lunedì 31 marzo 2014

LEZIONI DI CINEMA: Il piano sequenza in Nodo alla gola



Il piano sequenza è una tecnica cinematografica che consiste nella modulazione di una sequenza (un segmento narrativo autonomo) attraverso una sola inquadratura, generalmente piuttosto lunga.

Il cinema racconta una storia, e un evento si svolge in un giorno, a una determinata ora e in un determinato momento. Ma come si può riassumere la costante temporale in un film? Con un'unica sequenza esaustiva, senza "stacchi" di montaggio, che funge da collante tra la realtà e la finzione, rispettandone il tempo reale. Registi come Orson Welles ne fecero un marchio di fabbrica (meraviglioso è il piano sequenza della festa ne L'orgoglio degli Amberson, che, con una sola inquadratura, introduceva lo spettatore nei fasti della meraviglioso ballo organizzato dalla famiglia Amberson), ma negli anni d'oro di Hollywood nessuno aveva mai osato girare un intero film in piano sequenza (cosa che accadrà un cinquantennio dopo con Arca Russa di Alexander Sokurov). Finché Alfred Hitchcock non sbarcò in America.
Un esempio perfetto di film girato completamente in piano sequenza infatti è Nodo alla gola (1948), diretto dal grande Hitchcock. 
Il cineasta inglese realizza la messa in scena di un delitto sapientemente occultato durante un cocktail party. Per dare l'idea della tensione che doveva scaturire nello spettatore, e renderlo partecipe per tutta la durata del film, il geniale Hitch riuscì a girare il film in 11 bobine di dieci minuti ciascuna (ten minutes take), riuscendo a mascherare gli stacchi di montaggio (dovuto al cambio di bobina) riprendendo i suoi protagonisti di spalle con primissimi piani o le pareti, dando l'idea che sia stato girato una sola volta in un'unica scena. 
Lo scorrere del tempo avviene con il cambio di luce che si nota dalla grande finestra dell'attico dove Brandon e Philip tengono il party. Per rendere credibile questo effetto temporale, Hitchcok utilizzò un cyclorama, che riprodusse fedelmente in scala 1:35 lo skyline di New York.
Grazie al piano sequenza, lo spettatore sembra che sia un invitato a questo "cocktail con cadavere", dove la mdp sembra un uomo invisibile che gira per casa, diventando il silenzioso testimone di un omicidio commesso. E con essa, lo è anche lo spettatore.

Film correlati: 
Quarto Potere
Nodo alla gola
Arca Russa

CULT MOVIE: Per un pugno di dollari




Titolo: Per un pugno di dollari.
Italia, Spagna, Germania Ovest
Cast: Clint Eastwood, Gian Maria Volontè, Marianne Koch
Sceneggiatura: Sergio Leone, Duccio Tessari, Fernando Di Leo
Produzione: Unidis
Regia: Sergio Leone
Durata: 94'


Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la pistola è un uomo morto”. Questa è l’unica legge che vige nella spietata San Miguel, un paese al confine tra Messico e Stati Uniti. 
In questa cittadina deserta dimenticata da Dio, giunge il pistolero Joe (Clint Eastwood) che alloggia nella locanda di Silvanito e viene a sapere di una faida tra due famiglie. La prima fazione è composta dai fratelli Rojo, commercianti di alcool: Don Benito, Esteban e Ramon (Gian Maria Volontè). 
La seconda fazione è la famiglia Baxter, commercianti di armi. Joe decide di sfruttare la lotta tra le due famiglie patteggiando per entrambi e allo stesso tempo le mette l’una contro l’altra, che si attaccano in scontri cruenti. Il pistolero non è un uomo totalmente privo di scrupoli e decide di salvare la giovane Marisol (Marianne Koch) prigioniera di Ramon, permettendole di ricongiungersi con suo marito e il piccolo Jesus. Joe viene catturato e torturato dai fratelli Rojo, ma riesce a fuggire e a sfidare in un ultimo duello il perfido Ramon. 
Il film di Sergio Leone si ispira alla pellicola di Akira Kurosawa, Yojimbo, e lo riadatta in chiave western rivitalizzando il genere andato ormai in declino verso gli anni Sessanta. In un contesto quasi darwiniano dove sopravvive solo il più forte, la giustizia non esiste, beffata anche dal comportamento poco ortodosso dello sceriffo che dovrebbe mantenere l’ordine e invece mantiene solo i suoi traffici e i propri privilegi. 
La legge è solo un simbolo sbiadito nella landa desolata e silenziosa interrotta solo dal rumore degli spari e della dinamite che esplode. Il punto di forza del film sta proprio in questo stravolgimento dell’ordine dove vige solo caos, violenza e nessuna pietà per poi ritornare alla calma e ad una parvenza di normalità e redenzione. Joe e Ramon sono il dualismo del bene e del male: il pistolero di poche parole decide di percorrere una sorta di sfida negli inferi (il covo dei Rojo) per poi riemergere nel duello “purificatore”.
Il finale è diventato una scena di culto della storia del cinema: si consuma la tragedia finale in uno sfondo desertico e lirico sottolineato dalla meravigliosa musica di Ennio Morricone. Il paesaggio è uno dei protagonisti assoluti della pellicola, lo sfondo/palco dove il regista muove i fili dei suoi personaggi, trattandoli come dei burattini. 
Leone risparmia sui dialoghi (che trasudano senso dell’umorismo anche per stemperare la drammaticità delle situazioni) preferendo far parlare molto gli occhi dei suoi personaggi, in un gioco di sguardi e soggettive che fotografano ogni istante che sta per accadere. 
Lo sguardo è rivelatore: gli occhi luciferini di Gian Maria Volontè esprimono una malvagità compiaciuta fin dalla sua prima entrata in scena. Attraverso lo sguardo di ghiaccio di Clint Eastwood siamo resi partecipi delle nefandezze che accadono nella cittadina, lasciandoci testimoni impotenti di violenza e distruzione.  
Per un pugno di dollari è una pietra miliare del cinema che fa amare il western anche ai poco patiti del genere, facendo di Sergio Leone il genio che ha saputo riscattare il tanto bistrattato genere.

