lunedì 28 aprile 2014

CULT MOVIE: Nella morsa




Titolo: Nella morsa (titolo alternativo: Presi nella morsa)
Titolo originale: Caught
USA, 1949
Cast: Barbara Bel Geddes, Robert Ryan, James Mason, Curt Bois.
Sceneggiatura: Arthur Laurents.
Regia: Max Ophuls.
Durata: 84'

Attenzione: al fine dell'analisi cinematografica potrebbero esserci spoilers.

Leonora Eames (Barbara Bel Geddes) è una giovane cameriera che aspira a sposare un milionario. Ragazza di umili origini, sogna di lasciarsi alle spalle la povertà frequentando una scuola per modelle.
Il desiderio di diventare una mannequin si trasforma in realtà e durante una festa incontra il miliardario Smith Ohlrig (Robert Ryan), uomo d’affari tanto potente quanto nevrotico.
Smith e Leonora si frequentano, ma la riluttanza di lei a concedersi comporta il troncamento della relazione da parte di lui. Smith cambia idea e sposa Leonora quando il suo psicologo, da cui è in cura da tempo, gli dice che non si sposerà mai.
Quello che rappresenta per Smith un capriccio, diventa una favola per Leonora, che abbandona il monolocale in cui abitava per vivere in una reggia a Long Island. Ben presto il sogno si trasforma in un incubo per la giovane cenerentola, diventando la vittima di un tiranno manipolatore. Leonora ama veramente Smith, ma il suo comportamento la porta a fuggire, portandola dalle stelle alle stalle: Leonora torna a vivere in un modesto appartamento e riesce a farsi assumere come segretaria presso lo studio medico di Larry Quinada (James Mason).
I rapporti inizialmente tra Leonora e Larry sono difficili, ma ben presto i due s’innamorano. Leonora però scopre di aspettare un bambino da Smith e a malincuore decide di tornare dal marito. Ma la tragedia è dietro l’angolo…
Può un film dalla lavorazione travagliata e con il cambio di regia all’ultimo momento,trasformare un incipit da soap opera in un'acuta indagine sulla borghesia americana? La risposta è sì se si tratta di Max Ophuls.
Il regista tedesco maestro del melò (al pari del connazionale Douglas Sirk) creatore di meravigliosi drammi come Lettera da una sconosciuta e La ronde, La signora di tutti è riuscito nell’intento, confezionando una spietata analisi delle illusioni e delle aspirazioni di ricchezza che si scontrano con la dura realtà.
Ciò viene mostrato fin dal principio, quando Leonora gioca a “fare la signora” fingendo di compiere acquisti sfogliando le pagine di una rivista di gioielli.
Ama il visone, costosa pelliccia per il suo magro stipendio di cameriera, ma la sua caparbietà e determinazione la porterà a frequentare una scuola di portamento, nella speranza un giorno di fare il suo ingresso nell’alta società.
Se inizialmente il film sembra ripercorrere il cliché della modella che conosce e sposa un uomo ricco, si vira gradualmente a guastare le splendide illusioni della protagonista, dolce, ingenua, un po' volgare e terribilmente provinciale.
Non tutto è oro ciò che luccica: la sua scelta è poco oculata, la fanciulla ignora che il suo principe azzurro in realtà è un nevrastenico manipolatore workhaolic e vittima di fatali attacchi di panico.
L’aspetto più interessante di questo melò anni Quaranta sta nel mostrare come gli altri vedono ciò che vogliono vedere: a cominciare dai rotocalchi di stampa rosa, che sottolineano con compiaciuta cattiveria le origini umili della protagonista, edulcorando il suo favoloso stile di vita in una reggia, così come lo crede la sua migliore amica che le consiglia di godersi ciò che ha conquistato, opportunità che sono concesse a poche.
Ma Leonora è pur sempre una romantica, non è la tipica gold digger e ama veramente lo spietato Smith. Spietato perché in realtà lui l’ha sposata per capriccio.
Ophuls è un maestro nel capovolgere la situazione e subito il romanticismo viene eliminato per dare spazio all’angoscia e all’insoddisfazione che prova la protagonista, tale da farle rinunciare al suo status di donna ricca, anche se poi ritorna nella magione della solitudine e della tirannia pur di non far vivere nella povertà la creatura che porta in grembo.
E qui entra in scena l’opposto di Smith, Larry Quinada. Larry è vissuto in un ambiente ipocrita e finto, dove i suoi genitori lo hanno cresciuto in una ricchezza che non è mai esistita, quindi capisce fin da subito che i soldi non fanno la felicità. Larry rappresenta la coscienza di Leonora: è un uomo che crede più nei valori dei sentimenti che nel denaro, e l'agiatezza è solo una pia illusione di tranquillità.
La ricchezza è una fonte di sicurezza se non c’è l’amore? Leonora sarà costretta ad un iter tortuoso e doloroso per capirlo, e dovrà lottare per liberarsi dalla morsa di Smith.
Smith è il classico uomo d'affari arrogante e prepotente e tratta Leonora come una proprietà: non la ama, ma quando lei lo abbandona, si prostra affinché ritorni da lei, ma per una puerile questione di orgoglio, perché non può accettare il fatto di essere rifiutato.
Il personaggio di Leonora è interessante, di per sé è relativamente ottusa perché si ostina a pensare che l’unica soluzione per una donna risieda in un buon matrimonio, ma non è una donna priva di scrupoli e nasconde un lato oscuro che emergerà dal profondo della prostrazione e disperazione.
Leonora ha conosciuto la povertà vera e non vuole assolutamente che ne soffra il suo bambino, ma la sua ingenuità la porta a compiere scelte sbagliate. Alla fine il suo aspetto candido di ragazza venuta dal proletariato rimarrà sempre in lei, anche se abilmente coperto da un elegante abito da sera, come il neo sul viso che cerca malamente di celare con la cipria.
Leonora ha per l'appunto un lato oscuro, ed è ciò che emerge nel finale del film che si tinge di noir: ormai giunta allo stremo, la crudeltà si insinua dentro di lei, ma il destino la premierà lo stesso con l’happy end, a costo di abbandonare per sempre il suo status (o almeno e ciò che suggerisce il finale), questo è il prezzo da pagare.
Leonora riesce a uscire dal tunnel, ma a farne le spese è la sua creatura, simbolo del legame "malvagio" con Smith.
La morte del bambino sembra quasi necessaria, affinché Leonora cancelli per sempre il suo passato con Smith e possa ricominciare a vivere. E qui il film arriva a picchi sublimi di iniquità, creando un lieto fine che in realtà... Non c'è.
Nella morsa è un melodramma (con un leggero patetismo, tipico del genere) che racconta finemente l'unione tra la classe sociale del proletariato e l’alta borghesia difficilmente si possono coniugare.
Max Ophuls riesce ad amalgamare tutte queste tematiche in soli 84', supportato da un ottimo trio composto da Barbara Bel Geddes, Robert Ryan e James Mason, con il suo classico stile elegante e raffinato fatto di carrellate e movimenti di macchina avvolgenti.
Nella Morsa è uno dei titoli meno conosciuti del maestro tedesco, un film da recuperare e che merita di essere visto per comprendere la poetica del cineasta.

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