martedì 15 aprile 2014

RECENSIONE: Departures



Titolo: Departures
Titolo o
riginale: Okuribito.
Giappone, 2008
Cast: 
Masahiro Motoki, Tsutomu Yamazaki, Ryoko Hirosue,Yamazaki Tsutomu.
Sceneggiatura: Kundo Koyama.
Produzione: 
Amuse Soft Entertainment, Shochiku Company, Shogakukan
Regia: Yoijiro Takita.
Dura
ta: 110'
Il giovane Daigo (Masahiro Motoki) è un violoncellista, ma il suo sogno viene spezzato quando la sua orchestra si scioglie. 
Così insieme alla moglie Mika (Ryoko Hirosue) decide di lasciare Tokyo e di tornare a Yamagata, il suo paese natio. 
Sistematosi nella casa dove ha vissuto un'infanzia senza padre, Daigo è alla ricerca di lavoro e soprattutto ha voglia di ricominciare una nuova vita. Un giorno s'imbatte in uno strano annuncio che tratta di partenze. 
Pensando che si tratti di un'agenzia di viaggi, Daigo ben presto scopre che si tratta della preparazione dei cadaveri prima del viaggio nell'al di là. Inizialmente ha dei dubbi riguardo al suo nuovo mestiere e nasconde la verità a Mika, ma ben presto diventa il discepolo di Sasaki (Yamazaki Tsutomu), il becchino del luogo e titolare dell'agenzia. Daigo subirà i pregiudizi della gente del posto e l'abbandono (temporaneo) della moglie, ma la sua vita subirà una svolta e dovrà fare i conti con il passato...
Departures, premio Oscar 2009 come miglior film straniero è un film affascinante che tratta il tema della morte in modo delicato, come se fosse un viaggio, una partenza. 
Affascinante per come viene mostrata meticolosamente una funzione funebre, così diversa da quella occidentale, per come vengono trattati gli affetti che non ci sono più, per il distacco e il senso di perdita che subisce una persona. 
Il regista mette in scena l'arte del Nokanshi, svelando l'arte della preparazione del defunto nel suo viaggio verso l'ignoto (o Paradiso, Purgatorio, Inferno) attraverso carezze, trucco e il vestito che lo scomparso "porta con sé" per l'ultima volta. 
Perché è di viaggio che si parla, un percorso che compie l'anima abbandonando il suo corpo e allo stesso tempo è la preparazione (anche psicologica) dei famigliari che si apprestano a salutare il proprio caro per sempre. 
Poco importa se i "protagonisti" della dipartita sono un travestito, un suicida, una donna che ha dedicato la sua vita al lavoro, perché alla fine i rancori e i risentimenti vengono messi da parte e ci si avvia verso un processo di riappacificazione. 
Vita: solitudine e morte e crescita personale si mescolano: vita che Daigo vuole cambiare, lasciando una metropoli come Tokyo per tornare nella sua cittadina tranquilla ricominciare da capo.  
Solitudine: sentimento che prova il protagonista per l'abbandono prima del padre in tenera età, poi da parte della moglie che si vergogna del mestiere del consorte, solitudine avvolta nei ricordi del passato e nei momenti in cui suona il suo amato violoncello
Morte: con il lavoro che svolge Daigo, la scomparsa della madre in tenera età di cui era legatissimo. 
Crescita: l'arte del Nokanshi è una prova di maturità per il protagonista, pronto ad abbandonare i risentimenti del passato (una delle scene più commoventi del film) e far pace con sé stesso. 
Questo processo avviene anche grazie a Sasaki, sorta di padre putativo del ragazzo che lo accompagna in questo momento, vedendo in lui un erede ideale. Non mancano i momenti buffi come la scena del DVD dimostrativo per pubblicizzare l'agenzia, dove Daigo si ritrova a fare da cavia per il signor Sasaki, ma Departures è essenzialmente un film elegante e poetico, che ci accompagna verso una delle tradizioni (fortunatamente) ancora viventi nella cultura del Giappone, Stato capace di coniugare perfettamente il progresso con tradizione.

Voto: 8

8 commenti:

  1. Film stupendo, uno tra i pochi titoli a riuscire a farmi piangere come un vitello.

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    1. A me ha fatto piangere invece Hachiko, che visse in Giappone se non erro. O forse ho scritto una stronzata. Ah, questi giapponesi, così delicati e meravigliosi anche nel trattare tematiche come la morte!

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    2. Parli del cane? sì sì, visse in Giappone. Fuori dalla stazione di Shibuya (che è quella dove andava ad aspettare il ritorno del suo padrone) c'è anche la statua che lo ricorda...

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    3. Mi ha fatto piangere per un'ora, morbidoso malefico! Neanche il cane di Umberto D mi aveva disfatta in quel modo!

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  2. Bellissimo film, poetico e toccante a dispetto (o forse proprio per quello) dell'argomento di cui parla. Come solo i giapponesi sanno fare.

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    1. E' bello sapere che le tradizioni in Giappone siano rimaste intatte! Bello e poetico sì! :-)

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