Voto: 8

giovedì 27 marzo 2014

IL CIRCOLO DI CUCITO: Gwyneth Paltrow e Chris Martin divorziano




«Siamo giunti alla conclusione che nonostante ci amiamo molto, resteremo separati. Siamo e saremo sempre una famiglia e, in molti modi, siamo più vicini ora di quanto non lo siamo mai stati».
Con questa dichiarazione in odore di ossimoro (o semplice contraddizione. O semplice giustificazione perché alla fine sono fatti loro) sul sito Goop.com, Gwyneth Paltrow ha posto fine al suo matrimonio con il frontman dei Cold Play, Chris Martin.
Avevano da poco festeggiato il decimo anniversario di matrimonio, e sembravano affiatati e felici alla cerimonia dei Golden Globes, dove Martin era in lizza per la miglior canzone (Globo d'oro scippato da Bono degli U2,  il cui matrimonio va a gonfie vele da un ventennio). Ma poi, un post dal titolo sibillino "separazione consapevole". E da lì a poco l'annuncio della separazione.
I motivi possono essere molti, ma probabilmente è una questione di pura "geografia": la star di Sliding Doors non ha mai fatto mistero di preferire la California all'uggiosa Londra per stare più vicina alla madre (l'attrice Blythe Danner), e forse anche per riprendere la sua carriera,che, a parte la trilogia di Iron Man è in stand by per dedicarsi alla famiglia. Stesso discorso per Martin, 100% british e insofferente al sole californiano. Il cantante ha provato a vivere in America, ma non era felice. Così, ognuno a casa propria.
La (ex) coppia ha due figli Apple di 9 anni e Moses di 7.
E la lista di coppie scoppiate si allunga in quel di Hollywood.

mercoledì 26 marzo 2014

FILMOGRAFIA: Christopher Nolan




NOME:
Christopher Nolan.
DATA DI NASCITA: 30/07/1970
LUOGO DI NASCITA: Londra, Gran Bretagna.
PROFESSIONE: Regista, Sceneggiatore, Produttore.


REGISTA:

(2014) Interstellar
(2012) The Dark Kignt Rises
(2010) Inception
(2008) The Dark Knight - Il cavaliere oscuro
(2006) The restige
(2005) Batman Begins
(2002) Insomnia
(2000) Memento
(1998) Following
(1997) Doodlebug (cortometraggio)

SCENEGGIATORE:
(2006) The prestige
(2005) Batman Begins
(2000) Memento
(1998) Following
(1997) Doodlebug

PRODUTTORE:
(2006) The Prestige - Produttore
(1998) Following - Produttore

SOUNDTRACK: Bridget Jones-The Edge of Reason






La colonna sonora del secondo capitolo incentrate sulle avventure/disavventure di Bridget Jones, è incentrata sull'amore è molto variegata e sbarazzina come la nostra single in cerca di amore.
Si inizia con la cover di Sade, Your Love is king cantata da Will Young, in una versione che non si discosta molto dall'originale. La soundtrack spazia vari generi musicali, dalla dance pop al rock, anche se principalmente presenta tracce r'n'b e soul come il classico evergreen Lovin' you di Minnie Riperton, un solido pezzo soul come Stop di Jamelia, e classici come Nobody does better di Carly Simon.
Le atmosfere romantiche vengono accantonate per un momento per dare spazio alla hit Can't Get You Out Of My Mind di Kylie Minogue, canzone dance-pop orecchiabile e di facile presa.
La soundtrack continua con il soul di Joss Stone con Super Duper Love, canzone ricca di brio, perfetta per incarnare le caratteristiche di miss Jones.
Altro pezzo rithmin and blues con la cover di Elton John Sorry Seems To Be The Hardest World cantata dalla grintosa Mary J. Blige. Si procede con toni soft grazie alla ballad Miserunderstood della pop star inglese Robbie Williams, per poi passare al nu jazz con Jamie Cullum e la "sua" Everlasting Love.
Il ritmo cresce, esplodendo grazie alla hit Crazy In Love di Beyonce feat. Jay Z, bel pezzo dance-pop ricco di energia, per poi raffreddare i toni con l'intimista e a tratti toccante I Eat Dinner di Rufus Wainwright insieme a Dido.
Si prosegue il tono soft e "sognante" con il pop rock made in England con i 10cc e la loro Not in Love, per poi cambiare ritmo con I Believe in a Thing Called Love dei Darkness, gruppo glam che ricalca lo stile (in realtà inimitabile) del mitico gruppo dei Queen.
Le atmosfere rock contaminate con un pizzico di psichedelia sono mantenute con Loaded dei Primal Scream, che sembra riprendere i toni di Simpathy for the Devil dei Rolling Stones.
Ancora un tocco di soul grazie ad Amy Winehouse, con la cover di Will You Still Love Me Tomorrow?
Chiude la soundtrack Bridget Jones Theme di Harry Gregson-Wiliams.
Bridget Jones-The Edge of Reason original soundtrack nel complesso è gradevole ideale per una serata in compagnia del proprio partner e soprattutto, decisamente superiore alla pellicola.

La tracklist:

1. Will Young - Your love is king
2. Jamelia - Stop
3. Kylie Minogue - Can't get out of my head
4. Joss Stone - Super duper love (are you diggin' on me?)
5. Mary J. Blige - Sorry seems to be the hardest word
6. Robbie Williams - Misunderstood
7. Jamie Cullum - Everlasting love
8. Barry White - You're the first, the last, my everything
9. Beyonce' feat. Jay-Z - Crazy in love
10. Rufus Wainwright feat. Dido - I eat dinner (When the hunger's gone)
11. 10cc - I'm not in love
12. Carly Simon - Nobody does it better
13. Primal Scream - Loaded
14. Amy Winehouse - Will you still love me tomorrow?
15. Minnie Riperton - Lovin' you
16. Leona Naess - Calling
17. Sting feat. Annie Lennox We'll be together
18. Harry Gregson Williams - Bridget's theme


