lunedì 14 novembre 2016

RECENSIONE: Knight of Cups



Titolo: Knight of Cups
id. USA, 2015
Cast: Christian Bale, Cate Blanchette, Natalie Portman, Wes Bentley.
Sceneggiatura: Terrence Malick
Regia: Terrence Malick
Durata: 118'


Se ci fosse uno stile poetico da attribuire all'estetica di Terence Malick sarebbe l'ermetismo.
Poche parole che hanno un significato da decifrare, poche parole che riescono a spiegare tante cose in poche righe.
Malick usa poche parole, lasciando il resto alle immagini, come fa per il suo nuovo film (e come sta facendo da molto tempo), con Kight of Cups.
La storia di Rick che è depresso e non sa come muoversi nella giungla hollywoodiana e nella giungla di sentimenti è così scarna da sembrare la storia della vacca Vittoria, muore la vacca e finisce la storia. A prima vista Knight of Cups è la rappresentazione del nulla cosmico: Rick è depresso e non è più felice della sua vita. Fine della storia.
In realtà oltre ai completi di Armani che il fascinoso Christian Bale indossa per tutto l'arco del film, c'è di più.
Dire genialità è una parola grossa al limite del ridicolo (e le parole che pesano nell'ermetismo vanno pesate e non buttate come macigni), ma Malick usa il vuoto per rappresentare il vuoto. Nel senso, usa il cliché della vita modiaiola-festaiola di mamma Hollywood per fare una dissertazione sulla pochezza dell'uomo moderno, dove il segreto della felicità consistenell'avere tutto, anche se in realtà non hai niente, solo la tua pochezza di essere umano.
Rick infatti ha tutto: ha un lavoro da sceneggiatore a Hollywood, ha vestiti alla moda (Armani, mica Primark), una casa arredata in mininal chic, ma così minimal al punto da deludere i ladri che non possono rubare nulla, feste che durano fino all'alba e amanti a volontà, praticamente tutto quello che un uomo di successo vorrebbe avere.
Rick in realtà non ha niente: ha una vita affettiva vuota, fatta di donne che passano per un attimo senza lasciare una traccia nella sua anima, così come ha una vita familiare difficile e piena di rancori, alla quale si aggiungono il fallimento di un matrimonio e di un'altra relazione che poteva essere duratura.
La sua anima è arida, e c'è solo posto per la depressione, che non gli fa godere il piacere di essere amato anche solo per un fugace momento, nemmeno di godere di quei privilegi che in pochi possono avere in un mondo dove il divario tra le classi sociali è sempre più evidente.
Scomodando Federico Fellini (nella speranza che il sommo non si ribalti nella tomba come temono i detrattori di Malick) - che in 8/12 inaugurava un nuovo cammino cinematografico dove sperimentava la psicologia di Jung per analizzare la frustrazione di un regista in crisi creativa che vive una vita tra la realtà e il flusso di coscienza costituito dalle sue molteplici amanti - Malick fa più o meno lo stesso, utilizzando l'uso della cartomanzia coniugata con il suo modo filosofico di vedere (e giudicare) la società opulenta che il microcosmo di Hollywood racchiude,
L'uso dei tarocchi a dire il vero è affascinante per come Malick riesce a usare la credenza popolare che carpire i segreti del destino: anche se in realtà siamo i fautori del proprio destino, ci sono delle forze invisibili che agiscono su di noi, modificando sensibilmente il corso degli eventi.
Destino che Rick distrugge, lasciandosi scivolare addosso tutto questo mondo favoloso  con donne che vorrebbero amarlo, facendosi sfuggire la possibilità di riconciliarsi con il padre e il fratello, e lui non riesce nemmeno a capirlo, cercando costantemente di trovare uno stimolo che scuota la sua apatia, cercando di capire dove ha fallito anche se il suo completo firmato e il suo lavoro dicono il contrario.
Rick il fante di coppe (rovesciato), vaga per feste-belle donne-feste-belle donne-feste-belle donne, ma non ne trae godimento, al punto da far sembrare questa 'routine' che molti sognano in pura noia.
Come se Malick vorrebbe dire l'ovvio 'cosa c'è di più vuoto di una vita fatta di pura vacuità, il puro nulla che la società odierna sta producendo, spacciandolo per necessario?'
La luna (una ragazza piena di vita che vuole divertirsi), l'impiccato (l'impossibilità di conciliarsi con la famiglia), l'eremita (specchiarsi nell'amoralità di un mondo finto), il giudizio (l'unica donna che ti ha capito fino in fondo), la torre (la serenità che può inforndere una breve relazione), la sacerdotessa (la decadenza di Hollywood), la morte (l'aver rovinato con una scelta sbagliata una storia d'amore importante) e la libertà (l'innocenza che può spingere a vedere oltre la vita fatta di finzione) sono le carte che il fante di coppe cerca di decifrare per capire cosa ha sbagliato nel passato, cercando di trovare una risposta per riprendere in mano le redini della propria vita.
Non tutto è perfetto in Knight of Cups, lodarlo e adorarlo fa sembrare di te un radical chic ante litteram, così come odiarlo fa sembrare che tu non capisca una mazza di cinema (anche se non è vero). La sua regia fatta di soggettive ormai è il suo marchio di fabbrica, e poco importa se arriva a farti venire il mal di mare (e che francamente ha un po' stufato), così come le voci over sono al limite della sopportazione, facendo considerare il suo stile una 'solita solfa', tale da rimpiangere The Tree of Life.
A questo tedio però si sorvola perché il filosofo Malick riesce a immergerti nella sua visione del mondo piano piano, facendoti 'digerire' il film poco alla volta. 
I suoi ultimi due film (compreso To the Wonder) sembrano fatti di tutto fumo e niente arrosto, e invece di 'ciccia' ce n'è. Eccome.
Perché Malick non fa 'fast food movie' che si mangiano in un solo boccone, il suo cinema va gustato lentamente, va pensato, rimuginato su, anche a costo di farti venire i rigurgiti con il suo stile di regia 'always on the run'.
I suoi film sono i suoi ragionamenti filosofici tradotti in immagini, dove la parola è scarna, non necessaria, ma valida e utile nella sua essenzialità, proprio come una poesia ermetica.
I film di Malick non sono per tutti. Neanche per i radical chic ante litteram
Sia chiaro, Malick non fa film né tanto meno 'seghe intellettuali' per una casta di persone super intelligenti che può andare a testare il suo QI al MENSA schifando il resto dell'umanità, ma non fa nemmeno cinema inteso come puro intrattenimento. 
Si ha l'impressione (o almeno, chi sta scrivendo non ha mai avuto un grande feeling con le materie filosofiche) che Malick, essendo di per sé un  fisolofo (ha studiato ad Harvard e aveva quasi terminato un master all'università di Oxford) vuole mettere in pratica i suoi studi - e il suo amato Heidegger - usando il cinema come traduzione in immagini della sua visione delle cose. 
La filosofia è un flusso di parole impressa nei trattati e nei libri, ma con il cinema, la 'filosofia secondo Malick' si fissa nelle immagini. che solo la settima arte può dare.
Il bello del suo cinema è che può anche non piacere. Perché comunque ti fa pensare (anche solo per esclamare 'questo film è una cagata pazzesca!'). Così come non bisogna dare per scontato che ogni suo film sia un capolavoro: non esiste la perfezione, d'altronde l'essere umano non lo è mai stato.
L'importante è che susciti un pensiero, una discussione, un modo di vedere le cose, un sentimento che sia fatto di noia o di entusiasmo.
In ogni caso Malick il filosofo ha centrato il suo obiettivo. 
Facendolo illuminare/d'immenso. 

