domenica 30 dicembre 2018

CELEBRATION (35 Anniversary): Una poltrona per due






Titolo: Una poltrona per due
Titolo originale: Trading Places
USA, 1983
Cast: Dan Aykroyd, Eddie Murphy, Ralph Bellamy, Don Ameche.
Sceneggiatura: Timothy Harris, Herschel Weingrod.
Regia: John Landis.
Durata: 113'

Cosa fareste se ogni vostra certezza crollasse da un giorno all'altro per mano di coloro che cambiano volutamente il vostro destino?
I fratelli Duke (Don Ameche e Ralph Bellamy), uomini tanto ricchi quanto avari decidono di scommettere in nome della "scienza", per scoprire se è vero se si è predisposti geneticamente a delinquere in un contesto sociale degradato e contemporaneamente, e se altrettanto veritiero se si ha una predisposizione ad avere successo vivendo in un contesto altolocato. Le cavie per questo esperimento da premio Nobel sono Louis Winthorpe III (Dan Akroyd) e Billy Ray Valentine (Eddie Murphy).
Louise è un giovane spocchioso dal nome imponenete, laureato ad Harvard, tratta con sufficienza tutti, compreso il suo maggiordomo Coleman (Delhmon Elliot), che più che servirlo sembra farle da seconda madre vestendolo, nutrendolo e facendogli la barba.
Tutta la sua vita è già stabilita: laurea, eccellente posizione in una delle più grandi società finanziarie, e sta per sposarsi con la nipote dei Duke (anche se non disdegna le attenzioni di un amico del club).
Billy Ray invece passa le giornate a chiedere l'elemosina spacciandosi per un ex reduce del Vietnam che lo ha privato della vista e delle gambe, ha debiti al bar ed è sempre in mezzo ai guai con la polizia.
Una volta scelti i soggetti, entra in gioco il potere del denaro, capace di cambiare le vite delle persone ma anche di corrompere per rovinare le vite altrui. grazie al denaro viene corrotto Coleman, che già compativa Louis, così come viene corrotta la polizia che infanga la fedina penale di Louis con l'accusa di spaccio di polvere d'angelo.
E 100 dollari fanno comodo a Ofelia  (Jamie Lee Curtis), che per quella cifra finge di essere una sbandata a che vuole la droga dal malconcio Louis, facendo rompere il fidanzamento con Penelope.
Louis una volta uscito dalla prigione cerca di riabilitarsi, ma ritrovatosi senza soldi, con un occhio nero e con un vestito che ricorda quello di un pappone, scopre sulla propria pelle il disprezzo dell'upper class di cui faceva parte neanche qualche giorno prima. Così come scopre di aver vissuto in un contesto falso e ipocrita: i suoi amici non sono poi così amici, ma sono solo degli  snob arroganti, e la sua ex fidanzata ha trovato un pretesto per lasciarlo per il suo "migliore" amico.
L'unico in cui crede alla sua innocenza e gli offre il proprio aiuto è invece Ofelia, squillo dal cuore d'oro.
Cosa succede invece alla vita di Billy Ray? Si ritrova ripulito da capo a piedi (ma i suoi vestiti vengono portati in lavanderia per il suo ritorno alla strada), ha una bella casa, un favoloso conto in banca e anche un maggiordomo. Se inizialmente Billy Ray pensa che sia una presa in giro, nel giro di poco tempo gli amici che frequentava non li sopporta più considerandoli dei buzzurri che spengono le sigarette sul tappeto persiano, e sfodera una certa capacità negli affari grazie a intuizioni e fiuto per gli affari, diventando un ottimo broker anche senza la laurea in una Ivy league, dimostrando di essere un vincente grazie agli studi effettuati all'università della vita.
I fratelli Duke non hanno remore nel manipolare le vite altrui per un capriccio antropologico-scientifico, e vincono la scommessa facendo arrivare Louis quasi a delinquere, diventando un esilarante babbo Natale ubriaco che mangia il salmone rubato su un autobus, arrivando quasi a farla finita. Ma Billy Ray scopre l'inganno e si allea con Louis, Ofelia e Coleman ripagando con la stessa moneta i Duke & Duke. 
Il loro piano ovviamente è squinternato, creando un demenziale quartetto composto da un prete scozzese, una svedese, un giamaicano e uno studente con borsa di studio che viene dal Camerun. E il lieto fine è dietro l'angolo, il capitalismo viene schiacciato e il relax su un'isola tropicale è assicurato.
Una poltrona per due è uno spassoso film che critica con feroce sarcasmo l'era reganiana e il mondo del capitalismo, dove i ricchi disprezzano i poveri e i poveri deridono i ricchi (una su tutte le smorfie di derisione mal celate da Coleman a Louis, e il maggiordomo dei Duke che li manda a quel paese dopo aver ricevuto la gratifica di 5 miseri dollari).
John Landis prende di mira il capitalismo made in USA con questa commedia delirante modellata sulla fiaba de Il principe e il povero, mostrando sulle note de Le nozze di Figaro (orchestrate dal grande Elmer Bernstein) due facce della città di Philadelphia con le sue belle case, l'alta borghesia, le banche, le sue imponenti statue, messe in contrapposizione con la povertà dei quartieri e i miseri spazi dove i giovani possono giocare a basket, due facce speculari della stessa città. Così come due vite agli antipodi sono quelle del ricco Louis Winthorpe III e del povero Billy Ray Valentine.
Il tutto viene condito con uno squisito senso della demenzialità dove non viene neanche risparmiata Wall Street, rappresentata come la culla del Dio dollaro e dell nevrosi dei broker che danno di matto per fare quattrini.
La morale di fondo è che l'abito non fa il monaco, dove un candido completo da tennis nasconde meschinità e falsità e un abito succinto di una squillo invece nasconde altruismo (anche se prima è per affari, poi per amore) e soprattutto, nella vita non bisogna mai dare niente per scontato.
Louis diventa più umile, e Billy Ray più onesto. L'esperimento dei Duke è riuscito, così come è riuscita questa commedia sarcastica e divertente, che verso il finale parte a briglia sciolta sulle corde della demenzialità tanto cara a Landis.
Diretto con tempi comici perfetti e un cast di attori eccellenti, con il trio Aykroyd-Murphy-Curtis e con le vecchie glorie del cinema Ralph Bellamy e Don Ameche,  Una poltrona per due è una satira che a 35 anni di distanza sa  ancora essere ferocemente corrosiva sul mito ormai un po' malconcio del capitalismo americano.

Voto: 8.5

martedì 25 dicembre 2018

CULT MOVIE XMAS EDITION: La vita è meravigliosa



Titolo: La vita è meravigliosa
Titolo americano: It's a Wonderful Life
USA, 1946
Cast: James Stewart, Donna Reed, Lionel Barrymore.
Sceneggiatura: Frances GoodrichAlbert HackettFrank CapraJo SwerlingMichael Wilson.
Durata: 130'