martedì 25 marzo 2014

MONOGRAFIA: Anouk Aimée



Anouk Aimée è il nome d'arte di Françoise Sorya Dreyfus, figlia dell'attrice Geneviève Sorya e di Henry Dreyfus, nasce a Parigi il 27 aprile del 1932. Dopo gli studi di danza e recitazione, inizia la carriera giovanissima, a soli 15 anni nel 1947 nella pellicola
La fleur de l'âge.
Nonostate un esordio così giovane, la carriera di Aimée però parte in tono minore, seppur con titoli rilevanti come Gli amanti di Verona (1949), rivisitazione di Romeo e Giulietta di William Shakespeare e La tenda scarlatta (1953) di Alexandre Astruc.
La svolta avviene durante gli anni Sessanta, anni significativi per la bella attrice francese, che comincia a interpretare ruoli di forte rilevanza come la ballerina di cabaret in Lola, donna di vita (1960), per poi cominciare a brillare di luce propria in Italia, grazie a Federico Fellini che la volle in La dolce Vita (1960) e in 8 e 1/2, nel ruolo di Luisa, la moglie di Guido/Marcello Mastroianni.
Da quel momento la notorietà è in aumento, interpretando la pellicola Il terrorista (1963) di Gianfranco De Bosio al fianco di Gian Maria Volontè, Liolà (1963) di Alessandro Blasetti, diventando molto famosa nel bel paese.
La consacrazione avviene con il melò francese di Claude Lelouche Un uomo, una donna (1966), che le fece ottenere la candidatura agli Academy Awards come miglior attrice protagonista, ruolo che poi riprenderà nel seguito Un uomo, una donna oggi (1986).
Dopo l'exploit ottenuto con il film di Lelouche, Aimée gira L'amante perduta, e negli Stati Uniti Rapporto a quattro (1969) di George Cuckor.
Negli anni Settanta torna sotto la direzione di Claude Lelouche con Chissà se lo farei ancora (1976), mentre negli anni Ottanta torna, dopo una lunga assenza, in Italia per girare Salto nel vuoto (1980) di Marco Bellocchio e La tragedia di un uomo ridicolo (1981) di Bernardo Bertolucci.
Nonostante sia una star, decide di rimanere lontana dallo star-system, scegliendo sempre di lavorare con autori del calibro di Robert Altman in Pret-à-porter, dove interpreta una stilista che fa sfilare le modelle nude e si consolida il rapporto con Lelouche, che torna a dirigerla in Uomini e donne istruzioni per l'uso (1996).
Nel 2003 le viene conferito il Leone d'Argento alla carriera, e intanto continua a lavorare, e tra gli ultimi lavori figura Tous les soleis (2011) a fianco di Stefano Accorsi e Clotilde Coreau, dimostrando di avere ancora fascino, rimasto intatto nel tempo.



lunedì 24 marzo 2014

ORIGINALE Vs. REMAKE: Funny Games US

Dopo una lunga pausa ritorna la rubrica Originale Vs. remake, in collaborazione con Ho voglia di cinema. Questa volta abbiamo scelto Funny Games del regista austriaco Michael Haneke, che ha diretto il remake shot-for-shot della sua omonima pellicola. Ho voglia di cinema ha recensito l'originale, ecco il link:
Ho voglia di cinema




Titolo: Funny Games US
Id., USA 2007
Cast: Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt, Brady Corbet.
Sceneggiatura: Michael Haneke
Regia: Michael Haneke
Durata: 104'



Anne (Naomi Watts), George (Tim Roth) e il loro figlioletto Georgie (Devon Gerehart) sono in procinto di raggiungere la casa al lago per le vacanze. Arrivati a destinazione conoscono Peter (Michael Pitt) e Pete (Brady Corbet), due giovani dai modi affabili e gentili. Con un pretesto entrano in casa e iniziano un gioco al massacro che trasforma la loro vacanza in un inferno.

Ispiratosi al caso di Leopold e Lieb, due giovani borghesi che si macchiarono di un delitto solo per il gusto di uccidere, nel 1997 l’austriaco Michael Haneke diresse un film controverso, Funny Games. Nel 2007 decise di girare il remake shot-for-shot di questo film disturbante e angosciante. 

Per quale motivo il cineasta austriaco ha fatto un'operazione del genere? Perché il film sul gioco "divertente" compiuto da due “bravi” ragazzi non aveva raggiunto a sufficienza il pubblico americano, e invece Haneke voleva far arrivare il suo messaggio a quel pubblico vorace di film violenti. 
E lo fa con un film “fotocopia”, ovvero ricreando perfettamente ogni singola scena esattamente come il film originale, cambiando (per ovvi motivi) solo il cast e girandolo in lingua inglese. 

Haneke crea un perfetto horror, ma con una differenza: i mostri non sono immaginari, ma possono essere il vicino della porta accanto. Come fece Alfred Hitchcock che con il suo Alfred Hitchcock presenta riuscì (con orgoglio) a far “entrare” l’omicidio nelle pareti domestiche, ovvero attraverso la televisione, divenuto negli anni Cinquanta il mezzo che accompagnava le tranquille serate in famiglia; Haneke compie più o meno la stessa operazione trasportando la violenza in un contesto famigliare, violando il nucleo in cui ci si sente più protetti.

E come Brandon e Rupert, i protagonisti di Nodo alla gola diretto sempre dal cineasta inglese, dove un omicidio si consuma in un appartamento, Haneke firma la sua tragedia in una casa al lago, luogo di relax che si trasforma in un inferno per la famiglia, per mano di una coppia di ragazzi di buona famiglia che decidono di perpetrare il male solo per il perverso gusto di farlo.

Se tra Brandon e Rupert il più forte è Brandon, qui è Paul che è l’elemento di forza che riesce a soggiogare non solo Anne e la sua famiglia, ma anche il suo stesso “collega”. Così come è Anne e non George ad essere l'elemento più forte della coppia. E infatti Haneke “mette fuori uso” George con un colpo al ginocchio che lo rende non solo impossibilitato a muoversi, ma anche ad agire e proteggere la propria famiglia, finendo inevitabilmente per essere l’elemento più debole del “gioco”, sminuendo la figura maschile e sovvertendo i ruoli all'interno della coppia. 
Il  gioco di Pete e Paul non avviene subito, ma prende forma piano piano: il regista infatti mescola le carte fin dai titoli di testa, presentando la tranquilla famiglia sorridente, che ascolta musica classica durante il viaggio. 

