venerdì 31 marzo 2017

RECENSIONE: Frances Ha


*Il fascino indiscreto di una recensione retrò *



Titolo: Frances Ha
Id,. USA, 2012
Cast: Greta Gerwig, Mickey Sumner, Adam Driver.
Sceneggiatura: Greta Gerwig.
Regia: Noah Baumbach.
Durata: 82'


La generazione di oggi vuole fare questo, vuole fare quello, ma non ha voglia di farlo veramente.
E' un po' brutale messa così, o meglio come la mette in bianco e nero Noah Baumbach, che con Frances Ha potrebbe essere perfettamente catalogato come radical chic - proprio da coloro che non sanno che etichetta indossare per presentarsi agli occhi del mondo.
Negli anni Novanta c'era la Slacker Generation (rappresentata da Baumbach stesso nel suo ultimo film, While We're Young), nel Ventunesimo secolo, c'è... Boh, non si sa cosa c'è.
Se Frances fosse un oggetto di studio cinematografico, finirebbe per essere la figlia di un 'certo' Benjamin Braddock, che anche lui non aveva uno scopo nella vita dopo la laurea.
Se Frances fosse un oggetto di studio sociologico, finirebbe nella categoria 'eterno Peter Pan'- tanto usata per classificare quei giovanotti che stanno tanto bene a casa e che non pensano assolutamente di sposarsi perché niente e nessuno rammenda i calzini e fa una cena favolosa come solo la mamma sa fare.
Ecco, Frances ne sembra la variante. Scioccamente la si può etichettare come 'sindrome di Trilly'?
Baumbach presenta la nostra 'eroina' scanzonata, che balla al parco e scorrazza in giro con la migliore amica Sophie (Mickey Sumner), che lavora per una casa editrice. 
Frances fantastica con Sophie di coabitare in un appartamento nel Village, di diventare una ballerina e la sua amica una famosa scrittrice, condividendo tutto con lei, tanto da rompere con il suo fidanzato (prendere un gatto insieme e vivere come una famigliola, stai scherzando vero?).
Però Sophie ha fatto uno step in più: si è fidanzata, si trasferisce prima a Tribeca (che Frances non può permettersi), poi si trasferisce in Giappone. E Frances rimane così, immobile. Perché sognare è facile, ma mettere in pratica, 'sbattersi', un po' meno.
Sophie si evolve, Frances, no.
Sophie è cresciuta, Frances no.
Sophie sa (al momento) cosa vuole dalla vita, Frances anche, ma non ha la forza o semplicemente la voglia di reagire e cambiare radicalmente la sua vita.
Certo, vive a New York, ma fa fatica a sbarcare il lunario. Vuole fare la ballerina, ma non ha la motivazione necessaria e non combatte per ottenere ciò che vuole.
Più che definirla inconcludente, Frances sembra stritolata dalla sua situazione in stallo. Cerca di vivere con nuove persone (artisti mantenuti dai genitori), una nuova amica con cui ca**eggiare come con Sophie. Però non funziona.
Si sente un pesce fuor d'acqua. Sembra quasi un'aliena tra tutte queste persone con i piedi per terra, come la sua amica Sophie.
Sophie però mica è messa molto meglio. Segue alla perfezione le regole: lavoro, famiglia, vita borghese ad ottimi standard. Sophie taglia i rapporti con Frances, ma non è felice, è in crisi. 
Sophie sa cosa vuole, ma una volta ottenuto scopre che non è soddisfatta.  Frances non sa cosa vuole, e scopre che non è soddisfatta altrettanto.
Questa situazione di perenne immobilità la porta dappertutto e da nessuna parte: New York, dove vive in modo bohémiene tra locali fighi e conti salati da pagare, Sacramento  dove si sente al sicuro a casa dei genitori, Parigi dove passa un weekend in estrema solitudine e senza aver assaporato o goduto niente della fascinosa metropoli. 
E con il soggiorno Parigino Baumbach focalizza la sensazione di Frances di vivere persa nel vuoto, senza una meta e senza uno scopo preciso, sprecando tante occasioni che bussano alla porta. Perché Frances sa che la sua vita è un casino, però non sa da che parte cominciare a raccogliere i cocci e rimettersi in carreggiata.
Baumbach sembra non volere fare sconti alla generazione '?' e allora non fa regali a nessuno, facendo arretrare Frances, facendole toccare il fondo, facendola dormire nel dormitorio della sua università, facendole fare lavori saltuari.
Ecco, Frances finalmente (o almeno, si spera) ha capito la lezione e abbassa il tiro, arrivando a fare compromessi con una vita piena di incognite. 
E Frances Hallaway ristretto in 'Ha' sul nome del citofono è un buon inizio.
Con Frances Ha, Noah Baumbach ritorna allo stile ormai considerato 'vintage' dei film indipendenti tipici degli anni Novanta, girato per strada strizzando volutamente l'occhio un po' a Godard e al suo Fino all'ultimo respiro, un po' allo stile nevrotico/newyorkese di Woody Allen - mettendoci di suo i conflitti generazionali e lo smarrimento di una gioventù che credeva di potere avere tutto, e invece non ha ricevuto niente. Con l'aggravante di non sapere agguantare con tenacia e testardaggine ciò che si vuole.
E se lo stile di Baumbach risulta un po' leccatino e vagamente 'parac*lo', non si può negare una certa empatia e simpatia per questa scombinata ragazza, che si definisce 'infidanzabile'.
Frances Ha è una commedia ben scritta dalla brava protagonista Greta Gerwich - una commedia leggera dal retrogusto amarognolo, ma anche uno sguardo su una società un po' persa per strada.