Come sarebbe la cittadina di Bedford Falls senza George Bailey (James Stewart)? L'angelo di 'seconda classe' Clarence prova a fargli capire che è indispensabile per la piccola contea americana, e cerca salvarlo dalla disperazione e dal suicidio mostrandogli che la vita - dopo tutto, è pur sempre meravigliosa.
E' strano, ma il siciliano (trapiantato negli USA da bambino) Frank Capra fu il cineasta italo-americano che riuscì meglio di chiunque altro a diventare il simbolo del New Deal americano degli anni Trenta/Quaranta.
Capra decretò il trionfo dell'uomo comune - riuscendo a diffondere la speranza e l'ottimismo con i suoi film zuccherosi e smaccatamente populisti. In apparenza. Perché in realtà i film di Capra nascondono un sottile velo di cinismo e una critica - meno velata - al capitalismo americano, con un'amarezza di fondo nascosta per l'appunto in una patina di buonismo e melassa.
George Bailey incarna il perfetto archetipo dell'uomo comune, l'everyman per eccellenza: buono, altruista, pensa sempre al prossimo prima che a sé stesso, adorato dalla moglie Mary (Donna Reed) e ama a sua volta la sua splendida famiglia.
George Però vive una costante frustrazione di fondo: la cittadina di provincia gli sta stretta, vorrebbe vedere il mondo e andare al college.
Ma qualcosa va storto - che sia il desiderio espresso dalla sua futura moglie Mary, che lanciando quel sasso contro la loro futura dimora a cambiare radicalmente la sua vita?
I piani di George si infrangono sotto il peso delle responsabilità famigliari dopo la dipartita del padre.
Così il mite George decide di rimanere a casa e di salvare l'attività paterna che concede mutui alla gente di Bedford Falls - con grande disappunto di Mr.Potter (Lionel Barrymore) che vorrebbe mettere le mani sull'attività e sulla città intera.
George e Mr. Potter sono agli antipodi, banalmente si potrebbero definire il bene contro il male.
Se George si sente segretamente inappagato dalla piega che hanno preso eventi - rei di aver minato irreparabilmente i suoi sogni, è riuscito comunque a costruire una felice famiglia e a diventare un punto di riferimento per la città.
Felicità che non appartiene a Mr. Potter, che è il cittadino più ricco di Bedford Falls, ma è infermo di salute e soprattutto un uomo solo e senza eredi.
Capra sembra che voglia dirci che i soldi non fanno la felicità: George e Mary sono felici anche se vivono in ristrettezze economiche con la loro casa ancora da ristrutturare, mentre Mr. Potter sopperisce alla sua profonda solitudine con la sua vorace avidità di denaro, cercando di colmare il vuoto causato dalla solitudine. 
Mr. Potter conosce il lato debole di George e vorrebbe 'comprarlo' offrendogli denaro e una buona carriera - George è allettato, finalmente potrebbe viaggiare e dare una vita agiata a Mary, ma rifiuta per il suo buon cuore e soprattutto per quelle responsabilità che lo tengono legato.
Sembra che il fato abbia deciso tutto in precedenza - 'accanendosi' contro di lui che cerca di cambiare radicalmente la sua vita. Il suo destino è Bedford Falls.
George cerca di sfuggirgli in varie occasioni: la prima volta, dopo il diploma, quando sogna di andare al college nonostante si fosse innamorato di Mary. Un momento felice e spensierato, lontano dai problemi -  funestato però dalla morte improvvisa del padre, che gli lascia in eredità l'attività da mandare avanti.
La seconda volta quando è in procinto di partire per il viaggio di nozze - rovinato dalle smanie di potere di Mr. Potter che tenta di appropriarsi della cooperativa di risparmio.
La terza volta, quando ha la possibilità di cambiare vita con l'offerta di Mr. Potter, ma questa volta è George a rifiutare, in nome dei suoi sani principi e delle responsabilità che ha nei confronti della sua famiglia e del prossimo.
Se è un uomo di buon cuore e ben voluto, perché è disperato al punto da volerla fare finita?
Perché è disperato, sente crollargli il mondo addosso per via del denaro da recuperare disperatamente, rendendo vano il progetto paterno per la quale ha sacrificato i suoi sogni.
Perché il dio denaro sembra avere la meglio sulla generosità e tutti i suoi sacrifici stanno andando in fumo per colpa della sbadataggine dello zio Billy e soprattutto per le macchinazioni di mr. Potter.
Meno male che c'è Clarence che ha bisogno delle sue ali, ma ha bisogno di aiutare un uomo che ha dedicato la sua intera esistenza al prossimo e per una volta deve essere aiutato lui stesso.
Allora gli mostra il mondo senza George Bailey: Pottersville, la città della perdizione e del capitalismo dove i suoi cittadini sono infelici o rovinati da scelte sbagliate -  scelte che hanno fatto perché George non era lì ad aiutarli.
Tutto sembra perduto, ma alla vigilia di Natale il bene che ha elargito gli ritorna indietro -  con il prezioso contributo dei cittadini di Bedford Falls. Niente da fare George Bailey, la città ha bisogno di te, non devi andare da nessuna parte.
Frank Capra regala il lieto fine per George e per gli spettatori. Regala un momento di ottimismo, perché è pur sempre una favola.
La guerra è finita da un anno, e Bedford Falls rappresenta il simbolo della ricostruzione dell'America e l'invito ad aiutarsi l'uno con l'altro, solo così si può costruire un futuro migliore per le prossime generazioni.
Per un giorno dimentichiamo i problemi, e nonostante avide persone come Mr. Potter rimangano impuniti - suggerisce che il capitalismo può sempre vincere, incrinando il sogno americano a cui Frank Capra ha vissuto in prima persona quando a 6 anni sbarcò in America dalla lontana Sicilia.
L'America da, l'America toglie. Sembra questo il monito che vuole dare Capra. E l'unico modo per sopravvivere è essere altruisti per non lasciare in eredità un mondo povero e arido di valori.

Voto: 9

lunedì 26 novembre 2018

GOODBYE: Addio a Bernardo Bertolucci






'È strano, però... Tutti vorrebbero sembrare diversi dagli altri e tu invece vuoi somigliare a tutti.'
Il conformista (1970)

Bernardo Bertolucci (1941 -2018)

giovedì 11 ottobre 2018

CULT MOVIE: Ballroom - Gara di ballo





Titolo:
Ballroom - Gara di ballo
Titolo originale: Strictly Ballroom
Australia, 1992
Cast: Paul Mercurio, Tara Morice, Gia Carides.
Sceneggiatura: Craig Pearce, Baz Luhrmann,Andrew Bovell.
Regia: Baz Luhrmann.
Durata: 87'


La danza ha un potere misterioso. Il ritmo ti prende, il corpo si lascia andare, si muove, si scatena. La danza è anche seduzione, corteggiamento, romanticismo. 
E’ regola e disciplina. Ma è anche competizione, gare di ballo e premi da vincere. 
E questo è l’obiettivo di Scott (Paul Mercurio), giovane e talentuoso ballerino che sogna di vincere il Pacific Prince. Ma a modo suo.
Perché se il ballo da sala ha le sue regole severe, Scott cerca di infrangerle con passi “proibiti”, che non vengono compresi da una giuria di vecchi bacchettoni come che guardano più all’esecuzione impeccabile della tecnica che all’innovazione.
Questa sua voglia di sperimentare gli costa l’abbandono della sua partner (Gia Carades), e all’ostracizzazione della madre, che vede in lui i sogni di gloria che non è riuscita a coronare. Ma a sorpresa il suo modo di ballare viene capito dall’insignificante Fran (Tara Morice), così diversa dalle altre, un brutto anatroccolo che nasconde la sua acerba bellezza dietro un paio di occhiali e abiti dimessi.
Ballroom – Gara di ballo segna il debutto al cinema di Baz Luhrmann, dove fin dagli esordi gioca con i suoi virtuosismi che la faranno da padrone nei suoi film successivi, che avranno l’apice in Moulin Rouge! e persisteranno ne Il grande Gatsby.
Luhrmann dimostra fin dagli esordi un debole per il kitch, e dove trovare un terreno così fertile nei campionati di ballo da sala, con quei costumi scintillanti e luccicanti, con i capelli pieni di brillantini e brillantina e quel trucco che rasenta così palesemente gli anni Ottanta sotto acido?
Luhrmann fa di più e crea un microcosmo il cui fulcro è una scuola di danza, mondo in cui è cresciuto Scott tra passi di rumba e tango.
Lurhmann prende i tipici ingredienti della commedia romantica musicale, Dirty Dancing in primis, plasmandoli e ribaltando i ruoli, a cominciare dai due protagonisti: se nella commedia culto di Emile Ardolino l’insegnante di salsa Johnny faceva parte di un ceto sociale poco abbiente che dava lezioni di salsa alla ricca e ingenua Baby; in Ballroom Scott è un affermato ballerino che proviene da una coppia di campioni di danza, mentre Fran è una ragazza di umili origini ispaniche.
Ma si sa, la danza ha un potere misterioso. E la danza avvicina due persone così diverse come Fran e Scott, le unisce in un sensuale paso doble, che rappresenta anche un’educazione sentimentale per questi due ragazzi che sfidano le convenzioni e le regole.
Regole incarnate dalla perfezione e dall’eleganza senza tempo di un valzer da sala. Vecchio stile e tradizioni che rimangono immobili nella giuria e nella scuola gestita dai genitori di Scott, che vedono nell’innovazione dei suoi passi una minaccia per vincere quell’agognato premio.
Innovazione rappresentata dai passi proibiti di Scott che mette nella rumba, con quelle piroette mai viste e quei movimenti sinuosi e sensuali che vanno oltre il senso del pudore.
Tango che dovrebbe unire e fondere Scott e Liz come se fossero due amanti, ma che divide e la fa infuriare al punto di abbandonarlo per il rivale, anche se si rivelerà sul viale del tramonto, ma pur sempre ligio al sistema.
Rumba che avvicina Scott alla cultura di Fran, così diversa dalla sua, dove scopre un mondo vivo e autentico, diverso dal mondo plastificato e luccicante a cui appartiene, vitalità che riesce ad abbattere il muro di ostilità e diffidenza che aveva innalzato il padre di Fran contro di lui.
Paso doble che rappresenta la passione che sboccia lentamente in un amore timido e sincero tra Fran e Scott, un po’ come avveniva tra Johnny e Baby, il cui nome di battesimo era Frances, mentre qui è solo Fran.
Ogni lezione di danza che Scott ha con Fran è un piccolo manuale d’amore: si conoscono, si studiano, sono impacciati (o meglio, lei è impacciata), si toccano e si cercano con lo sguardo. E man mano che migliorano nel ballo, man mano aumenta l’intesa e il sentimento che provano. Anche se fanno di tutto per negare ciò che provano. Scott non lo vuole ammettere, Fran è troppo timida per dichiararsi. Ma riescono a comunicare grazie ai quei passi, a quelle giravolte, a quel rumore di tacchi che seguono il ritmo della musica, con lo scambio di sguardi che tradiscono l’attrazione reciproca.
Ma come ogni melò (o soap opera, siamo pur sempre nei paraggi del kitch) che si rispetti, Lurhmann rincara la dose e pone degli ostacoli, tra intrighi, ricatti morali, sensi di colpa, colpi di scena fino ad arrivare al trionfo sotto la sfavillante luci dei riflettori, dove quel paso doble riuscirà a sfondare le barriere e le convenzioni e a emozionare la platea, ma anche lo spettatore che guarda il film.
Ballroom – Gara di ballo è una commedia musicale che è una delizia per gli amanti dei musical, ma che potrebbe anche divertire chi non è un patito del genere. Perché Baz Luhrmann si diverte a giocare con i suoi protagonisti, portandoli al grottesco, e a infrangere le regole, dove le canzoni e la musica sono parte integrante della storia, che servono a enfatizzare ogni momento che vivono i protagonisti.
E se il regista de Il grande Gatsby non ha ancora a disposizione il budget delle produzioni americane, riesce comunque a far intravedere il suo stile fatto di carrellate veloci e rallenty, giocando sapientemente con le luci che danno quel tocco di teatralità che è la vita stessa, un grande palcoscenico dove bisogna combattere per far affermare la libertà di essere e di vivere secondo le proprie regole, non da chi ce le impone. 