Però introduce fin da subito un elemento di disturbo, impercettibile per chi non conosce la trama, ma angosciante per chi ha visto il film originale: una musica hardcore violenta, in netta contrapposizione con gli sguardi sereni dei personaggi che non vedono l’ora di godersi la loro vacanza.
E la casa al lago splendida, in mezzo al verde, oasi di pace e tranquillità, diventa, nelle mani di Haneke un luogo isolato dove è quasi impossibile fuggire dalle atrocità messe in atto da Pete e Paul (paradossalmente il grande cancello che serve per proteggersi dagli intrusi, finisce per essere un ostacolo per la salvezza).
Pete e Paul sono due giovani belli, educati e gentili, i vicini di casa che vorresti conoscere. Ne siamo proprio sicuri?

George conosce Paul, un ragazzo dai modi gentili e affabili. Ma il cane quando lo vede abbaia senza motivo, è agitato. Perché ha capito che c’è qualcosa che non va, come se avesse avvertito nel ragazzo un'aura di male che lo avvolge e cerca di avvisare del pericolo che incombe su George e la sua famiglia. E ha ragione.

Ad aprire le danze al gioco al massacro però è Pete, giovane timido che chiede le uova ad Anne. Pete però è (apparentemente) sbadato, fa cadere le uova e urta il cellulare di Anne che finisce nel lavandino pieno di acqua. Pete si scusa, e chiede altre uova, nel frattempo entra in casa anche Paul, mentre Pete diventa sempre più insistente e molesto, facendo spazientire Anne, che chiede ai ragazzi di andarsene. George cerca di risolvere l’alterco in modo civile, ma finisce per schiaffeggiare Paul. Ecco la molla che fa scattare il gioco.

Haneke mostra come il gene del male si insinui nella quotidianità con una banalità disarmante. George è un uomo mite, ma l’aggressività ha il sopravvento e schiaffeggia Paul. 
Paul getta la maschera e ferisce George, dandogli la prima "lezione".
Ma Paul e Pete non si limitano ad aggredirli fisicamente, ma instaurano un sottile e perverso gioco di puro sadismo, intrappolando la famiglia in una escalation sempre più crudele e devastante. Per loro e anche per noi che assistiamo alla visione, finendo per esserne soggiogati, quasi anestetizzati dal fluire malato degli eventi. Perché la violenza ormai fa parte della nostra quotidianità. E anche se le scene più cruente sono fuori scena (perché al regista non interessa il gore e l'effetto splatter, il suo obiettivo è un altro) infastidiscono comunque, anche se poi si finisce per esserne sopraffatti. E assuefatti. 
Ed ecco che Haneke fa centro: lo spettatore sa fin dal principio che la famiglia è in costante pericolo, ma non può fare a meno di assister in modo passivo, perché si tratta pur sempre di finzione.
E per rimarcare questo aspetto, Hanek infrange le regole cinematografiche facendo guardare Paul direttamente in macchina, rivolgendosi al pubblico, rendendolo complice di cotanta virulenza. E Haneke ci tiene a sottolineare questo aspetto nella scena “rewind” con il telecomando della TV che “riavvolge” gli eventi. Esattamente come la VHS di un film horror.
E le dinamiche di un film dell’orrore ci sono soprattutto quando Georgie riesce a scappare, ma Paul lo insegue nella casa dei vicino, mentre "il lupo cattivo" gli da la caccia (un po' come il Jack Torrance di Shining, che insegue il piccolo Danny). Non pago, Haneke con altrettanta sottile crudeltà lascia delle vie di fuga, lascia un attimo di respiro alle sue vittime (e anche allo spettatore), ma si sa che non c’è nessuna via di scampo. 
Haneke crea questo scenario dell’orrore dove il set è il salotto, dove a distanza assistiamo al loro dolore, alla loro paura e disperazione, diventando dei testimoni oculari impotenti, perché non possiamo salvarli, ma possiamo solo assistere alla loro lunga agonia. 
Con Funny Games  Michael Haneke crea un simposio cinematografico sulla banalità del male, che proseguirà con Il nastro bianco: il male è come un virus che giace silente nell'anima, distruggendo ogni certezza e ogni protezione. Che la crudeltà sia una parte del DNA umano che giace silente a nostra insaputa? Haneke ha soltanto lanciato una provocazione, spetta a noi trovare la risposta.



Voto: 7,5

domenica 23 marzo 2014

MOVIE ON THE ROAD: Ellis Island

Ellis Island

New York è il viaggio dei sogni per molti, e per Hollywood è la meta preferita per i suoi set cinematografici. 
Ma c'è un isolotto alla foce del fiume Hudson, nella baia di New York che si chiama Ellis Island: l'isola dei sogni per gli immigrati (molti di essi furono italiani) che sognavano una vita migliore proprio a New York, diventando il principale punto di ingresso per immigrare negli Stati Uniti d'America. 
Ellis Island Immigration Museum
Famoso è l'Ellis Island Immigration Museum, che offre una precisa documentazione storica, un pezzo di storia di una generazione che ha deciso di cambiare il proprio destino in cerca di una vita migliore
Ellis Island anche se non esercita lo stesso fascino della "cugina glamour", ovvero New York, è stata
protagonista di importanti pellicole che rappresentavano uno squarcio di vita degli immigrati che sognavano una vita migliore negli USA.


L'emigrante
Statua della Libertà
Uno dei primi film che si è occupato della tematica dell'immigrazione in America è Charlie Chaplin con L'emigrante (1917). Chaplin (che fu inglese, non americano) è il progatonista di uno Charlot  disilluso che sogna
vita migliore, e spera di ottenerla a New York, dove la Statua della libertà rappresenta il simbolo di una seconda chance. I suoi sogni si infrangono quando viene accolto in modo ostile, finendo per vivere una vita problematica non molto diversa dalla quale era sfuggito.

Uno sguardo dal ponte
I sogni di una vita diversa si infrangono quando ci si scontra con la dura realtà americana: è quello che accade all'emigrato italiano Eddie Carbone (Raf Vallone), nel film Uno sguardo dal ponte (1962) di Sidney Lumet, tratto dalla pièce teatrale di Arthur Miller. Carbone vive un senso di inadeguatezza e alienazione che lo porterà a dubitare di tutti, arrivando a compiere un tragico gesto.