Voto: 7

giovedì 30 marzo 2017

CULT MOVIE: I tre volti della paura (Black Sabbath)



Titolo: I tre volti della paura
Italia, 1963
Cast: Boris Karloff, Mark Damon, Michèle Mercier, Milly Monti.
Sceneggiatura: Marcello Fondato, Alberto Bevilacqua, Mario Bava
Regia: Mario Bava
Durata: 92'



Cosa hanno in comune Guy De Maupassant, LevTolstoj e Anton Checov? La capacità di saper raccontare le paure dell’animo umano tra realtà e fantasia. E nellemani di Mario Bava diventano uno strumento per suscitare terrore e inquietudine.
Una donna elegante viene assillata in continuazione da telefonate anonime. Il suo aguzzino la desidera, ma al tempo stesso la vuole uccidere. E se fosse il suo ex amante scappato di prigione?
Rosy ad un tratto si sente prigioniera del luogo più sicuro al mondo: la propria casa. Cerca di bloccare la porta, spegne le luci per far finta di non essere in casa, ma poi le riaccende per sentirsi più tranquilla. Ma nel silenzio più assoluto ecco che il telefono suona di nuovo, con una voce sempre più minacciosa. L’unica soluzione è chiamare la sua migliore amica Mary, con la quale ha un rapporto particolare che va al di là della semplice amicizia, interrotta proprio per volere del suo ex amante, ora fuggitivo.
Rosy sembra tranquilla, ma il colpo di scena è dietro l’angolo. ..
Il telefono è un sottile filo di erotismo che lega le due protagoniste viene legato con la suspence e il terrore di una donna indifesa che non sa come difendersi da una minaccia a lei sconosciuta. Suspence con una scena che sembra omaggiare Il delitto perfetto di Alfred Hitchcock, La telefonata è un episodio girato con mestiere ed elegante, utilizzando con efficacia la musica e gli effetti sonori (lo squillo del telefono, che ha la funzione di una chiamata della morte).
Bava ha la bravura di far entrare l’elemento horror in un ambiente domestico, dove una donna sola si sente all’improvviso in trappola, come un topolino in una gabbia. Trasformando a sua volta il focolare domestico in quattro mura dove non si ci si può sentire più al sicuro.
Successivamente Bava abbandona l’ambiente contemporaneo borghese per introdurre lo spettatore in un paese sperduto, dove incombe una minaccia. E qui dimostra di sapersela cavare alla grande negli spazi aperti, dove la foresta innevata è un ricettacolo di oscuri presagi di morte.
Un giovane cerca ristoro presso una famiglia, che attende con ansia il ritorno del capo famiglia. Ma leggenda narra che se ritorna dopo 5 giorni, potrebbe trasformarsi in un Wurdalak, un vampiro e uccidere le persone che ama. Nulla promette qualcosa di buono: il cane non riconosce più il suo padrone di casa (Boris Karloff), ululando incessantemente. E se fosse un Vurdulak? Il Wurdalak è un vampiro, e come tutti i vampiri è a caccia di sangue. E se le prede fossero la sua stessa famiglia?
Bava introduce il dubbio nei membri della famiglia, divisi tra la necessità di difendersi da un (possibile) vampiro, e credere ciecamente nella “bontà” di un padre di famiglia. Ma il seme del male è entrato e piano piano viene a insinuarsi nella famiglia. Bava getta i suoi personaggi nell’incubo, che nasce nel nucleo familiare: e se nel primo episodio rendeva la casa come il luogo meno sicuro in assoluto, in questo secondo episodio mette in guardia lo spettatore nei pericoli insiti nella famiglia stessa, il nucleo dove si è protetti in assoluto. E getta anche un alone di inettitudine nel giovane forestiero, che dovrebbe essere il principe che salva la bella Svenka dalla furia del WurdAlak, ma che alla fine è capace solo di fuggire, mettendo molte ombre sull’eroe che dovrebbe essere senza macchia e senza paura.