Voto: 8

sabato 29 settembre 2018

FILMOGRAFIA: Diane Kruger





NOME:
Diane Kruger
ALL'ANAGRAFE: Diane Heidkrueger
DATA DI NASCITA: 15/07/1976
LUOGO DI NASCITA: Algermissen, Germania
PROFESSIONE: Attrice





ATTRICE:


(2018) Benvenuti a Marwen - Deja Thoris
(2017) Oltre la notte - Katja Sekerci
(2017) In the Fade - Katja Sekerci
(2015) Maryland - Jessie
(2015) Padri e figlie -
(2013) Tutto sua madre - Ingeborg
(2013) The Host - Il Cercatore
(2012) Un piano perfetto - Isabelle
(2012) Les adieux à la reine - Maria Antonietta
(2011) Special Forces - Liberate l'ostaggio - Elsa
(2011) Unknown - Senza identità - Gina
(2010) Lily Sometimes - Clara
(2009) Mr. Nobody - Anna
(2009) Bastardi senza gloria - Bridget von Hammersmark
(2007) Il mistero delle pagine perdute - Abigail Chase
(2007) The hunting party - Marjana
(2006) Triplice inganno - Constance Radetsky
(2006) L'età barbarica - Véronica Star
(2006) Io e Beethoven - Anna Holtz
(2006) Il colore della libertà - Goodbye Bafana - Gloria Gregory
(2004) Il mistero dei templari - Dr. Abigail Chase
(2004) Wicker Park - Lisa
(2004) Troy - Elena
(2003) Adrenalina Blu - Julie Wood
(2003) Autoreverse -
(2002) Mon idole - Clara Broustal
(2002) The piano player -

martedì 28 agosto 2018

NOTTE HORROR: Suspiria




Titolo: Suspiria
Cast: Jessica Harper, Alida Valli, Stefania Casini, Miguel Bosé
Sceneggiatura: Dario Argento, Daria Nicolodi
Regia: Dario Argento
Durata: 98'


Ho sempre pensato che le fiabe in realtà siano un modo per far conoscere gli incubi e un mondo orribile ai bamnini. C'è molta violenza in esse. Basti pensare alle favole dei fratelli Grimm, dove si cerca di uccidere tre volte Biancaneve (uno pettine avvelenato, una cintura che stritola e infine la famosa mela) o alla strega cattiva che praticamente muore d'infarto ballando all'infinito su delle scarpe d'argento stregate. 
O agli occhi cavati alle sorellastre durante il matrimonio di Cenerentola, già fiaccate da talloni e dita mozzate per far calzare la scarpina di cristallo.
La Disney non lo faceva sapere, ma di certo non ci è andato leggero con le sue trasposizioni cinematografiche, soprattutto con quei toni dark, se non espressionistici di Biancaneve (nella foresta nera). E le favole sono un modo per gli adulti di riversare gli incubi, le paure, qualcosa di soprannaturale che non puoi controllare, una sorta di catarsi e liberazione.
Era una notte buia e tempestosa... Spesso le storie iniziano così, come la storia di Susy (Jessica Harper), giovane americana che arriva in suolo tedesco - Friburgo - per frequentare una prestigiosa scuola di danza classica. Piove a dirotto, il vento quasi la fa volare via, mentre cerca di chiamare un taxi che la porti lì. Una volta arrivata però non la fanno entrare, riesce solo a vedere una ragazza che urla qualcosa e poi fugge via. Si ripara così dalla sua amica Pat, ma una presenza oscura e maligna finisce con l'ucciderne l'amica, scatenando una serie di eventi e delitti che metteranno in pericolo Susy stessa.
Solo l'incipit è un presagio di qualcosa di oscuro, Susy ancora non sa che l'accademia nasconde segreti e avvenimenti inquietanti,dove lei, con un atteggiamento ancora un po' da bambina, sgrana gli occhioni divorati dal terrore per cercare di scoprire chi c'è dietro gli omicidi delle sue amiche. Cosa nasconde l'accademia? C'entrano forse la intrasigente insegnante miss Tanner (Alida Valli) o la direttrice madame Blanche (Joan Bennet)? Forse, ma intanto ci sono eventi sinistri come vermi che cadono dal soffitto, un cane docile che diventa improvvisamente aggressivo, e soprattutto quella mano nera che afferra le sue giovani vittime per ucciderle senza pietà.
Definire Suspiria una favola nera è un po' riduttivo, anche se i riferimenti alle favole ci sono eccome. Argento infatti le prende e le priva di quell'aspetto 'salvifico' che serve per non spaventare i bambini, quello zucchero che edulcora la violenza e la realtà -  che è fatta di esseri ignobili e ambienti ostili, dove non c'è nessun principe pronto a salvare la principessa.
Susy infatti è da sola contro le forze oscure che avvolgono l'accademia e deve contare su sé stessa per poter sconfiggere il male che si annida lì dento.
Argento prende le favole e le coniuga con le regole del thriller, creando un posto magico e maledetto allo stesso tempo, l'accademia di Friburgo dove lo tramuta piano piano in un posto mefistofelico ed esoterico.
Gli elementi fiabeschi sono un elemento che aggiunge fascino al pathos orrorifico che avvolge la pellicola: la foresta dove scappa la ragazza che Susy incontra all'inizio è una novella Biancaneve che finisce però questa volta a soccombere al suo infausto destino (e non come nella favola dei fratelli Grimm dove la strega cattiva mangiava di gusto il fegato e il cuore di un animale pensando che fossero i suoi).
Così come Susy sviene a furia di ballare come se le sue scarpette fossero stregate, e così come cade in sonni profondi come la bella addormentata nel bosco (che dormirà 100 anni lasciando cadaveri di cavalieri nelle spine nel tentativo di risvegliarla), lasciando Sarah in balia del suo assassino.
Argento gioca con la tensione, con le atmosfere e soprattuto lavora di stile. Una degli elementi più belli del cinema di Dario Argento è proprio l'eleganza stilistica, a cominciare dalle carrellate fluide della scena inziale e quella cura dei dettagli al limite del perfezionismo - il dettaglio della porta automatica che si chiude dietro Susy - come se volesse rimarcare il fatto di uscire da un luogo 'protetto' per entrare in un altro 'pericoloso'.
Per la sua favola horror le atmosfere espressioniste e disneyane della sua Biancaneve di riferimento si sposano alla grande con la musica dei Goblin. L'ambientazione gotica dell'accademia di danza così affascinante e inquietante allo stesso tempo.
E inquietano le atmosfere, che riescono a sovrastare le piccole pecche del sangue (finto) che sgorga, con una colonna sonora e una fotografia da urlo che sopperisce alla mancanza (all'epoca) del digitale e degli effetti speciali. Così come basta del filo spinato per far precipitare la vittima in una danza mortale, o al sonoro potente dei fulmini e del temporale.
Argento mescola tutti questi ingredienti e centra il bersaglio, inaugurando la trilogia delle madri con un film che a distanza di 40 anni è invecchiato come un ottimo vino d'annata e fa ancora venire i suoi brividi.