Vito Corleone a Ellis Island

Francis Ford Coppola rievoca l'immigrazione attraverso la figura di Don Vito Corleone (interpretato da Robert De Niro) ne Il padrino - Parte II, in cui viene rappresentato il passato di Don Vito, immigrato con la famiglia da bambino eviene ricoverato in quarantena a Ellis Island perché affetto da Vaiolo. Da solo in isolamento, il giovane Vito canticchia una canzone in siciliano, per ricordare le sue radici che verranno dimenticate una volta creato il suo impero in America.

A-a-a-merica! E' quello che urla l'emigrante che vede per primo la statua della Libertà dal transatlantico
Virginian ne La leggenda del pianista sull'oceano (1998) di Giuseppe Tornatore. I sogni e le speranze di un gruppo di persone che vogliono cambiare la propria vita, e il Virginian è il mezzo per realizzarlo. Non sappiamo cosa accadrà a loro, anche perché il protagonista è Novecento, un orfano nato, cresciuto e vissuto sul Virginian, dotato di uno straordinario talento per il pianoforte

Non è un viaggio per ricominciare la propria vita da zero, ma è il desiderio di rivedere  una ragazza americana e soprattutto la voglia di sfuggire al servizio di leva : questa è l'avventura americana di Tanino, bizzarro protagonista di My Name is Tanino (2002) di Paolo Virzì. Tanino dopo varie disavventure per incontrare di nuovo la sua amata Sally, arriva a New York, dove sogna di diventare un regista.


Nuovomondo (2006) di  Emanuele Crialese è un preciso affresco del viaggio della speranza degli emigrati siciliani. Una volta sbarcati dopo un viaggio lungo e faticoso,  venivano "selezionati" da una commissione che decideva la loro idoneità o meno per vivere in America, attraverso 40 estenuanti giorni (come quelle sopportate dal giovane Vito Corleone) fatti di visite mediche e test di intelligenza.


Oggi New York ha una solida comunità italoamericana, ed Ellis Island è uno splendido isolotto che con il suo patrimonio storico, non ha nulla da invidiare alla sua "cugina glamour".
Se volete fare un viaggio a New York, visitate il sito I viaggi di Bedin Iris 
http://www.irisviaggi.eu/ 


venerdì 21 marzo 2014

LIEBSTER AWARD


E il red carpet per Director's cult non è ancora finito!  Dopo aver ricevuto il Boomstick Awards (Leo si sta ancora mangiando le mani), Ho voglia di cinema mi ha premiata con un altro prestigioso riconoscimento: Liebster Awards. E non ho nemmeno dovuto sborsare le mie classiche mazzette per influenzare la decisione!
Yuppi-yay-yeah!!! Yuppy duuuuuuuuu!!!  Oooooh Yeaaaaaaaaaah!!!



Le regole del premio sono le seguenti:

1 - Rispondere alle domande di chi ci ha nominato;
2 - Nominare altri 3 blogger con meno di 200 follower;
3 - Proporre ai candidati 10 nuove domande;
4 - Andare nei singoli blog e comunicare la nomina.

I vincitori del Liester Award sono:
Scrivenny 2.0
Cinquecento film insieme
Montecristo

Le mie domande:

1) Qual è il film che ti ha fatto innamorare del cinema?
2) La rivista cinematografica/web che leggi di solito?
3) Se potessi riscrivere il finale di un libro, quale sceglieresti?
4) Se fossi un personaggio cinematografico, quale vorresti essere?
5) Pensi che la nuova era digitale abbia danneggiato la fruizione di un film in sala?
6) Quando un film viene tratto da un libro, le tue aspettative vengono soddisfatte?
7) Pensi che il gusto del pubblico sia cambiato nel corso degli anni?
8) Se potessi cambiare un evento storico, cosa faresti?
9) Quali sono per te i film del 21esimo secolo da conservare per le nuove generazioni?
10) Se avessi la lampada di Aladino, quali sono i tuoi 3 desideri che vorresti esaudire?


Ecco le mie risposte alle domande di Ho voglia di cinema:

1) Che libro hai sul comodino?
Ammetto che al momento sul mio comodino non giace nessun libro, ma il mese scorso il mio comò ha tenuto One Day di David Nicholls.

2) Qual è il film più vecchio che tu abbia mai visto?
Escludendo i film visionati al corso di storia e critica del cinema all'università, il film più vecchio è La signora delle camelie (1915) interpretato dalla diva del cinema muto italiano Francesca Bertini

3) Ti sei mai innamorato/a del personaggio di un romanzo?
Non mi è mai capitato, ma devo dire che Jay Gatsby esercita un fascino notevole.

4) Hai mai incontrato dal vivo il tuo attore/attrice/regista preferito? 
Purtoppo no, però è sempre meglio ammirarli nei loro film, in questo modo il loro glamour rimane intatto!

5) Quale film horror ti ha spaventato di più in tutta la tua vita?
It. In realtà non l'ho mai visto,  ma solo vedere l'immagine di quel clown malefico mi spaventa ancora!

6) Quale film avresti voluto dirigere?
Eh, la scelta è ardua... Mi sarebbe piaciuto dirigere, non uno, Citizen Kane di Orson Welles: un genio bistrattato, capace di sperimentare e osare, che ha creato un capolavoro.

7) Quale romanzo avresti voluto scrivere?
A ciascuno il suo di Leonardo Sciascia, il mio libro preferito.

8) Qual è il primo film che hai visto al cinema di cui hai memoria?
Annie. Se non erro è di John Huston. E' stato il primo film che ho visto al cinema.

9) Se potessi usare una macchina del tempo, in quale epoca storica vorresti vivere?
Nei ruggenti anni Venti, un po' come il protagonista di Midnight in Paris. Un caffé con Dalì, un bicchiere di vino con Picasso, a parlare di letteratura con Francis Scott Fitzgerald. Tanta cultura e passione, decisamente un'epoca migliore della nostra!

10) A proposito di catene... Hai mai fatto quelle via posta?
No, fanno male alla salute, ahahahahahah!

giovedì 20 marzo 2014

THIS IS MY BOOMSTICK - Boomstick Awards 2014


Yatta!!! Evvai!!!! Aleeeeee-òòòòòòò!!!Yuppy-ya-yeeeah!!! Ma vieeeeniiii!!!
Il tanto bramato Boomstick Award è stato assegnato anche a me! 
Ho vinto il premio più importante del settore, al top, un po' come quel famoso premio che Leonardo Di Caprio attende da una vita, ma che puntualmente gli viene scippato all'ultimo (eh, ma lui ha fatto Titanic, ahahaaha). 
Grazie a Scrivenny 2.0 per avermi premiata!!!