I Wurdalak rappresenta l’escursus nel classico del cinema horror con la classica storia di vampiri. Nelle mani di Bava però è una parabola sulla morte che è più forte dell’amore. Amore che non riesce a sconfiggere la morte.
Mai cedere alla cupidigia. Lo scopre a sue spese un’infermiera (Milly Monti) che deve vestire il cadavere di una medium e vede quell’anello luccicante che, come una gazza ladra, attira la sua curiosità. Come luccica quell’anello, sembra sussurrarle “prendimi” e lei lo prende, come ricompensa per il lavoro svolto. Ma il cadavere dell’anziana medium la fissa con quegli occhi vitrei e freddi resi tali dalla morte, con gli occhi spalancati e la bocca storta. E la punisce. Comincia a infastidire l’infermiera con una gocci d’acqua. Che scende, scende dando fastidio. Ma l’infermiera non vuole rinunciare all’anello. Così il fantasma bussa alla sua porta per rivendicare ciò che suo e punirla. Perché quell’anello è maledetto e prendendolo ha accolto la sua maledizione. Se vuoi prendere qualcosa che non ti appartiene, devi pagarne le conseguenze. Ma non si impara mai la lezione e l’anello finisce in mano a qualcun altro colto da altrettanta cupidigia. E la goccia d’acqua torna a tormentare.
La goccia d’acqua è il classico episodio dei fantasmi, tramutandolo però in una parabola del “non desiderare la roba d’altri”, dove l’avarizia e la cupidigia vengono puniti dallo spirito malvagio. Bava ha la bravura di usare il sonoro come elemento di tensione (il rumore della goccia che scende) e l’uso della fotografia per enfatizzare l’aspetto mostruoso della medium deceduta. Il tutto con pochi mezzi a disposizione.
Uh, grande errore considerare Mario Bava un autore horror di serie B. Grande errore. Il fatto che sapesse fare film in economia, rispetto alla raffinatezza stilistica del Dario Argento dei tempi d’oro, lo avvicina più a Roger Corman che all’autore di Profondo rosso. Che, per inciso, deve tutto al maestro del brivido all’italiana. Anche perché Bava aveva sì pochi mezzi a disposizione, ma possedeva una grande maestria nel saperli usare, come una 'banale' carrellata che si avvicina lentamente al telefono, che diventa un'arma per spaventare a morte la bellissima Rosy nell'episodio La Telefonata.
I tre volti della paura è un classico del cinema horror, dove Mario Bava mostra la sua maestria nel girare in spazi chiusi, mostrando una tecnica registica fluida e perfetta. Al di là delle storie del terrore fatte da pazzi, vampiri e fantasmi, la capacità di Bava sta nel creare la giusta atmosfera con le luci, il senso di claustrofobia che attanaglia nel primo episodio, gli inseguimenti nei boschi a cavallo che tengono col fiato sospeso (di cui Tim Burton è debitore nel suo splendido Sleepy Hollow), e l’uso del sonoro con quel fastidioso ticchettio di una goccia d’acqua; per non parlare di quel volto deformato dalla morte ancora in grado di incutere timore a distanza di cinquanta anni.
Tutti i grandi registi (e anche un “certo” Ozzy Osbourne) gli sono debitori: da Dario Argento a Quentin Tarantino. Ma la bravura di giocare con il mezzo cinematografico con leggerezza e bravura spetta a Bava, che svela i trucchetti alla fine del film, con il mitico Boris Karloff che galoppa su un cavallo finto, con cinque membri della troupe che corrono come forsennati agitando delle felci. E noi che credevamo fosse una vera cavalcata in un bosco terrificante.Chapeau.