Voto: 9

Hanno partecipato alla notte horror: 

10 luglio 2018, ore 21: Il Bollalmanacco di cinema (Re-Animator)
10 luglio 2018, ore 23: La Bara Volante (La notte dei demoni)
17 luglio 2018, ore 21: Combinazione Casuale (La Chiesa)
17 luglio 2018, ore 23: Solaris (Darkman)
24 luglio 2018, ore 21: La stanza di Gordie (Horror in Bowery Street)
24 luglio 2018, ore 23: The Obsidian Mirror (The Fog)
31 luglio 2018, ore 21: Non c'è paragone (Chi è sepolto in quella casa)
31 luglio 2018, ore 23: White Russian (Scanners)
07 agosto 2018, ore 21: In Central Perk (The Blair Witch Project)
07 agosto 2018, ore 23: La fabbrica dei sogni (L'incendiaria)
14 agosto 2018, ore 21: Stories (The Final Destination)
14 agosto 2018, ore 23: Delicatamente Perfido (The Mist)
21 agosto 2018, ore 21: Pietro Saba World (La mosca)
21 agosto 2018, ore 23: La collezionista di biglietti (The Devil's Candy)
28 agosto 2018, ore 21: Redrumia (Splatters)


lunedì 13 agosto 2018

RECENSIONE: Hitchcock


L'insostenibile leggerezza di una recensione retrò


Titolo: Hitchcock
Id. USA, 2013
Cast: Anthony Hopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson, Jessica Biel.
Sceneggiatura: John J. McLaughlin.
Regia: Sacha Gervasi.
Durata: 108'

Hollywood ha creato un mondo a parte. I suoi studios cinematografici hanno realizzato meravigliosi film, e soprattutto hanno costruite veri e propri miti, da Jean Harlow ad Audrey Hepburn. La loro vita sui rotocalchi e le riviste specializzate in gossip è meravigliosa, ma lo è altrettanto nella vita privata? 
Per scoprirlo ci sono le biografie e soprattutto i biopic movie. Spesso però i film autobiografici tendono a distruggere la patina di allure e glamour di un attore. Oppure ci pensano gli attori stessi abusando di social network e venendo ossessionati dai paparazzi.
Chi mai vorrebbe scoprire per esempio che Peter Sellers era un grande attore e commediante, ma una carogna nella vita privata? Troppo tardi, Tu chiamami Peter ha già fatto danni. E se invece andassimo a toccare il  maestro del brivido, Sir Alfred Hitchcock? Di lui dicevano che era ossessionato da Grace Kelly e che desiderava essere bello come Cary Grant.
Per fortuna questa parte un po' melodrammatica da feuilleton viene risparmiata in Hitchcock, che più che un biopic sul grande regista inglese, è un 'come Alfred Hitchcock riuscì a dirigere Psycho'.
Nel 1959 Hitch diresse lo splendido Intrigo internazionale, un buon successo di pubblico e critica, ma i reporter insinuano che forse i fasti della gioventù siano lontani e forse è ora del buen retiro.
Hitchcock all'epoca aveva 60 anni, ma non aveva assolutamente voglia di andare in pensione, anzi,aveva in mente un nuovo progetto e per portarlo a termine arriva a ipotecare la casa, rifiutando un facile successo come Casino Royale. A Ian Fleming Hitch infatti gli preferisce Robert Bloch, autore di Psycho, ispirato a un omicidio nel Wisconsin compiuto da Ed Gein negli anni Cinquanta, tanto da arrivare a scontrarsi lo studios che vedeva un soggetto troppo crudo per l'epoca.
L'aspetto interessante di questo biopic movie è che  la figura di Alfred Hitchcock e di sua moglie Alma Reville ruota intorno a Psycho, che potrebbe sembrare un film su "come Psycho ha avuto effetti sulla relazione di Alfred Hitchcock con la moglie Alma Reville'.
Il making of del film infatti sembra più un pretesto per vedere come Hitch si comporta con la moglie Alma, donna dal forte carisma e braccio destro del regista inglese, e il rapporto con le sue attrici. 
Di solito si dice che dietro a un grande uomo si nasconde una grande donna: nel caso di Alma Reville è vero. Gervasi si sofferma poco sulla loro crisi artistica/matrimoniale e fortunatamente e soprattutto sul rapporto che Hitch aveva con il cibo, focalizzandosi più sugli sforzi che fanno entrambi per portare avanti un progetto che gli studios non volevano realizzare.
Curiosamente il film è dedicato alla figura del regista, ma le caratterizzazioni più interessanti sono Alma e le 'donne di Hitch', ovvero Janet Leigh (Scarlett Johansson) e Vera Miles (Jessica Biel). Che Hitchcock abbia amato le belle donne - le bionde soprattutto - lo si è sempre intuito nei suoi film. Grace Kelly, Kim Novak, Ingrid Bergman, Joan Fontaine, Eva Marie Saint: nei suoi capolavori le donne sono 'torturate', ma ne sono sempre uscite con una bellezza strabiliante ed esaltata.
Dunque, Hitch e le donne: Alma rappresenta la 'stampella' di Hitchcock, il suo braccio destro e senza di lei, la famosa scena della doccia in Psycho non sarebbe mai accaduta. E senza di lei probabilmente non sarebbe mai esistito Alfred Hitchcock regista. E' Alma a suggerire di mettere il famoso theme di Bernard Hermann nella scena della doccia. Così come fu lei a prendere in mano la situazione, prendendo il controllo sul montaggio (lavoro che fece per quasi tutti i film del marito). 
Janet Leigh è la 'bombshell', inizialmente il frutto proibito che Hitch vorrebbe cogliere (che mai osò cogliere) facendo scatenare la gelosia di Alma, ma poi da lei apprezzata per la prova di grande professionalità, risultando la scelta vincente per la riuscita del film.
Vera Miles invece era il rimpianto di Hitchcock: doveva essere una star, ma lei gli preferì la famiglia. Hitchcock lo vede come un tradimento, come se la sua musa si fosse ribellata al destino costruitogli ad arte e dalle parole di Vera Miles si deduce il comportamento possessivo che il regista aveva con le sue attrici.
A parte un piccolo errore - il manichino di mamma Bates fu fatto trovare nel camerino di Vera Miles e non di Janet Leigh, per avere delle splendide urla nel film - Hitchcock è un buon biopic, anche se curiosamente ha una forza molto femminile, dove la parte migliore del film è proprio su Alma che sul regista londinese. Anche perché senza di lei, forse Hitchcock come regista non sarebbe mai diventato il maestro del brivido, lasciando a Hitchcock nevrosi e una licenza poetica con un Ed Gaines/Norman Batesche lo perseguita durante le riprese. 
Peccato che Gervasi non si sia concentrato su come il personaggio di Norman Bates abbia influito su Anthony Perkins (e non abbia scelto Oz Perkins per interpretare il padre, dato la forte somiglianza), sarebbe stato ancora più affascinante, e che risulti a tratti un po' freddo (d'altronde, Hitch era pur sempre British).
Comunque Hitchcock è un buon biopic con le strepitose performanc di Helen Mirren e Anthony Hopkins, e ha il pregio di non rovinare l'immenso valore di un regista che ha fatto un pezzo di storia del cinema.