Voto: 7/8

A.M.








8 commenti:

  1. Come ben sai, da The tree of life in poi, per me Malick - che prima consideravo uno degli intoccabili - si è definitivamente bevuto il cervello.
    Certo, la tecnica è indiscutibile, ma per il resto a mio pare resta solo fuffona.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, la tua recensione ha reso bene l'idea! ;-)
      Invece io il suo stile registico non lo reggo proprio, sarà che l'ho visto a maggio e faceva un caldo atroce per le temperature inglesi, ma stavo male! Forse è fuffa, ma la sua mi piace! :-p

      Elimina
  2. Potresti anche avermi convinto con la tua analisi ben argomentata, ma poi ripenso al mal di mare, alla voice over imperante, alla trama che non riesco a seguire e no, Malick questa volta non lo perdono. Resta un regista sublime, ma un narratore chiuso nel suo mondo e nella sua estetica.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il mal di mare l'ha fatto venire anche a me ahahah! Io mi sa che sono intrappolata nel suo mondo e nella sua estetica, perché ho visto il trailer di Voyage of Time (ma senza audio perché era tardi e non avevo le cuffie a portata di mano) e mi piacerebbe vederlo. Oddio, sono una pippona irrecuperabile ahahahah! XD

      Elimina
  3. Riflessioni interessanti, forse ci hai visto persino più di quanto il regista non avesse intenzione di dire... :)

    Io, che pure ho sempre difeso il buon Terrence Malick, questa volta non sono riuscito ad amarlo come al solito e ho avuto l'impressione di un certo immobilismo e di riciclo di quanto già fatto (meglio) con i suoi due film precedenti.
    A livello estetico però è sempre uno splendore.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie! Si vede che le analisi delle poesie di Ungaretti fatte a scuola mi hanno aiutata anche troppo! :-D
      Chissà, magari non voglio accettare che il fatto che sia un po' ripetitivo, però il suo cinema mi affascina, che ci posso fare!

      Elimina
  4. Anche io ho molto amato Malick, ma Knight of Cups mi è sembrata una noiosa successione di belle immagini... peccato!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sperem che non accada anche per Voyage of Time, il trailer mi ha davvero affascinata (e non ha quello stile che fa venire il mal di mare!), si vede che a me piace l'estetica e cerco di vederci tanta ciccia tra il fumo dell'arrosto che ci cucina il buon Malick!

      Elimina