Voto: 8

martedì 28 marzo 2017

ATOMIC DAYS - Matinee

Marzo è il mese in cui è stata scoperta la radioattività, e allora uno sparuto gruppetto di blogger ha deciso, grazie all'idea di Lazyfish di celebrarla con un day dai toni atomici. Director's cult ha scelto Matinee di Joe Dante.






Titolo: Matinee
Id., USA 1993
Cast: John Goodman, Cathy Moriarthy, Simon Fenton.
Sceneggiatura: Charles S. Haas
Durata: 99'
Regia: Joe Dante


Metà uomo, metà formica, intero è lo spavento! Con questo slogan Lawrence Woosley arriva in una piccola cittadina della Florida per promuovere il suo film Ant Man, dove un uomo viene morso da una formica mentre stava effettuando una lastra dal dentista. Nessuna carie per fortuna, ma il malcapitato diventa un mutante a causa  delle radiazioni. E le radiazioni spaventano, soprattutto quando sono gli anni Sessanta e la crisi missilistica di Cuba terrà la nazione col fiato sospeso per 13 giorni.
Mentre il braccio di ferro tra John Fiztgerald Kennedy e Nikita Krusciov continua, il giovane Gene (Simon Fenton) cerca di vivere la sua vita scacciando le preoccupazioni familiari (il padre è un ufficiale della marina in missione a Cuba) vedendo film dell'orrore. Film che produce Woosley, che sfrutta la paura collettiva per lanciare il suo film, facendo della premiere una giornata indimenticabile con effetti speciali, scosse che provengono dalle poltrone per far sobbalzare lo spettatore, con tanto di uomo formica che sbuca all'improvviso per spaventare il pubblico. 
Il cinema è un mezzo di intrattenimento, ma nelle mani di Joe Dante e del suo piccolo gioiellino Matinee, diventa una catarsi che libera dallo spettro della bomba atomica.
Nel 1961 Dante aveva 15 anni proprio come il giovane Gene, e Matinee non mette in scena solo la crisi missilistica di Cuba vista con gli occhi di un teenager, ma è anche un affettuoso omaggio al cinema mainstream (brutto dire di serie B) dei film dell'orrore.
Dante infatti omaggia William Castle (che produsse anche Rosemary's Baby di Polansky), che non si limitava a dirigere e produrre film horror, ma regalava allo spettatore sensazioni di puro spavento con i mostri dei suoi film che sbucavano in sala all'improvviso con tanto di kit anti vomito sotto la poltrona come in aereo. E Castle si incarna in Woosley che con cinismo e buon senso degli affari sfrutta l'isteria collettiva con il suo film dell'orrore fatto di uomini formica, offrendo però un mezzo per liberarsi dalle ansie che non possono essere cancellate da un paio di mani messe dietro la nuca, usando la teoria dello struzzo 'occhio non vede, cuore non duole', nel tentativo di eliminare la paura come quando si vede un film spaventoso che ti porta a chiudere gli occhi.
Film dell'orrore che invece vanno visti ad occhi aperti, evitando di chiuderli per lo spavento. Solo così si potrà esorcizzare la paura. Nella vita reale però la paura è alimentata dalla paranoia di un possibile bombardamento nucleare, così a scuola ti insegnano a scappare, gettarti per terra e nascondere la testa tra le mani appena senti la sirena.
E se fosse tutta una menzogna? Basta nascondere la testa come fa lo struzzo  per evitare che la bomba atomica ti colpisca? La giovane Sandra (Lisa Jakub) denuncia l'nutilità di questa esercitazione, che porta più a nascondersi da una minaccia che potrebbe diventare realtà e che il popolo americano può solo subire senza poter fare nulla.
L'unica soluziione per Gene è eliminare l'incubo atomico andando al cinema dove proiettano Antman, lasciando le reali angosce agli adulti. Sono gli adulti che angosciano i ragazzi, che tentano di vivere una vita normale preoccupandosi più di conquistare la ragazza popolare di turno e ascoltare dischi dal contenuto sconcio di nascosto, facendosi condizionare poco dalle dicerie e preoccupazioni dei genitori. E sono gli adulti che boicottano Woosley e Antman, perché è un film che potrebbe far venire le convulsioni ai ragazzini, cercando di censurare il film per proteggere i ragazzi da qualsiasi minaccia. 
Come se i liceali non avessero già le loro 'beghe' quotidiane, come la difficoltà di stringere nuove amicizie a casua di continui spostamenti, la mancanza di una figura genitoriale presente (Gene non può neanche telefonare al padre in missione per questioni di sicurezza), o fuggire dal bullo di turno che è anche stato in riformatorio; anabolizzando le informazioni degli adulti cercando di avere un punto di vista più ottimista e anche più sensato.
E Dante punta il dito sull'isteria collettiva dei grandi che si lasciano prendere da un'insensata paranoia, arrivando a costruire un bunker sotterraneo come il padrone del cinema, che vive in costante ansia ascoltando le news alla radio e mettendo in pericolo Gene e Lisa quando finiscono intrappolati per sbaglio, rischiando di morire per mancanza d'aria in un posto costruito appositamente per sentirsi al sicuro dalla grande minaccia nucleare.
Matinee è un affettuoso omaggio al cinema horror degli anni Cinquanta, un cinema che Dante ha divorato da ragazzino, con uno strepitoso John Goodman che veste i panni di Castle alla perfezione. Curato nei minimi dettagli e con un Antman che potrebbe benissimo essere un film a sè, è un film godibile e divertente che sa comunque riflettere su un periodo storico ansiogeno per gli USA. 
Dante, consueto al suo stile (che arriverà al massimo con La seconda guerra civile americana) con cinico divertimento irride la campagna di terrore che ha vissuto l'America negli anni Sessanta, arrivando probabilmente alla sua catarsi personale, scrollandosi (forse) tutte le paure che ha dovuto sopportare da ragazzino. Per fortuna che c'è il cinema, che offre la fuga dalla realtà per un paio d'ore, anche se a volte rappresenta il reale meglio di una news alla televisione.