Voto: 7+

sabato 28 luglio 2018

RIFLESSIONI: Katrhyn Bigelow gira come un uomo?




In genere evito di commentare sui social network perché è una gran rottura di coglioni. Solo che a volte le dita 'prudono' così tanto, che qualche commento scappa pure a me. E anche se non cerco rogne e argomento nella maniera più civile possibile, niente, finisce in una gran rottura di coglioni. 
Oh, non imparo mai. Così come non imparo a non scrivere di polemiche  perché nel caso venissi cagata con questo post (tranquilla, fortunatamente non ti caga nessuno, motivo in più perché scrivo poco su questo blog), la polemica scatterebbe lo stesso.
Mah, sarà la coda di paglia, sarà che mi girano le palle che ecco, le dita prudono di bestia ed ecco a fare un post fiume all'acidume  e alla sindrome premestruale. Perché chi scrive è pur sempre una donna! 
Ora, il seme della discordia e la coda di paglia da lisciare riguarda una gran regista cazzuta di nome Kathryn Bigelow. Tempo fa scrissi, testuali parole, che Kathrin Bigelow dirige come un uomo. Volevo già scrivere un post al riguardo l'anno scorso, soprattutto quando avevo letto cose del tipo 'chi dice una cosa del genere non capisce un cazzo del suo cinema'.Ma poi finiva in rissa 2.0 e ho lasciato perdere, tanto la gente vuole avere sempre ragione e anche io. E io dopo un po' mi annoio e mando tutti affanculo, social network compresi.
Ma dopo che leggo ancora frasi che suonano tipo 'c'è chi dice che la Bigelow dirige come un uomo... Trattiamola per quello che è che - è brava - che l'arte è universale etc. etc'. Ecco che spunta di nuovo la coda di paglia da lasciare.
Ora, non so quante code di paglia da lisciare ci siano in giro nella blogosfera, ma niente, la coduzza la devo piallare pure io e anche tanto. E io mi sento tirata in ballo, perché se non è rivolto solo a me, beh, nella blogosfera siamo in molti a non capire una mazza di cinema!!! E anche il magazine francese M la definisce 'donna d'azione'. Ma allora è proprio un vizio eh!
E se su Detroit non scrissi niente, perché ovviamente non ci avevo capito un cazzo a prescindere della sua cinematografia in genereale, questa volta le ditina non ce la fanno e con questo post spero di riuscire a spiegare il mio punto di vista. E se proprio non vi piace, oh, stica.
Dunque, al di là del non capire un cazzo di cinema, io sono capa tosta e  mi ostino a vedere i film. 
E di film della sciura Bigelow ne ho visti, non proprio tutti, ma conosco abbastanza la sua filmografia per farmi un'idea di quanto sia cazzuta questa donna. E ordunque, dove sta il rodimento di culo?
Il rodimento sta che, secondo me lei anche se è donna, gira come un uomo.
Oh madonaaaa, mi hai tirato fuori il GENDER!1!1! 
Ma partiamo con una postilla, nella speranza che non diventi una supposta. 
Non sono una Matusa, ma comunque ai 'miei tempi' si diceva che quando una donna aveva una bella tempra, era intraprendente ed era tosta, si diceva veniva definita una con le 'palle quadrate'. Ora, sarà che forse provengo da una famiglia matriarcale dove le donne lavorano tutte, mandano avanti la baracca e tirano su i figli in tempi sospetti quando la parità di genere non esisteva, l'ho sempre visto come un complimento. E non come una offesa al genere femminile che deve comportarsi come un uomo per sopravvivere in un a 'man's world', ma perché era sinonimo di grande forza interiore, una che non te le viene a dire, una che sa superare le avversità e risolve i problemi da sola senza piangersi addosso. E soprattutto non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.
Il GENDER!1!1! all'epoca non c'entrava una beata minchia, era un modo di dire per intendere che puoi amare i romanzi di Sophie Kinsella e guardare 58 minuti per morire,fare un po' quel che si pare. Perché è vero, siamo in una cazzo di società dove i romanzi d'amore sono solo per donne. E infatti negli anni Novanta, facevano i Chick Flicks, i film per le pollastrelle, sì, li chiamavano proprio così. 
Fine della postilla suppostone.
Ora ritorniamo a madame Bigelow. Proprio nell'era dei 'chick fliks' lei non ci stava e ha dimostrato subito di che pasta era fatta. Per me la Bigelow poteva fare 50 sfumature di rosso e subito dopo Detroit e sarebbe stata figa lo stesso. Anzi, magari il primo avrebbe avuto un risultato migliore, dato che quel film è stato fatto a cazzo di cane.
Nel corso della sua filmografia, la Bigelow ha prediletto generi forti, da 'macho', come Point Break, dove lei tiene a bada tutto quel testosterone e si diverte come una pazza facendoci salire l'adrenalina a mille con i suoi guizzi di macchina spettacolari. Roba da far sembrare il suo ex marito James Cameron una mammoletta. E infatti nel 1997 fece il Titanic.
Dunque, nel curriculum di Mrs Bigelow troviamo: film horror (Il buio di avvicina), trhiller (Point Break, Blue Steele), di guerra (The Hurt Locker)  di denuncia sociale (Detroit). Ha fatto anche un bel dramma tinto di noir, Il mistero dell'acqua, dove dimostra anche di essere elegante. Insomma, può fare quello che le pare.
Thriller, horror, guerra (senza storie di amore in ballo): beh, sono genere prettamente maschili, non ce n'è. Perché mamma Hollywood ci tiene ai cliché e in genere ai cine pisellini gli fanno fare i film di guerra, e alle cine farfalline, seppur con qualche difficoltà le fanno fare i film romanticosi. Che poi facciano fare film romanticosi anche ai cine pisellini, quello è un altro discorso. Loro possono tutto, perché il GENDER!1!1! a Hollywood, vince sempre!!!
La Bigelow ha studiato arte prima di aver intrapreso la carriera cinematografica e ha saputo plasmare vari generi, assaggiando la cultura post punk inglese dei Joy Division dirigento uno dei loro pochissimi video, per esordire con il cinema horror.
E negli anni Ottanta non c'erano molte registe donna a fare film slashers. La tipa è tosta, come lo dimostrano Blue Steel con Jamie Lee Curtis, come lo dimostra il chiber punk di Strange Day - dove il personaggio più fragile era proprio quel Lenny Nero che spacciava lo Squid mentre piangeva per la sua ex che era proprio una grandissima stronza (bella solidarietà femminile, eh?).
Dal punto di vista meramente tecnico ed estetico, si tratta di rivalsa femminile? Femminista? Ma va, lei è una grintosa, è una che ai miei tempi si sarebbe presa l'epiteto di donna dalle palle quadrate senza battere ciglio. 
Ma dunque, basta farsi i pipponi, ma allora in che senso gira come un uomo?
Il girare come un uomo è nel concetto di stile che La Bigelow ha assimilato nel corso degli anni,  forgiato da scelte tematiche che le 'impongono' questo genere di estetica che lei comunque ama, e che, purtroppo, risulta inusuale in quanto è un genere dominato dagli uomini. 
Perché lei prende di petto il background machista del genere e lo fa suo, in barba al GENDER!1!1!  a Hollywood è sempre in agguato. 
E lei con il suo retaggio artistico, ha assimilato perfettamente l'estetica del genere e ha capito le regole del gioco se vuole fare questi film: la violenza, al limite del compiaciuto, quasi pornografico, lo stile concitato, la tensione, la politica è tipico della cinematografica maschile. E lei da grande figa qual è, se lo prende e ha tutto il diritto di farlo, perché se il suo ex marito mi fa quella palla al cazzo di Titanic, che, tecnicamente è ineccepibile, ma dal punto di vista narrativo è una piaga, perché lei non può girare film fatti, prodotti e diretti solitamente da uomini? 
E lei in questi genere trova il suo habitat naturale, dove può scatenare una potenza visiva enorme, uno stile concitato (basti pensare alla scena dell'inseguimento in apertura di Strange Days, dove la macchina da presa corre in maniera forsennata filmando in soggettiva). Una forza visiva sovraumana. Forza come la usava mia nonna, così  piccola, esile che era in grado di zappare la terra come un uomo. Perché il lavoro faticoso lo sapeva fare anche una donna minuta, così come un action movie lo sa fare anche lei, alla faccia del suo ex marito. 
Il cinema 'muscolare' è nelle sue corde e non c'è niente di femminile in quello che trasmette. E' un dato di fatto. Lei fa action come Scorsese sa essere formale e 'nobile' con L'età dell'innocenza. Lei fa film di guerra come Eastwood sa essere romantico con I ponti di Madison County. Ma se nella società e nel mondo del cinema è normale che i registi uomini escano dal loro seminato, purtroppo non lo è se una regista anche se cazzuta come la Bigelow.
E quel girare come un uomo, non mi stancherò mai di dirlo, è riferito alla sua tecnica, non al suo essere donna. E lei ha aperto un mondo a registe che si possono permettere di fare horror, rape and revenge movies e film noir. 
E non è un caso che sia stata la prima donna a vincere un Oscar come la migliore regista con un film di guerra (GOMBLOTTO!1!1!), perché si sa che Hollywood, prima del #metoo le donne venivano considerate poco dai membri dell'Academy. 
Che poi, siamo sinceri, voi che capite tutto, se vedeste un suo film per la prima volta, solo con il titolo, ma senza il suo nome, dareste la regia a un uomo, o a una donna? Dite la verità!
Ora, se avete letto fino a qui, vorrei farvi sapere che il linguaggio che ho utilizzato è stato volutamente scurrile. Perché tanto di questi tempi sospetti dove il GENDER!1!1! è in grossa crisi, posso pure scrivere come una buzzurra. Tanto, la scurrilità è universale, no? O dovrei, invece scrivere 'per dindirindina' mentre scrivo con una mano, mentre sorseggio una tazza di tea con il ditino alzato con l'altra? 
Spero di non dover più leggere in giro 'c'è gente che dice che la Bigelow giri come un uomo'. O dovrò lisciare la mia coda di paglia ad oltranza e non ne ho proprio voglia. 
Hasta la vista, baby!
E niente bacini, che quelli li lasciamo agli stronzi.