Ma cos'è il Boomstick Awards?
Il Boomstick è un premio per soli vincenti, per di più orgogliosi di esserlo. Tutto qua.
Come si assegna il Boomstick? Non si assegna per meriti. I meriti non c’entrano, in queste storie. (cit.).
Si assegna per pretesti. O scuse, se preferite. In ciò essendo identico a tutti quei desolanti premi ufficiali che s’illudono di valere qualcosa.
Il Boomstick Award possiede, quindi, il valore che voi attribuite a esso. Nulla di più, nulla di meno.

Queste sono le regole: 

1 - i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore;
2 – i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione;
3 – i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto;
4 – è vietato riscrivere le regole. Dovete limitarvi a copiarle, così come l'ideatore del premio, ovvero Hell, le ha concepite.



I vincitori potranno a loro volta assegnare il premio ad altri 7 blogger, ma non vantarsi di essere gli inventori del banner e del premio, perché lo ha creato Hell e anche se non lo conosco ho spiegato all'inizio, rispect!
L'assegnazione del premio deve rispettare quelle 4 regole scritte sopra. Qualora ciò non avvenisse, il Boomstick Award sarà annullato d'ufficio ed in sostituzione verrà assegnato questo qui:


E questi sono i (miei) magnifici 7:

Ho voglia di cinema: Colei che mi ha fatto conoscere dei fantastici cinebloggers, nuovi "amicici" virtuali. E inoltre è la mia collaboratrice di fiducia per la nostra rubrica Originale vs. Remake!

Life Function Terminated: Poco ma buono. Ovvero, in poche righe riesce a condensare una critica pungente. E non fa mistero di amare la visione della f...a da vicino.

Viaggiando meno: La talent scout dei film più scagati del secolo, facendoci scoprire delle chicche e dei gioiellini impensabili. Il tutto condito con buon sense of humor, specialmente nei commenti.


Cooking movies: Un blog che fa venire l'acquolina in bocca con deliziose ricette nate dalla visione di un film. E la sua intraprendenza va premiata con le sue CineCene!

Criticissimamente: Seguire il suo blog è come prendere un the con qualcuno di interessante, dove si parla di cinema con passione, sentimento accomunati da tutti i cinebloggers.

Pensieri Cannibali: Lo premio per farlo sentire in colpa, perché mi ha snobbato alla grande. Sentiti colpevole tiè! Ahahah, scherzi a parte, è Mr 360° popculture. Mica cavoli a merenda.

WitheRussian: Se ho premiato Cannibal Kid, devo premiare anche lui, sennò mi prende a bottigliate! Scherzo, ma il suo saloon ha risvegliato la mia anima pane e salame, facendomi sentire meno radical chic. Dei poveri. Ahahah!

Solaris: Emerge una certa sensibilità e amore per il cinema, facendo del film di Tarkovsky il suo manifesto. E poi è da poco entrato nella grande "famigghia" di cinebloggers!

Per il resto, io premierei tutti e vi lovvo tutti, ma il Bitch Please Awards non lo voglio, datelo a Leo,ahahahaah!

I love U guys!

mercoledì 19 marzo 2014

FILMOGRAFIA: Eva Green




NOME:
Eva Green
DATA DI NASCITA: 05/07/1980
LUOGO DI NASCITA: Parigi, Francia
PROFESSIONE: Attrice

ATTRICE:

(2014) 300: L'alba di un impero - Artemisia
(2012) Dark Shadows - Angelique
(2011) Womb - Rebecca
(2008) Franklyn - Emilia
(2007) La bussola d'oro - Serafina Pekkala
(2006) Casinò Royale - Vesper Lynd
(2005) Le Crociate - Sibylla
(2004) Arsenio Lupin - Clarisse de Dreux-Soubise
(2003) The Dreamers - Isabelle

martedì 18 marzo 2014

RECENSIONE: Somewhere


*Il fascino indiscreto di una recensione retrò*




Titolo:
Somewhere
Cast: Stephen Dorff, Elle Fanning, Chris Pontius, Laura Chiatti.
USA, 2010
GiustificaSceneggiatura: Sofia Coppola
Produzione: American Zoetrope
Regia: Sofia Coppola
Durata: 98’