Voto: 7,5

Hanno collaborato:

Solaris
Non c'è paragone

venerdì 24 marzo 2017

SPOT REVIEW: Trio Daisy By Marc Jacobs




Titolo spot: Trio Daisy by Marc Jacobs
USA, 2014
Regia: Sofia Coppola.
Durata: 31''


M'ama... Non m'ama... M'ama... Non m'ama... La risposta è  nelle margherite, interrogate da una fanciulla immersa in un prato fiorito.
Quattro ragazze eteree come le ninfe, uscite da un quadro di Botticelli, si lasciano andare alla leggerezza dell'estate che sta arrivando, con i suoi caldi raggi dorati che accarezzano la loro pelle delicata.
L'estate è il tempo dedicato ai sogni, al relax, a lunghe passeggiate immerse nella natura, per poi  raccontarsi i propri segreti e le proprie aspirazioni in riva al fiume. 
Questo universo etereo lo crea Sofia Coppola, che offre il suo talendo girando per lo stilista statunitense Marc Jacobs uno spot per il suo profumo più famoso, Daisy - confermando ancora una volta il suo speciale rapporto con la moda.
Sofia Coppola con Trio Daisy by Marc Jacobs realizza uno spot pubblicitario giovane, fresco e dalle atmosfere sognanti.
La regista sembra riprendere la fanciullezza e l'innocenza del suo film d'esordio Il giardino delle vergini suicide, prendendo però solo il lato spensierato della giovinezza - quattro angeli che corrono incontro alla gaiezza che l'età consente a loro di assaporare, creando momenti indimenticabili, che ritorneranno alla memoria con due gocce di profumo.
E' come se volesse regalare alle sorelle Lisbon una nuova vita, assaporando la spensieratezza che solo l'estate può regalare, dove una margherita racchiude la speranza dell'amore.
M'ama... Non m'ama... M'ama... Non m'ama...

giovedì 23 marzo 2017

GOODBYE: Addio a Tomas Milian

Carla, che è quell'aria, quello scontento? Allora vuoi dare ragione a Lisa. Mi ha fatto una lezione di grammatica elementare della vita stasera, secondo cui tu dovresti essere serena e felice. Non ti manca niente.
(Carlo - Gli indifferenti, 1964)


Tomas Milian (1933- 2017)

mercoledì 22 marzo 2017

LEZIONE DI CINEMA: L'off screen sound in C'era una volta il West



Il bello del cinema è che si può creare un mondo dove i pensieri, la musica e i rumori prendono vita autonoma, come se si materializzasse un flusso di coscienza che di solito è quasi una esclusiva di un certo tipo di letteratura (Italo Svevo, Marcel Proust, Virginia Woolf ne furono i massimi esponenti). 
Nel cinema questo flusso di 'rumori' ci sono, ma non si vedono, grazie alla tecnica dell'off screen sound. In che senso? Come nella musica extradiegetica, che accompagna il film e il personaggio che non può udire la musica, fungendo da colonna sonora (a differenza della musica diegetica che avviene in campo, per esempio quando un personaggio suona il pianoforte a una festa), il suono è anch'esso fuori dal campo, ma a differenza della musica extradiegetica, il personaggio sente il rumore/canzone/suono, mentre lo spettatore non può risalirne la fonte. In questo caso il suono è acusmatico (cioè fuoricampo) e diegetico (che viene sentito dal personaggio) 
Uno degli esempi di off screen sound avviene in C'era una volta il West (1968). Nella scena finale, il personaggio di Charles Bronson, Armonica. viene inquadrato in primissimo piano mentre si volta all'orizzonte perché sente il fischio del treno che sta per arrivare in città, ma noi non capiamo da dove arriva finché il dolly non alza l'inquadratura facendo uscire dal campo visivo Bronson per inquadrare il treno in lontananza (che arriva mediante l'uso di un campo lungo). 
La bellezza di questo espediente tecnico, miscelato con la musica extra-diegetica di Ennio Morricone, conferisce alla scena realismo, con un tocco di liricità che chiude alla perfezione questo grande western di Sergio Leone