martedì 17 luglio 2018

CULT MOVIE: Persona

Il 14 luglio di 100 anni fa nasceva Ingmar Bergman e Mari di Redrumia ha voluto omaggiare il regista svedese con il gruppetto di bloggers. Director's cult per ragioni tecniche non ha potuto partecipare, ma ha deciso lo stesso di fare gli auguri in ritardo con la recensione di Persona.







Titolo: Persona
Id., Svezia, 1966
Cast: Bibi Andersson, Liv Ullman
Sceneggiatura: Ingmar Bergman
Regia: Ingmar Bergman
Durata: 85'


Una rivista inglese chiamata Stylist una volta definì Paul Verhoeven un regista femminista per aver rappresentato un personaggio femminile così forte in Elle e per aver trattato una tematica spinosa come lo stupro senza i pregiudizi maschili(sti) del caso. 
Cosa c'entra il regista olandese con Ingmar Bergman, nazionalità svedese e differente retaggio culturale e sociale? In un certo senso c'entra, perché anche il regista de Il settimo sigillo si puà definire femminista e con 50 anni di anticipo.
Persona infatti è - dal punto il mio punto vista femminile - un film femminista che rompe i tabù sessuali - a cominciare da immagini 'subliminali' di un pene in erezione mischiate a simbolismi religiosi da far impallidire le immagini messe 'a nascondino' da David Fincher in Fight Club.
Prima ancora del 1968 al motto americano de 'l'utero è mio e me lo gestisco io' e quasi 10 anni dopo delle femministe italiane al grido di 'tremate, tremate, le streghe son tornate!', le donne svedesi avevano (probabilmente) già a che fare con le beghe della sessualità in termini di pura esplorazione /sperimentazione e del concetto spinoso di maternità non voluta. Donne diverse accomunate dalla stessa difficoltà di svincolarsi dal ruolo predisposto di moglie e madre, due facce, una sola persona. 
Due volti, quello di Elisabeth (Liv Ullman), attrice teatrale che nel bel mezzo de L'elettra decide di smettere di parlare e il volto di Alma (Bibi Andersen), la giovane infermiera incaricata di prendersi cura di lei durante la degenza. Due donne, una sola persona, con un fardello da portare sulle spalle pesante come un macigno. 
Elisabeth non soffre di afasia, ma non ne vuole sapere di riprendere a parlare. E durante il soggiorno terapeutico al mare, Alma finisce parlare per due, un fiume in piena per sopperire alla mancanza di risposte e al mutismo assoluto dell'attrice.
Durante la permanenza alla casa al mare, Alma finisce per essere oggetto di studio di Elisabeth, carpendo i segreti di una giovane donna che involontariamente o forse no, ha trovato una persona con cui togliersi un peso che le schiaccia l'anima o solo poter raccontare una vicenda personale che viene considerata tabù dalla società dell'epoca. La giovane Alma finisce inconsapelvolmente per essere psicanalizzata da Elisabeth, che silenziosamente la ascolta come farebbe uno psicologo. E Alma si confida e racconta di quando era desiderosa di esplorare il sesso, finendo in un'orgia e rimanendo incinta per poi abortire. 
Alma rifiuta la maternità, ma il senso di colpa la pervade e la fa piangere, quasi vergonare per la sua promiscuità sessuale, ma almeno è stata coerente con la sua scelta.
Scelta che invece non ha osato fare Elisabeth, che ha avuto un figlio ma che trascura e rinnega, proprio perché non accetta il suo status di madre.
Sesso e maternità negata, due delle peggiori onte che la religione possa tollerare, che dovrebbero essere punite con le mani inchiodate e lo sgozzamento di un agnello (tipico simbolo del sacrificio) - come mostrato cripticamente dal regista nell'intro del film.
Ora, Persona non è un manifesto pro aborto, ma è un modo per esplorare il conflitto dell'essere donna in una società - non solo svedese - che stava cambiando verso una maggiore consapevolezza del ruolo femmininile che non è fatto solo di maternità. E Bergman nonostante utilizzi il suo retaggio religisoso, mostra queste due donne accomunate dall'angoscia di non essere all'altezza del ruolo di madre, facendo rinnegare la maternità ad Alma - ancorata comunque al rimorso - e al senso di inadeguatezza di Elisabeth che preferisce annullarsi quasi per non esistere più per quel ragazzino che rifiuta di voler crescere. I tempi cambiano in un terremoto sociale e storico dove in Vietnam i monaci buddhisti si danno fuoco in segno di protesta, in una società dove l'alienazione cominciava già a prendere piede e dove comunicare il senso di disagio era già difficile. I tempi cambiano e le donne vogliono essere padrone del proprio corpo e del proprio destino.
E se non puoi comunicare il tuo disagio, allora l'unica alternativa è il silenzio. Forse però l'unico modo per rompere questo silenzio è andare in un luogo sperduto e al sicuro, dove potersi scambiare i ruoli per potersi liberare da pesanti fardelli e poter ricominciare a vivere in qualche modo. Un modo per ricominciare a vivere anche per il regista svedese, che scelse il cinema per potersi liberare dalle angosce del suo retaggio culturale e religioso e per sfuggire dalla depressione che lo aveva attanagliato anni prima nonostante il successo. 
Ingmar Bergman fu un'anima tormentata e illuminata allo stesso tempo. E secondo me, anche femminista.


sabato 30 giugno 2018

FILMOGRAFIA: Vera Farmiga







NOME: Vera Farmiga
DATA DI NASCITA: 06/08/1973
LUOGO DI NASCITA: Passaic County, New Jersey, Stati Uniti
PROFESSIONE: Attrice










ATTRICE:

(2018) L'uomo sul treno - Joanna
(2016) Burn your Maps - Alise
(2016) The Conjuring - Il caso Enfield - Lorraine Warren
(2016) Special Correspondents - Eleanor
(2014) The Judge - Samantha
(2013) L'Evocazione - The Conjuring - Lorraine Warren
(2012) Safe House - Nessuno è al sicuro - Matt Weston
(2011) W.E. - Wallis Simpson
(2011) Source Code - Carol Goodwin
(2010) Henry's Crime - Julie
(2009) Tra le nuvole - Alex Goran
(2009) Orphan - Kate Coleman
(2009) The Vintner's Luck - Aurora de Valday
(2008) Una sola verità - Nothing but the Truth - Erica Van Doren
(2008) Il bambino con il pigiama a righe - Elsa - Madre
(2008) Quid Pro Quo - Fiona
(2008) In Tranzit - Natalia
(2007) Never Forever - Sophie Lee
(2007) Joshua - Abby Cairn
(2006) The departed - Il bene e il male - Madolyn
(2006) Complicità e sospetti - Oana
(2006) Running - Teresa Gazelle
(2005) Neverwas - Eleanna
(2005) The Hard Easy - Dott. Charlie Brooks
(2004) The Manchurian Candidate - Jocelyne Jordan
(2004) Touching Evil (Serie Tv) - Detective Susan Branca
(2004) Mind the Gap - Allison Lee
(2004) Touching Evil (Film Tv) - Detective Susan Branca
(2004) Angeli d'acciaio (Film Tv) - Ruza Wenclawska
(2004) Down to the Bone - Irene
(2001-2002) UC: Undercover (Serie Tv) - Alex Cross
(2002) Dummy - Lorena
(2002) Love in the Time of Money - Greta
(2001) La vera storia di Biancaneve (Film Tv) - Josephine
(2001) Dust - Amy
(2001) 15 minuti - Follia omicida a New York - Daphne Handlova
(2000) Autumn in New York - Lisa Tyler
(2000) The Opportunists - Miriam Kelly
(1997-2000) Roar (Serie Tv) - Caitlin
(1998) Trinity (Episodio Tv: In Loco Parentis) -
(1998) Il tempo di decidere - Kerrie
(1998) The Butterfly Dance - Diane
(1998) Law & Order - I due volti della giustizia (Episodio Tv: Expert) - Lindsay Carson
(1997) La piccola Rose (Film Tv) - Emily Elliot

giovedì 31 maggio 2018

TRIBUTO A ERMANNO OLMI: Il tempo si è fermato

Il 7 maggio è venuto a mancare il grande regista Ermanno Olmi. Kris Kelvin di Solaris ha voluto omaggiarlo e il gruppetto di bloggers si è unito a lui per ricordarlo. Director's cult esce dal letargo/coma per scrivere finalmente una recensione e ha scelto il film di debutto del maestro, Il tempo si è fermato.


Titolo: Il tempo si è fermato
Italia, 1958
Cast: Natale Rossi, Roberto Seveso, Paolo Quaddrubbi
Sceneggiatura: Ermanno Olmi
Regia: Ermanno Olmi
Durata: 83'

Siamo sempre di fretta. Tutto è veloce, tutto è frenetico, soprattutto se si vive in una grande città. Ma in Italia se si vuole staccare la spina, c'è sempre una località balneare o di montagna dove il tempo si può fermare. Come il monte Adamello in Val Camonica. Lì c'è il mite e taciturno Natale Rossi, il guardiano della diga che parla in stretto bergamasco con il suo collega Pedranzini. Pedranzini però deve rimanere a casa per via della nascita prematura del figlio e al suo posto arriva il giovane Roberto Seveso, studente di economia che ha bisogno di staccare dalla città in cerca di un luogo tranquillo dove può preparare il suo prossimo esame alla facoltà di economia.
Natale lo studia attentamente questo ragazzo non abituato a usare il manto innevato come bagno e con una passione per il Celentano più rock. E soprattutto lo guarda con sospetto perché è astemio. Il giovane è affabile e di buone maniere (anche lui mangia la minestra con il dado) e anche se per lui l'ambiente montagnino è a tratti ostile, cerca di adattarsi e di essere un aiuto per Natale. Complice un blackout e un riparo in chiesa, Natale si prenderà cura di Roberto quando sarà in preda alla febbre.
Ermanno Olmi faceva un cinema dove il tempo si poteva fermare davvero. Il suo stile documentaristico analizzava il tessuto sociale e geografico dell'Italia, con uno sguardo nostalgico verso i 'tempi che furono', quando ancora l'uomo era in contatto con la natura ancora intatta nonostante la voglia di innovazione spinta dal boom economico in arrivo.
E con Il tempo si è fermato, nato come documentario per l'Edisonvolta, finisce per girare un vero e proprio film con attori non professionisti. 
E nel farlo, crea un luogo divenuto ormai magico, che puoi trovare solo in romanzi di formazione come Cuore, libro che Roberto e Natale hanno letto.
Natale e Roberto, due generazioni differenti, due classi sociali differenti: il primo con una basica educazione, il secondo figlio della borghesia (lo si deduce dai suoi studi universitari, un tempo elitari), eppure capaci di superare la diffidenza e il disagio iniziale e vivere in armonia, superando le barriere sociali e culturali. 
Roberto è abituato alla praticità della vita cittadina, si stupisce nel non trovare un bagno e di dover andare all'aria aperta, mentre per Natale è la normalità. Così come Natale si incuriosisce nel sentire il rock and roll (seppur all'italiana), quando per lui le vecchie canzoni popolari sono più orecchiabili. 
I tempi cambiano, e così le generazioni. In un momento di confidenza durante il riparo in chiesa, Natale racconta di quando era bambino credeva ancora a babbo Natale per ricevere un dono. Mentre suo figlio ormai non ci crede più, e comprende se il magro stipendio del padre non potrà permettergli un paio di sci in regalo. 
E pensare che erano quasi Sessanta anni fa. E già le generazioni di quelli nati nel dopogurerra stavano giò dimenticando in fretta la tranquillità di un posto come la Val Camonica per abbracciare probabilmente la frenesia della 'Milano da bere', mostrando un disincanto e perché no, un cinismo di cui ne avrebbero 'beneficiato' a loro volta i possibili nipoti di Natale, o i figli di Roberto. Che alla fine siamo no, quelli nati  tra la generazione X e i Millennials.
Roberto a sua volta è in una sorta di sparti acque tra il vecchio e il nuovo: è il frutto della futura classe dirigente essendo uno studente di economia, ma a sua volta è rispettoso nei confronti dei più anziani di lui, cercando di essere d'aiuto nonostante si veda lontano un miglio che è in difficoltà fuori dall'ambiente cittadino.
E come nel delizioso cortometraggio Il pensionato, il giovane impara dal più (relativamente) vecchio e il più anziano impara ad apprezzare le idiosincrasie della nuova generazione che avanza.
Perché un tempo si faceva così. I giovani facevano tesoro delle lezioni apprese dai più anziani, arricchendosi di esperienza e soprattutto dalla volontà di imparare da loro. Oggi gli anziani non hanno più tempo di insegnare e i giovani non hanno (forse) più voglia di imparare da loro. Così come non siamo più incapaci di goderci i tempi morti. Della neve soffice, dell'arte di arrangiarsi nonostante le scarse comodità, rischiando di perdere definitivamente il rapporto con la natura. 
Anche perché siamo il frutto di una società che stava già radicalmente cambiando allo scoccare degli anni Sessanta con il suo miracolo economico pronto a rivoluzionare il bel paese (che fu). Basti pensare a Il sorpasso girato da Monicelli giusto due anni dopo il film di Olmi, dove un giovane, anche lui di nome Roberto, fa fatica a tenere il passo verso la modernità, nonostante le lezioni impartite dal più navigato Bruno Cortona. E si sa come va' a finire, non c'è più posto per persone come Natale Rossi e Roberto Seveso. Perché i tempi sono cambiati alla velocità della luce.
Siamo sempre di fretta. Però ogni tanto dovremmo spegnere lo smartphone e fermare il tempo per assaporare meglio gli istanti che la vita ci offre. Possiamo ancora farlo. 
E grazie maestro Olmi per avercelo fatto ricordare.


lunedì 28 maggio 2018

FILMOGRAFIA: Nicolas Vaporidis





NOME:
Nicolas Vaporidis
DATA DI NASCITA: 22/12/1981
LUOGO DI NASCITA: Roma, Lazio, Italia
PROFESSIONE: Attore