Johnny Marco è una star di origine italiana che vive nel sontuoso hotel Chateau Marmont.
Le sue giornate fuori dal set sono scandite da lunghe corse con la sua Ferrari, feste a base di alcol, belle donne e show di lap dance.
La sua esistenza vinta dall’apatia viene scossa dall’arrivo di sua figlia Cleo (Elle Fanning), undicenne appassionata di pattinaggio sul ghiaccio. L’inaspettata permanenza di Cleo costringe Johnny a fare conti con l’artificiosità di ciò che lo circonda.
Il cinema di Sofia Coppola è costituito da luoghi in cui i suoi personaggi conducono una vita soffocata (Il giardino delle vergini suicide), un posto come punto di incontro tra due persone che vivono un senso di smarrimento (Lost in Translation) o come un piccolo universo edulcorato e ben protetto dalla realtà (Marie Antoinette).
Somewhere sembra essere la continuazione di queste sensazioni/posti dell’anima: il personaggio di Johnny vive in una sorta di limbo, un esilio dorato dove tutto è anestetizzato e dettato dalla noia.
L’arrivo della dolce Cleo è come una sorta di uragano che spazza via l’immobilità esistenziale del padre. Come gli uragani, dopo lo scompiglio torna la quiete, ma nell’animo di Johnny vi è la consapevolezza dell’inutilità di ciò che lo circonda e la mancanza di uno scopo.
Sofia Coppola tende a “impoverire”, gioca di sottrazioni per mostrare questo stato d’animo. Però c'è qualcosa che non va, perché il problema di fondo è come attua queste privazioni.
I cliché infatti non mancano: belle macchine, donne provocanti, amanti di una notte, feste, sbronze e piccoli incidenti, come se volesse sfatare a tutti i costi il glamour della star hollywoodiana, come se ci dicesse che in fin dei conti fare l’attore non è così cool, ma una roba “pallosa”.
La parte italiana ambientata alla premiazione dei Telegatti poi è infarcita di ulteriori luoghi comuni, mostrandone soltanto il lato trash; tanto da far fuggire i due protagonisti yankee (ma è così risaputo che la televisione made in italy sia così scadente, al punto da suscitare pena anche agli americani?). Evidentemente la giovane regista newyorchese non ha avuto un gran ricordo del belpaese. Come una sorta di mockumentary (fiction spacciata per un reality show/falso documentario), Sofia Coppola mostra minuziosamente la giornata della star italo-americana fatta di promozione, conferenze stampa, massaggi, lunghe sessioni di trucco, dove il nostro eroe si muove spaesato, quasi obbligato ad adempiere questi doveri così impegnativi.
Il tedio poi è la costante che pervade in tutta la pellicola a cominciare dalla prima sequenza: con un totale si mostra un luogo deserto percorso da una ferrari nera. La macchina si avvicina lentamente e in maniera impercettibile con uno zoom, con il bolide che percorre lo stesso identico percorso.
La voluta frammentarietà degli eventi porta ad un effetto videoclip, acuito dalla durata della canzone studiata appositamente da Coppola, che si dimostra ancora una volta una buona conoscenza della musica pop e rock. Peccato però che la colonna sonora curata dal gruppo francese Phoenix non venga utilizzata al meglio ma solo a sprazzi, preferendo puntare su una tracklist che su una colonna sonora vera e propria.
Il fatto che Johnny Marco sia così annoiato e vuoto,  e affronti la sua vita in maniera meccanica come se fosse un lobotomizzato, provoca disinteresse nello spettatore, che rischia di annoiarsi quanto l'attore bello e (poco) dannato.
Il cerchio si chiude e Johnny ripercorre la strada battuta inizialmente, vagando verso chissà quale meta, ma alla fine non importa dove va e soprattutto cosa farà in futuro. Il fatto di aver volutamente svuotare lo spessore del personaggio comporta proprio tale disinteresse. Perché la problematica di fondo è: se Mr. Marco per primo dimostra disinteresse, perché mai dovremmo interessarci di lui e di quello che fa? Per fortuna l'interesse arriva con la giovane Cloe interpretata da una brava  Elle Fanning, che porta un po' di vita al film,  soprattutto con la scena in piscina, che è semplicemente deliziosa.
L’elemento positivo del film consiste nel paradosso di non volere piantare la visione a metà, forse perché ci si aspetta che avvenga qualcosa e la semplicità della storia tende a non appesantire la pellicola.
Sofia Coppola comunque "tiene in piedi la baracca" con mestiere ed è un'ottima direttrice di attori: Elle Fanning è brava e si scrolla di dosso l’etichetta di “sorella di” (Dakota Fanning, ndr.), mentre è interessante vedere un bravo Stephen Dorff in un ruolo inusuale.
Scomodare Michelangelo Antonioni è eccessivo (e fuorviante): Somewhere è un puro elogio della vacuità.

Voto: 5

A.M.

sabato 15 marzo 2014

DAVID CRONENBERG DAY: Inseparabili

La FlyBloggers oggi celebra il compleanno di David Cronenberg, il grande cineasta canadese che scava nell'inquietudine umana con le mostruosità fisiche e psicologiche che l'uomo possiede. Ha firmato capolavori che definirli horror è banale: Videodrome (1982), La mosca (1986), M Butterfly (1993), ExistenZ (1999), Spider (2002) fino al recente Cosmopolis (2012). Per l'occasione Director's cult tira fuori un suo gioiellino di fine anni Ottanta, ovvero Inseparabili (1988) con il "doppio" Jeremy Irons.


Buon DCD!

Attenzione! Al fine dell'analisi cinematografica, la recensione potrebbe contenere degli spoilers.







Titolo: Inseparabili
Titolo originale: Dead Ringers
Canada/USA, 1988
Cast: Jeremy Irons, Genevieve Bujold, Heidi Von Pallenski.
Sceneggiatura: David Cronenberg, Norman Snider
Durata: 109'