domenica 19 marzo 2017

MONOGRAFIA: Joan Fontaine



 Bellezza, fragilità e insicurezza. Queste erano le caratteristiche che forgiavano i personaggi di Joan Fontaine - in arte Joan de Beavoir de Havilland - nacque a Tokyo il 22 ottobre del 1917. 
Si trasferì in America da bambina, in seguito alla separazione dei genitori, anche se all'età di 15 anni decise di raggiungere il padre in Giappone dove visse per due anni. 
Decisa a voler entrare nel mondo dello spettacolo, dovette cambiare il proprio cognome perché la a madre era in disaccordo, così l'aspirante attrice usò il cognome d'arte Fontaine.
Esordì nel mondo del cinema nel 1935, dopo aver studiato recitazione con Max Reinhardt, facendo il suo esordio nella pellicola Call it A Day, mostrando già un talento naturale per ruoli di donna fragile e insicura. Dopo l'esordio, venne scritturata dalla RKO, ma dopo l'ottimo esordio, conseguì una serie di flop cinematografici, tra cui Una magnifica avventura (1937) a fianco di Fred Astaire e una serie di ruoli in cui recitava la parte dell'ereditiera eccentrica, come in Gunga Din di Roger Stevenson e Donne (1940) di George Cukor, al fianco di Joan Crawford e Norma Shaer. 
Questi ruoli non le consentirono di ottenere la celebrità sperata, tale che la RKO decise di non rinnovarle il contratto. Fortunatamente per lei arrivò una festa, l'incontro con il produttore David O'Selznick (lo stesso di Via col vento in cui recitò la sorella maggiore Olivia de Havilland) che le diede il ruolo da protagonista in Rebecca (1940), diretto da Alfred Hitchcock. 
Joan Fontaine dimenticò i ruoli eccentrici per diventare una donna anonima che vive con l'incubo del fantasma Rebecca, la prima moglie di Max De Winter. E divenne una diva.
Nel 1940 ottenne la sua prima nomination agli Oscar, ma dovette aspettare l'anno successivgo grazie a Il sospetto (1941), nel ruolo di una donna ricca che sposa un fascinoso fannullone (Cary Grant) divorata dal dubbio che voglia ucciderla per il suo patrimonio. 
Joan Fontaine finì per battere la sorella Olivia, anche lei nominata per La porta d'oro, arrivando a un'accesa rivalità tra lei e la sorella, che esordì al cinema per prima e ottenne successo nel 1939 nel ruolo della dolce Melania in Via col vento. 
Alla cerimonia degli Oscar Joan Fontaine in colpa per averle sottratto la statuetta, evitò la sorella che volle farle le congratulazioni, arrivando a non parlarsi fino al 1975, anno della morte della loro madre. Successivamente troncarono ogni rapporto.
Successivamente recitò in Sono un disertore di Anatole Litvak (1943) e Il fiore che non colsi dello stesso anno, che le regalò una terza nomination. 
Lavorò poi con il regista Orson Welles, nei panni di attore questa volta, in La porta proibita, versione cinematografica di Jane Eyer, dove lei interpreta la protagonista e lui il burbero Rochester.
Nel 1948 fu protagonista dello struggente melò di Lettera da una sconosciuta (1948), dove interpreta una ragazza di modeste origini che ha una sola notte d'amore con un famoso pianista, interpretato dal tormentato Louis Jourdan.
Con gli anni Cinquanta iniziò il suo declino, raggiungendo comunque un buon successo a Brodaway in pièce come Te e simpatia, mentre al cinema fu diretta da Nicholas Ray ne La seduttrice (1950) ed ebbe un ruolo non accretitato ne Otello diretto da Orson Welles (1952).
Nel 1953 fu diretta da Ida Lupino ne La grande nebbia, nel ruolo di una donna sposato a un uomo che ha un'altra famiglia. 
Decise di lasciare il cinema con l'horror Creatura del diavolo (1966) che co-produsse, per poi approdare alla TV, ottenendo una candidatura agli Emmy con la soap opera Ryan's Hope.
Sulla competizione con la sorella Olivia una volta disse: mi sono sposata prima di lei, ho vinto un Oscar prima che Olivia l'abbia vinto e se dovessi morire per prima, sicuramente lei sarebbe livida dalla rabbia perché l'ho battuta" .

venerdì 17 marzo 2017

NEWS: Alfonso Cauròn gira un nuovo film



Dopo i fasti di Gravity Alfonso Cuaròn torna a girare un film senza le grandi produzioni hollywoodiane, preferendo un piccolo budget per la sua ultima fatica, che si intitolerà Roma. 
Il film racconterà il massacro del Corpus Christi in Messico, avvenuto negli anni Settanta, raccontando la manifestazione di un gruppo di studenti che il 10 giugno del 1971 scesero in piazza per protestare contro l'ineguaglianza del sistema educativo messicano e contro la privatizzazione delle università - manifestazione conclusasi con l'uccisione di molti manifestanti per mano dei paramilitari.
Per raccontare questa storia, Cuaròn ha deciso di optare per un film indie, rinunciando ad attori del calibro di George Clooney e Sandra Bullock (che ha diretto in Gravity) e del super direttore della fotografia Emmanuel Lubezki (tre premi Oscar di fila e collaboratore di Cuaròn per Gravity e I figli degli uomini, ora impegnato in un altro film), avvalendosi del meno conosciut Galo Olivares. 
Cuaròn ha già girato diverse scene del film, ma la produzione è stata funestata dall'aggresione di alcuni membri della troupe, che sono stati picchiati da sconosciuti che hanno cercato di fermare le riprese.
Incidenti a parte, Cuaròn è riuscito ad andare avanti  con le riprese, che a quanto pare sono già terminate e destinate alla fase di post-produzione. 
Questo è uno dei film più intimi del regista, perché racconterà non solo un fatto di cronaca, ma anche molti elementi della storia partono dai ricordi del regista. Il titolo Roma invece è riferito all'evoluzione  e crescita del Messico in tutti i campi, tale da renderla degna di essere paragonata al glorioso impero romano.