ATTORE:

(2018) Anche Senza Di Te - Nicola
(2016) La ragazza dei miei sogni - Alessandro
(2013) Outing - Fidanzati per sbaglio - Federico
(2012) Ci vediamo a casa -
(2012) Il futuro -
(2010) Maschi contro femmine -
(2010) Tutto l'amore del mondo - Matteo
(2009) Iago - Iago
(2008) Questa notte è ancora nostra - Massimo
(2008) Come tu mi vuoi - Riccardo
(2007) Cemento armato - Diego
(2007) Notte prima degli esami oggi - Luca Molinari
(2006) Last Minute Marocco - Andrea
(2006) Notte prima degli esami - Luca Molinari
(2006) R.I.S. - Delitti imperfetti (Episodio Tv: Testimone silenzioso) -
(2005) Ti amo in tutte le lingue del mondo -
(2004) 13dici a tavola - Giulio
(2004) Corpo immagine - Walter

lunedì 30 aprile 2018

RECENSIONE: Larry Flint - Oltre lo scandalo





Titolo: Larry Flint - Oltre lo scandalo
Titolo originale: The People Vs. Larry Flynt.
Cast: Woody Harrelson, Courtney Love, Edward Norton, James Cromwell.
Sceneggiatura: Scott Alexander, Larry Karaszewski.
Regia: Milos Forman.

Durata: 129’Gli anni Sessanta e Settanta furono gli anni del “flower power”, degli Hippies, “dell’utero è mio e me lo gestisco io”, della liberazione sessuale e dell’uso delle droghe leggere. Ma furono anche i ruggenti anni del porno grazie a Larry Claxton Flynt (Woody Harrelson), eccentrico imprenditore e self made man americano.
Nato povero ma con un forte senso degli affari fin da ragazzino, Larry parte in sordina con un locale esclusivo per uomini e nel 1973 per far fronte alla depressione economica dovuta al crisi petrolifera in America, decide di sdoganare la sessualità femminile su carta, ovvero con una newsletter che ben presto diventerà Hustler, l’antagonista di Playboy, la celebre rivista con le sue conigliette.
Se Hugh Hefner il creatore di Playboy giocava (e gioca ancora oggi) con uno stile da pin up includendo comunque articoli di attualità tipo “come fare un perfetto Martini”, Flynt sbatte direttamente il sesso in prima pagina. Ed è un successo. Ma anche uno scandalo.
L’unica colpa che ha Larry Flynt è il pessimo gusto, ma la sua ideologia di fondo si basa sulla libertà di pensiero, facendo del Primo emendamento il suo credo. 
Il Primo emendamento della Costituzione Americana recita:
"Il Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio, nonché la libertà di parola e stampa; il diritto di riunirsi pacificamente; e il diritto di appellarsi al governo per correggere i torti."
Libertà che nella mente eccentrica e anticonformista di Flynt si tramuta in una liberazione del sesso, contemplando la figura femminile in maniera “nuda e cruda” come qualcosa di normale e ovvio.
Perché non mostrare il sesso femminile quando il corpo della donna è stato creato da Dio, comprese le sue parti intime? Questo si chiede il picaresco Flynt. E c’è un non so che di ingenuo e naif nel suo ragionamento, come dargli torto?
Eva prima del peccato originale non indossava vestiti. Dio l’ha creata senza. E’ dopo il peccato originale che Eva cominciò a provare vergogna e a sentire la necessità di coprirsi. E tale vergogna è rimasta nella società dei benpensanti e dei puritani, che vedono il lavoro di Larry Flynt oltraggioso non tanto per la strumentalizzazione del corpo femminile, ma nella rappresentazione esplicita della sessualità della donna.
E qui inizia la crociata del popolo americano contro Larry Flynt, incarnato dal politico Charles Keating (James Cromwell), che deve assolutamente prevenire la distruzione dell’anima degli Stati Uniti d’America. E comincia il waltzer dei processi per oscenità. In soccorso di Larry arriva l’avvocato Alan Isaacman (Edward Norton), avvocato specializzato in diritti civili. E Larry Flint difende il suo operato seguendo il Primo emendamento della Costituzione, come un fedele che segue ciecamente il decalogo dei Comandamenti, derogandosi il sacro santo diritto di esprimere ciò che pensa. Anche se è oltraggioso e disgustoso per l'opinione pubblica. 
E come i libelli francesi dell’Ottocento che sbeffeggiavano la chiesa, la monarchia e la verginità delle fanciulle, Larry Flynt sbeffeggia Santa Claus, l’uomo di latta del mago di Oz e soprattutto i predicatori di Dio.
Larry Flynt non vuole corrompere nessuno, ognuno è libero di leggere la rivista che vuole. Se non ti piace Hustler, non leggerlo. Ma la sua crociata contro la censura gli causa processi e detenzione in carcere. 
Se una foto che ritrae un omicidio viene pubblicata in una rivista di cronaca, ritraendo comunque un’azione illegale, non viene ritenuta tale e anzi viene anche premiata con il Pulitzer, perché lo diventa quando l’immagine è di una donna nuda?
Perché il sesso, in quanto tale (e non nel contesto), non è illegale, ma lo diventa se viene esposto? Tutti vogliono fare sesso, che male c’è nel rappresentarlo?
Perché il sesso è qualcosa di sporco, quando invece la violenza della guerra viene vista con un’aurea di eroismo? 
I politici bigotti vedono la rappresentazione del materiale che contiene immagini sessualmente esplicite come elemento di corruzione per i giovani americani, mentre spinge i giovani ad arruolarsi (siamo pur sempre nella guerra del Vietnam). E Flynt si chiede: è più osceno il sesso, o la guerra?
E il film di Milos Forman si concentra soprattutto sulla battaglia di Larry Flint contro il sistema bigotto che si nasconde sotto l’ala del perbenismo. Ed è qui che Forman focalizza la prima parte del film sulla battaglia di Flynt in nome della libertà di espressione, facendo leva sulla contradditorietà della società americana.
Milos Forman rappresenta Larry Flynt come il condottiero fiero, iconoclasta, anticonformista che non disprezza (inizialmente) il sistema, ma sbeffeggia le falle del sistema giuridico stesso.
E come un biopic che si rispetta, non manca la parte sulla vita sregolata dell’editore degli scandali, tra feste, un intenso ménage familiare con la moglie Althea (Courtney Love) e la sua conversione religiosa che confluisce sul suo lavoro al limite del grottesco, e man mano aumenta la drammaticità con l’attentato che Flynt e il suo avvocato subiscono per mano di un pazzo, che porterà l’editore in una parabola esistenziale buia e rabbiosa, rendendo ancora più aspra la sua battaglia contro il sistema, e contro il dolore della sua menomazione fisica.
Passano gli anni Settanta, si affaccia la minaccia dell’AIDS, e gli anni dell’ospedale giudiziario, ma l’indomito Larry condurrà la sua ultima battaglia in nome della libertà di espressione.
Larry Flynt- Oltre lo scandalo è una travolgente (per come si susseguono velocemente gli eventi, per via anche della ricchezza che un soggetto come Flynt rappresenta) parabola della lotta per far valere il primo emendamento in un paese che, nonostante abbia vissuto un periodo di “sex, drug, and rock’n’roll” nell’epoca d’oro dei 70’s, aveva ancora una patina di puritanesimo ipocrita difficile da eliminare.
E se la prima parte del film è più irriverente, Milos Forman riesce comunque a rappresentare un materiale scabroso come la pornografia senza scadere nella volgarità, anche perché si focalizza sulla filosofia e sul credo di Larry Flynt piuttosto che su ciò che Flynt ha creato.
Forman guida con mano sicura un cast eccellente a cominciare da Woody Harrelson, che riesce a incarnare lo stile beffardo dell’editore, a Edward Norton, all’epoca un attore esordiente ma già promettente; ma a sorpresa la migliore è l’outsider Courtney Love, la rocker delle Hole che esordisce al cinema per la prima volta e riesce a rappresentare con bravura i demoni di Althea, demoni che la cantante stessa ha dovuto combattere per anni.
Larry Flynt – Oltre lo scandalo, può piacere o no. Non siete tenuti a vederlo se non siete interessati. È  pur sempre un paese libero.
Voto: 7,5