri umani. Il mondo è bello perchè vario, se fossimo tutti uguali, avrebbe senso invadere il mondo con la nostra sovrappopolazione? Perché we are the world, we are sto' caz°o. 
Dunque, di film per le donne e uomini bianchi ce ne sono a iosa, ma perché non diversificare il mercato offrendo qualcosa di diverso in un contesto normale e non politicamente scorretto? Altrimenti si finisce come nella gattabuia creata dalla Kohan, dove Black Cindy mangia in mensa con Crazy Eyes e Gloria Mendoza lavora insieme a Flaca Gonzales. E Piper è sempre in mezzo al mucchio. 


6 commenti:

  1. Kubrick, Hitchcock, Welles, Altman, Chaplin, Lumet, Lynch, Malick... e l'elenco potrebbe continuare. Sono solo alcuni nomi di registi che non hanno mai vinto un oscar nella loro categoria. Secondo te è più grave questo o il fatto che siano bianchi o neri?
    Sono perfettamente d'accordo con te: l'Academy è ottusa, ma non razzista: i suoi seimila giurati hanno un'età media di 70 anni, e provengono quasi tutti dai salotti buoni di Hollywood: per questo, come ripeto sempre, non possiamo aspettarci che certi tipi di premi e premiati. L'Academy è un circolo chiuso che premia se stesso, e tutti quelli che non rispondono ai suoi canoni vengono sistematicamente lasciati fuori (per questo, ad esempio, è inutile lamentarsi se non danno l'oscar a Tarantino o a Nolan). E, come giustamente dici, il fatto che così pochi neri siano stati premiati rispecchia il Paese (cioè gli Stati Uniti) più che l'Academy, che quando ha potuto gli Oscar a Denzel Washington, Halle Berry, Jamie Foxx e Forest Whitaker li ha dati (compreso quello - scandaloso - a Cuba Gooding jr. per "Jerry Maguire").

    La polemica di Spike Lee è pretestuosa, a mio avviso creata ad arte da un regista ormai "bollito" che da anni non riesce più a girare un film decente e cerca solo un po' di visibilità. Potremmo stare qui per ore a scannarci su quale attore o regista meritava o non meritava l'oscar, ma certe stupidaggini a sfondo razziale, per favore, lasciamole perdere...

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    1. Uh, pensa che Altman si giocò l'Oscar per Gosford Oark perché ha detto che l'Academy non aveva capito una mazza nell'aver premiato Titanic. Eh aveva pure ragione ahahah! A me piacerebbe che quest'anno vincesse Mad Max: Fury Road, proprio per svecchiare questa giuria di vecchiacci e dare una svolta all'Academy verso una direzione più moderna. Ma vincerà Inarritu più per una questione etnica, che per una capacità artistica, che tra l'altro aveva già dimostrato di avere l'anno scorso. E' l'industria che deve anche svecchiarsi e diversificare i ruoli, affinché tutti abbiano le stesse chance. Ma è pura utopia al momento... Comunque intanto, Spike Lee al di là del suo stato di cottura (e ripijate!) ha almeno smosso una riflessione sul sistema. E se Jada Pinkett Smith vuole più ruoli, beh che diventi produttrice e cominci lei la svolta!

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  2. se quest'anno non c'erano attori afro con interpretazioni da nomination cosa dovevano fare? Adesso vogliamo pure le "quote nere", nominare qualcuno per forza solo per il colore della pelle sennò s viene definiti razzisti?Qualcuno ha fatto notare che alcune squadre di pallacanestro sono composte esclusivamente da giocatori di colore...però nessuno dce nulla. E' il solito vittimismo che purtroppo contraddistingue spesso gli afroamericani anche quando non avrebbero motivi particolari per lamentarsi.E' una polemica preteatuosa come tante, tant per far parlare della cerimonia...

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    1. Ah, se per questo avremmo bisogno delle quote rosa, delle quote asiatiche, delle quote LGBT, ci vorrebbe una associazione grande quanto l'America intera per formarla!
      :-D In teoria la diatriba è partita perché film validi come Selma e attori come David Oyelowo e Ophra Wimphrey erano stati snobbati l'anno scorso e quest'anno è toccato a Beasts of no Nation e a Idris Elba. Penso che la situazione sia più complessa legata al tessuto sociale americano e la diatriba Oscar sia solo la goccia che fa traboccare il vaso dopo i cronici episodi di razzismo da parte della polizia, ormai è ciclico. Però l'Academy non è razzista è solo ottusa. E ogni pretesto è buono se magari questa volta servirà a svegliare l'industria. Chi lo sa!

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  3. Anche a me Spike Lee piace. Anche a me queste polemiche di Spike Lee hanno stancato. La vedo al tuo stesso modo, l'Academy è vecchia e ottusa, a volte premia dei neri quasi solo per dimostrare di non essere razzista, altre volta si dimentica inspiegabilmente di qualcuno. Ottimo articolo!

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    1. Grazie! L'Academy fa delle dimenticanze oscene, al di là del colore della pelle, probabilmente vincerà Inarritu solo perché è messicano, per non dimostrare di essere razzista come giustamente dici tu. A essere razzista è l'America, quando succedono i fatti che hanno spinto a protestare contro i poliziotti, sembra di tornare agli anni Settanta, con la differenza che ora una buona percentuale degli americani ha la pistola nel diritto della difesa -dell'autodifesa, che fortunatamente non si porta in giro come al far west.

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