mercoledì 15 marzo 2017

MOVIE ON THE ROAD: Gorkji Park



Gorkij Park è uno dei parchi più importanti di Mosca, come Hyde Park a Londra o Central Park a New York. Il parco è stato intitolato in onore di maskim Go'kij, scrittore e drammaturgo sovietico, padre del realismo socialista (movimento artistico e letterario della Russia degli anni Trenta di impronta marxista-leninista).
Il parco nacque nel 1928 nella zona di Krimsky Val, dalla fusione degli ampi giardini del vecchio Golitsyn Hospital col Neskuchny Palace, e ospita fiere e attività ludiche per bambini, e in inverno offre l'opportunità di pattinare, estendendosi lungo il fiume Moscova. 
Infatti il  parco di divide in due parti: una zona è puramente ornamentale, con laghetti e meravigliose fontane, mentre l'altra parte vi è situato una giostra e soprattutto la navicella Buram, che riprende lo Space Shuttle della NASA, progetto spaziale russo mai terminato. 
Il Gorkji Park diventa la scena di un crimine ne Gorky Park (1983) diretto da Michael Apted. Tratto dal romanzo Gorky Park di Martin Cruz Smith, il thriller racconta la storia del ritrovamento di tre cadaveri orrendamente sfigurati e privati delle loro impronte digitali. Il poliziotto russo interpretato da William Hurt indaga sulla morte di queste tre misteriose persone, di cui una donna americana, finendo per essere coinvolto in un gioco pericoloso tra spie, commerci illegali, che combatterà con la collaborazione dei servizi segreti americani (tra cui figura un grande Lee Marvin).

domenica 12 marzo 2017

MUSIC VIDEO REVIEW: Take Me to Church



Titolo: Take Me to Church
Cantante: Hozier.
Guest Star: Sergei Polounine.
Regia: David LaChapelle.
Durata: 4'07''

Musica, balletto e fotografia: un threesome interessante ed esplosivo, soprattutto quando il fotografo (e regista) è David LaChapelle - regista di un videoclip che vede protagonista l'astro nascente e 'bad boy' della danza Sergei Polunin, sulle note di Take Me to Church di Hozier.
LsChapelle noto come 'Fellini della fotografia', da qualche anno ha smesso di panni trasgressivi di fotografo delle celebrità, scoprendo un lato intimista e introspettivo che si rivela anche nel suo lavoro di filmaker; abbandonando definitivamente i colori pop e fluo - il fucsia era il suo marchio di fabbrica- in nome della sobrietà e della semplicità.
Questo videoclip lo dimostra, dove LaChapelle si limita a seguire il ballerino Polunin, giocando con le luci che provengono dalle finestre di quella che a prima vista sembra una chiesa in costruzione o dismessa.
LaChapelle riprende il filo conduttore delle sue ultime opere (La pietà, Il giudizio universale) e investe di luce 'divina' le perfette movenze dell'astro nascente del Bolshoi - offrendo una sua visione del mondo e della religione. 
Sacro e profano si mescolano: la luce tocca il bad boy della danza, la cui purezza di putto viene disturbata dai numerosi tatuaggi che poco si addicono alla classica figura regale del danzatore classico.
I toni neutri e la luce soffusa fa sembrare Polounine quasi un angelo, la cui 'volontà divina' lo spinge a danzare e a volteggiare con grazia, da cui trasuda grinta e determinazione.
Il climax LaChapelle lo raggiunge quando Polounine è nel centro della scena, abbracciato dai fasci di luce che lo investono. Polunin inginocchiato rinasce dalla luce, come se fosse LaChapelle ideasse - a modo suo - La creazione di Adamo di Michelangelo Buonarroti. 
LaChapelle forse non è più il cattivo ragazzo della fotografia, ma la sua svolta e rinascita artistica ha prodotto un gioiellino di forza e delicatezza che non ha eguali - riuscendo a rappresentare la struggente canzone di Hozier con la sola forza della bellezza.



venerdì 10 marzo 2017

FILMOGRAFIA: Ruth Negga






NOME: Ruth
Negga
DATA DI NASCITA: 07/01/1982
LUOGO DI NASCITA: Addis Ababa, Ethiopia
PROFESSIONE: Attrice










ATTRICE:

(2016-2017) Preacher (Serie Tv) - Tulip O'Hare
(2016) Warcraft: L'inizio - Lady Taria
(2016) Loving - Mildred Loving
(2015) Iona - Iona
(2013-2015) Agents of S.H.I.E.L.D. (Serie Tv) - Raina
(2014) Una Vida: A Fable of Music and the Mind - Jessica
(2014) Dark Souls II (Videogame) - Shanalotte (voce)
(2014) Noble - Joan
(2014) The Money (Film Tv) - Erin Foley
(2013) Things He Never Said (Corto) - Rachel
(2013) Jimi: All Is by My Side - Ida
(2013) World War Z - Dottoressa
(2012) Secret State (Mini-Serie Tv) - Agnes Evans
(2012) Fury - Iris
(2011) Hello Carter (Corto) - Dottoressa
(2010-2011) Love/Hate (Serie Tv) - Rosie
(2011) Shirley (Film Tv) - Shirley Bassey
(2011) El Shaddai: Ascension of the Metatron (Videogame) - Ishtar (voce)
(2010) Bleach (Corto) - Anne
(2010) Jacob (Corto) -
(2010) The Nativity (Mini-Serie Tv) - Leah
(2010) Misfits (Serie Tv) - Nikki
(2010) National Theatre Live: Hamlet - Ophelia
(2010) Five Daughters (Mini-Serie Tv) - Rochelle
(2009) Personal Affairs (Serie Tv) - Doris Siddiqi
(2009) Corduroy (Corto) - Tess
(2009) National Theatre Live: Phèdre (Film Tv) - Aricia
(2008) Criminal Justice (Mini-Serie Tv) - Melanie Lloyd/Melanie
(2006) The Four Horsemen (Corto) - Sacerdotessa
(2005) Colour Me Kubrick: A True...ish Story - Lolita (non accreditato)
(2005) Isolation - La Fattoria del Terrore - Mary
(2005) Breakfast on Pluto - Charlie
(2005) 3-Minute 4-Play (Corto) - Donna
(2005) Stars (Corto) - Sophie (voce)
(2004) Love Is the Drug (Serie Tv) - Lisa Sheerin
(2004) Capital Letters - Taiwo
(2004) Doctors (Episodio Tv: "The Replacement") - Wanda Harrison

giovedì 2 marzo 2017

COMING SOON: Loving



Richard Loving ama Mildred, e quando lei rimane incinta, decidono di sposarsi. Come tutte le coppie fanno progetti, ma è difficile quando sono gli anni Cinquanta, vivi in una cittadina rurale degli Stati Uniti d'America e lei è afroamericana.
Nello Stato segregazionista della Virginia infatti il matrimonio interraziale è illegale, ma Richard e Mildred decidono di sposarsi a Washington, ma una volta tornati a casa vengono arrestati dalla polizia locale. 
I coniugi Loving sono costretti a dichiararsi colpevoli, con una pena di 25 anni di esilio da vivere in un altro stato. I Loving tentano di crescere i loro figli a Washington, ma Mildred vuole ritornare a casa, e grazie all'interesse della Lega per i diritti civili, i coniugi Loving tentano una causa che passerà alla storia con il nome Loving Vs. Virginia, per far invalidare le leggi anti-razziali in Virginia.
Jeff Nichols (Take Shelter, Mud Midnight Special) racconta la vera storia di Richard e Mildred Loving, rispettivamente intrepretati da Joel Edgerton (Black Mass) e Ruth Negga (Warcraft), che ha ricevuto la sua prima canditatura agli Oscar per questo ruolo.
Loving sarà nelle sale il 16 marzo.

mercoledì 1 marzo 2017

FILMOGRAFIA: Goldie Hawn






NOME: Goldie Hawn

DATA DI NASCITA: 21/11/1945
LUOGO DI NASCITA: Washington, District of Columbia, Usa
PROFESSIONE: Attrice





ATTRICE:

(2017) Vengo con... Mamma - Linda Middleton
(2013) Phineas and Ferb (TV Series) - Penny McGee
(2002) The banger sisters - Suzette
(2001) Amori in città... e tradimenti in campagna - Mona Miller
(1999) Sperduti a Manhattan - Nancy Clark
(1996) Tutti dicono I love you - Steffi Dandridge
(1996) Il club delle prime mogli - Elise "Lisey" Eliot Atchison
(1992) La morte ti fa bella - Helen Sharp
(1992) Moglie a sorpresa - Gwen
(1992) CrissCross - Criss
(1991) Doppio inganno - Adrienne Saunders
(1990) Due nel mirino - Marianne Graves
(1987) Una coppia alla deriva - Joanna Stayton/Annie Proffitt
(1986) Wildcats - Molly McGrath
(1984) Protocol - Sunny Davis
(1984) Tempo di swing - Kay Walsh
(1982) Amici come prima - Paula McCullen
(1980) Bastano tre per fare una coppia - Glenda Gardenia Parks
(1980) Soldato Giulia agli ordini - Soldato Judy Benjamin
(1979) Viaggio con Anita - Anita
(1978) Gioco sleale - Gloria Mundy
(1976) La volpe e la duchessa - Amanda Quaid
(1975) Shampoo - Jill
(1974) The Girl from Petrovka - Oktyabrina
(1974) The Sugarland Express - Lou Jean Poplin
(1972) Le farfalle sono libere - Jill
(1971) Il genio della rapina - Dawn Divine
(1970) M'è caduta una ragazza nel piatto - Marion
(1969) Fiore di cactus - Toni Simmons
(1968) Rowan & Martin's Laugh-In (serie tv) -
(1967) Good Morning, World (serie tv) - Sandy Kramer