mercoledì 8 gennaio 2014

MONOGRAFIA: Melvin Van Peebles




Melvin Van Peebles diede una scossa negli anni Settanta diventando il co-fondatore della Blaxploitation, il ruggente cinema afroamericano.
Nato a Chicago nel 1932, Van Peebles non aveva iniziato la sua carriera come regista. Dopo la laurea ottenuta nel 1953 alla Ohio Wesleyan University, era entrato a far parte dell’aereonautica statunitense, come riserva dei Corpi di Addestramento degli Ufficiali per tre anni e mezzo, diventando navigatore al radar di un bombardiere a reazione. Dopo quella esperienza decise di partire per il Messico, dove fece il ritrattista, nonostante fosse laueato, studi che continuerà in in Europa, per conseguire un dottorato in astronomia.
Il periodo trascorso in Europa fu colmo di creatività: cominciò a dipingere, prima in Olanda, poi in Francia. A Parigi frequentò la scena underground e collaborò alla rivista di fumetti “Hara-Kiri”. Van Peebles entrò in contatto con vari fumettisti, tra cui Topor e Wolinski, adattando per l’edizione francese di MAD (rivista americana underground di fumetti) delle strip dai lavori dello scrittore Chester Himes, artista di colore emigrato in Francia[1].
Al ritorno in America, Van Peebles decise di entrare nel mondo della cinematografia, convinto di poter girare un lungometraggio anche senza un’adeguata preparazione[2]. Nonostante ciò, nel 1957 diresse un cortometraggio, Sunlight, e l’anno successivo Three Pickup Men for Herrick. Dopo altri due cortometraggi esordì nel 1968 con The Story of a Three-Day Pass, che riprese lo stile della nouvelle vague francese. Girato in Francia (il film ha anche un titolo francese, Le Permission) e tratto da un romanzo scritto dello stesso regista, narra una storia d’amore interraziale tra un militare afroamericano in licenza a Parigi e una ragazza francese. La pellicola presenta già l’ironia caustica del regista, ridendo apertamente degli stereotipi sugli afroamericani e sugli europei. Questo film rappresenta un connubio tra la cultura francese e quella afroamericana.
Con grande sensibilità e intelligenza, Van Peebles articola i sottili meccanismi delle relazioni interrazziali. Il secondo lungometraggio fu Watermelon Man (L’uomo caffèlatte, 1970), prodotto dalla Columbia Pictures. Il film mette in scena le vicissitudini di Jeff Gerber, un agente delle assicurazioni bianco, bigotto, sessista e soprattutto razzista, che un giorno si sveglia afroamericano. Van Peebles firma una commedia grottesca che comunque offre una drammatizzazione di un incubo dell’inconscio bianco, con uno stile che richiama le avanguardie francesi. Il film non ebbe successo quindi il regista decise di girare un piccolo film indipendente, senza l’aiuto economico delle grandi case di produzione hollywoodiane.
Nel 1970 Van Peebles visse una fase creativa molto irrequieta. Aveva in mente un nuovo film e decise di sviluppare questa idea nel deserto del Mojave, in pieno contatto con la natura selvaggia. Secondo le idee rivoluzionarie di Van Peebles, l’uomo afroamericano doveva liberarsi dalla schiavitù e con il suo nuovo film voleva dimostrare alla popolazione colored il modo con cui raggiungere la tanto agognata libertà[3].
Con Sweet Sweetback’s Baad Asssss Song esplose la Blaxploitation. Van Peebles curò la regia, il montaggio e la musica e interpretò il protagonista. Costato appena 150.000 dollari, ne incassò più di quindici milioni, salvando la MGM (che lo aveva prodotto) dal collasso economico. Con questa pellicola, Van Peebles riuscì a dimostrare al mondo di Hollywood la potenziale redditività di film sui colored realizzati con un budget ridotto.
Il regista afroamericano si occupò non solo della regia, ma anche del montaggio e della musica. Come un “colpo di spugna”, il film cancellò la versione del buon afroamericano integrato nella società dominata dai bianchi, incarnata dalla faccia rassicurante di Sidney Poitier, primo attore afroamericano a vincere un Academy Awards come attore protagonista. Nonostante il grande successo del film, la carriera di Van Peebles continuò con fatica, a causa del suo atteggiamento provocatorio poco amato da un’industria tradizionalista come Hollywood.
Nel 1973 diresse un musical Don’t Play us Cheap. Dopo otto anni di assenza, tornò con una serie televisiva dai contenuti provocatori The Sophisticated Gents, dove affrontava temi scottanti come la sessualità interraziale e l’omosessualità, ma non riuscì a ripetere i fasti di Sweet Sweet Back’s Badasssssong.
Negli anni Novanta si impegna sul set come attore più che come regista: recita in Posse, diretto dal figlio Mario e in Panthers, film sulle pantere nere diretto da John Singleton. L’ultimo lavoro dietro la macchina da presa è un cortometraggio diretto nel 1995, Vroom Vroom Vroom. Il cortometraggio rappresenta la storia di una strega che realizza il sogno di un giovane di possedere una motocicletta e di conquistare la ragazza di cui è innamorato, ma alla fine il ragazzo rinuncia perché vuole realizzare i suoi sogni da solo, in modo indipendenze, senza aiuti esterni.
Il suo ultimo lavoro risale al 2003 con The Real Deal, un cortometraggio per la televisione, mentre nel 2004 ritorna a recitare in Badasssss! Documentario diretto dal figlio Mario che ripercorre la produzione del mitico film che lo fece entrare di diritto nella storia del cinema.
Anche perché senza di lui non ci sarebbe stata la Blaxploitation.
 



[1] Minganti, Franco, “Tre o quattro sfumature di nero. Il cinema afroamericano”, in Brunetta, Gianpaolo (a cura di), Storia del cinema americano. Vol II, cit., p.1362
[2] Donalson, Melvin, Black Directors in Hollywood, Austin, University of Texas Press, 1997, p.19.
[3] James, Darius, That’s Blaxploitation! Roots of the Baadasssss’ tude (rated x by an all-withe jury), cit., p. 12

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