*Il fascino indiscreto di una recensione retrò*
Titolo: Somewhere
Cast: Stephen Dorff, Elle Fanning, Chris Pontius, Laura Chiatti.
USA, 2010
Sceneggiatura: Sofia Coppola
Produzione: American Zoetrope
Regia: Sofia Coppola
Durata: 98’
Johnny Marco è una star di origine italiana che vive nel sontuoso hotel Chateau Marmont.
Le sue giornate fuori dal set sono scandite da lunghe corse con la sua Ferrari, feste a base di alcol, belle donne e show di lap dance.
La sua esistenza vinta dall’apatia viene scossa dall’arrivo di sua figlia Cleo (Elle Fanning), undicenne appassionata di pattinaggio sul ghiaccio. L’inaspettata permanenza di Cleo costringe Johnny a fare conti con l’artificiosità di ciò che lo circonda.
Il cinema di Sofia Coppola è costituito da luoghi in cui i suoi personaggi conducono una vita soffocata (Il giardino delle vergini suicide), un posto come punto di incontro tra due persone che vivono un senso di smarrimento (Lost in Translation) o come un piccolo universo edulcorato e ben protetto dalla realtà (Marie Antoinette).
Somewhere sembra essere la continuazione di queste sensazioni/posti dell’anima: il personaggio di Johnny vive in una sorta di limbo, un esilio dorato dove tutto è anestetizzato e dettato dalla noia.
L’arrivo della dolce Cleo è come una sorta di uragano che spazza via l’immobilità esistenziale del padre. Come gli uragani, dopo lo scompiglio torna la quiete, ma nell’animo di Johnny vi è la consapevolezza dell’inutilità di ciò che lo circonda e la mancanza di uno scopo.
Sofia Coppola tende a “impoverire”, gioca di sottrazioni per mostrare questo stato d’animo. Però c'è qualcosa che non va, perché il problema di fondo è come attua queste privazioni.
I cliché infatti non mancano: belle macchine, donne provocanti, amanti di una notte, feste, sbronze e piccoli incidenti, come se volesse sfatare a tutti i costi il glamour della star hollywoodiana, come se ci dicesse che in fin dei conti fare l’attore non è così cool, ma una roba “pallosa”.
La parte italiana ambientata alla premiazione dei Telegatti poi è infarcita di ulteriori luoghi comuni, mostrandone soltanto il lato trash; tanto da far fuggire i due protagonisti yankee (ma è così risaputo che la televisione made in italy sia così scadente, al punto da suscitare pena anche agli americani?). Evidentemente la giovane regista newyorchese non ha avuto un gran ricordo del belpaese. Come una sorta di mockumentary (fiction spacciata per un reality show/falso documentario), Sofia Coppola mostra minuziosamente la giornata della star italo-americana fatta di promozione, conferenze stampa, massaggi, lunghe sessioni di trucco, dove il nostro eroe si muove spaesato, quasi obbligato ad adempiere questi doveri così impegnativi.
Il tedio poi è la costante che pervade in tutta la pellicola a cominciare dalla prima sequenza: con un totale si mostra un luogo deserto percorso da una ferrari nera. La macchina si avvicina lentamente e in maniera impercettibile con uno zoom, con il bolide che percorre lo stesso identico percorso.
La voluta frammentarietà degli eventi porta ad un effetto videoclip, acuito dalla durata della canzone studiata appositamente da Coppola, che si dimostra ancora una volta una buona conoscenza della musica pop e rock. Peccato però che la colonna sonora curata dal gruppo francese Phoenix non venga utilizzata al meglio ma solo a sprazzi, preferendo puntare su una tracklist che su una colonna sonora vera e propria.
Il fatto che Johnny Marco sia così annoiato e vuoto, e affronti la sua vita in maniera meccanica come se fosse un lobotomizzato, provoca disinteresse nello spettatore, che rischia di annoiarsi quanto l'attore bello e (poco) dannato.
Il cerchio si chiude e Johnny ripercorre la strada battuta inizialmente, vagando verso chissà quale meta, ma alla fine non importa dove va e soprattutto cosa farà in futuro. Il fatto di aver volutamente svuotare lo spessore del personaggio comporta proprio tale disinteresse. Perché la problematica di fondo è: se Mr. Marco per primo dimostra disinteresse, perché mai dovremmo interessarci di lui e di quello che fa? Per fortuna l'interesse arriva con la giovane Cloe interpretata da una brava Elle Fanning, che porta un po' di vita al film, soprattutto con la scena in piscina, che è semplicemente deliziosa.
L’elemento positivo del film consiste nel paradosso di non volere piantare la visione a metà, forse perché ci si aspetta che avvenga qualcosa e la semplicità della storia tende a non appesantire la pellicola.
Sofia Coppola comunque "tiene in piedi la baracca" con mestiere ed è un'ottima direttrice di attori: Elle Fanning è brava e si scrolla di dosso l’etichetta di “sorella di” (Dakota Fanning, ndr.), mentre è interessante vedere un bravo Stephen Dorff in un ruolo inusuale.
Scomodare Michelangelo Antonioni è eccessivo (e fuorviante): Somewhere è un puro elogio della vacuità.
Voto: 5
A.M.
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