I favolosi fratelli Mantle (Jeremy Irons) sono due ginecologi di successo, specializzati nella cura dell'infertilità femminile.
Beverly ed Elliot sono due gemelli omozigoti che condividono tutto nella vita, dalla professione, alla casa, fino alle relazioni amorose. Ma il loro legame si spezza quando Beverly si innamora di Claire Niveau (Genevieve Bujold) avvenente attrice.
David Cronenberg prende spunto da un fatto di cronaca inerente alla tragica fine dei fratelli Marcus, entrambi medici di successo trovati morti nel loro appartamento di New York nel 1975.
Dai fratelli Marcus Cronenberg modella i gemelli Mantle, i favolosi luminari della ginecologia, già dei geni della ricerca ai tempi dell'università.
Beverly ed Elliot vivono in simbiosi fin da piccoli, o meglio fin dal ventre materno, condividendo la passione per la scienza e per quel corpo femminile che ha generato in una volta sola due esseri umani uguali fisicamente, ma differenti caratterialmente. Elliot è infatti quello st***o, Beverly è quello dolce. 
Come lo Ying e lo Yang, Beverly ed Elliot sono due facce della stessa medaglia: Beverly è la parte emotiva che Elliot non ha, la parte più femminile che però rifiuta ferocemente (come nella scena in cui Claire gli chiede come mai ha un nome da donna-anche se può essere maschile-e si chiede se sua madre desiderasse avere una bambina, scatenando l'ira di Bev), mentre Elliot ha avuto più relazioni con donne diverse, ma  è totalmente incapace di instaurare un rapporto affettivo con una donna.
Elliot sembra avere un forte ascendente sul fratello, ma è in realtà chi tira le fila del rapporto è proprio il dolce "Bev", così fragile e sensibile. Perché "Elli" pur in apparenza più scaltro con le donne, più a suo agio nella vita mondana, e capace di raccogliere i fondi per la loro ricerca,  è succube di Beverly. 
Come i fratelli siamesi Chang e Hang, uniti dal petto, ma divisi dal carattere, Bev ed Elli sono uniti in modo invisibile l'uno dall'altro. Ma questa unione, questa parte immaginaria del corpo sta per essere lacerata. Da Claire Niveau, l'elemento disturbante della loro (disturbata) "relazione".
Claire l'attrice che desidera la maternità, desiderio negato a causa della mutamento del suo corpo, ovvero una cervice triforcuta, è prima un mero capriccio sessuale di Elliot, ma poi diventa l'oggetto amoroso di Beverly, così attratto da questa donna "internamente mostruosa".  
Claire è "mostruosa" fisicamente come sono psicologicamente "mostruosi" i gemelli Mantle, una mente divisa in due corpi. Elliot e Beverly infatti cercano di condividere ogni cosa, e come afferma gelosamente Elliot, se un esperienza non l'ha fatta lui, non può averla fatta anche Beverly. 
Ma Beverly invece ha avuto un'esperienza che Elliot non ha vissuto: una relazione sentimentale. Beverly è innamorato di Claire, e questo porta a una frattura insanabile tra i due gemelli. Ma è una frattura anch'essa invisibile, come è invisibile la malformazione di Claire, donna normale fuori e "mutante" dentro. 
E il sogno premonitore di Beverly, legato indissolubilmente a Elliot come i fratelli siamesi Chang e Hang viene spezzato, anzi, letteralmente morso da Claire, che tenta di dividere i due fratelli per renderli due anime e due corpi ben distinti. Ma Beverly ed Elliot sono due entità in una, e ciò porterà a un abisso che sfocierà nella dipendenza. Dipendenza dagli stupefacenti per Beverly, dipendenza da Berverly per Elliot.
E se anche questa volta Elliot a prima vista è il gemello più forte, sarà Beverly il debole a sovrastarlo, portando con sé Elliot in questa spirale autodistruttiva. Una discesa negli inferi come atto di amore tra fratelli che sono cresciuti insieme nel ventre materno, sono nati nello stesso momento e hanno vissuto insieme, fino alla fine.
Cronenberg tratta i personaggi come materia mutante: a cominciare da Claire, la donna che non ha un apparato riproduttivo normale, che suscita in Beverly un fascino e una curiosità per quel corpo che non è in grado di generare un figlio. 
Il regista canadese usa la ginecologia come metafora della scissione tra la mente e il corpo: dagli organi sessuali così nettamente definiti, cerca di arrivare alla psicologia maschile e femminile che è ben più complessa e tortuosa di una qualsiasi malformazione (come nel caso di Claire e così come è malformato il rapporto di dipendenza tra Beverly ed Elliot).
Mutanti sono le donne che visita Beverly alterato dalla droga, che opera con mostruosi attrezzi chirurgici fatti creare appositamente per loro.
Come ne La mosca girato da Cronenberg due anni prima, Beverly ed Elliot sono due esseri identici che sono mostruosi nella loro evoluzione, come lo scienziato che incrocia (per sbaglio) il suo DNA con quello di una mosca.
David Cronenberg con Inseparabili riprende le sue tematiche a lui care per creare un film inquietante, ma anche una parabola esistenziale dolorosa e solitaria di due fratelli uniti dallo stesso identico aspetto, ma anche dallo stesso destino, incapaci di vivere al di fuori di loro stessi.

Voto: 8

Hanno collaborato:
In Central Perk
Scrivenny
Withe Russian
Ho voglia di cinema
Pensieri Cannibali
Recensioni ribelli
Non c'è paragone

giovedì 13 marzo 2014

SPOT REVIEW: Preservativi Control Nature



Brand: Control Nature
Anno 1989
Regista: non pervenuto.
Durata: 46''

"Di chi è questo?"
E' ciò che si chiede un integerrimo professore di liceo dopo aver raccolto qualcosa di "strano".  Il professore fissa il pavimento, nota qualcosa e lo raccoglie. I  ragazzi, capendo di cosa si tratta, ridono divertiti e un po' imbarazzati. 
La lezione non è ancora iniziata, ma già scatta "l'interrogazione", vuole sapere di chi è "questo". 
Gli studenti si guardano tra di loro, curiosi di sapere il proprietario dell'oggetto incriminato. Un ragazzo si controlla la tasca, si guarda in giro, si alza e afferma "è mio". E così fanno anche i suoi compagni, che uno a uno affermano di essere i proprietari del preservativo.
Negli anni Ottanta, l'AIDS era la nuova malattia del secolo, minacciosa, misteriosa, che contagiava senza pietà prendendoti il fisico e l'anima. Ancora oggi non c'è una cura, ma se la qualità dei malati è decisamente migliorata rispetto a 30 anni fa, è ancora un argomento tabù. 
Sul finire degli anni Ottanta però, quando la malattia non fu più relegata agli ambienti omosessuali ma poteva capitare a chiunque, ci fu una campagna di sensibilizzazione per l'utilizzo del preservativo, unica arma per poter evitare il contagio. La prevenzione. 
E lo spot è efficace perché è direttamente rivolto ai giovani, che anche se devono studiare la versione di latino o prepararsi per l'interrogazione di inglese, sono in un'età in cui la scoperta del sesso è il primo step per entrare nel mondo degli adulti. Ma devono anche prendersi le loro responsabilità.
Ama quanto vuoi e chi vuoi, ma ricordati che puoi amare anche se indossi "il cappuccio", come si diceva un secolo fa.  E' questo il messaggio che vuole dare l'azienda Control.
Alla fine dello spot infatti lo slogan recita il profilattico è il metodo più sicuro per evitare le malattie derivanti dai rapporti sessuali e dalle gravidanze indesiderate.
Per essere uno spot di 25 anni fa, è uno spot veramente coraggioso. Ed è un paradosso, perché nel XXI secolo, epoca dove la trasgressione non è più tabù,  è ancora imbarazzante parlare di AIDS e gravidanze non volute, con leggi e battaglie ancora da discutere, e farmaci da sperimentare per trovare una cura definitiva.
Film come Dallas Buyers Club ha recentemente risollevato il tema, ma dal punto di vista pubblicitario, oltre al fiocco rosso che si indossa il primo dicembre, parole come aborto e AIDS fanno ancora paura.
Di chi è questo? Di tutti noi.


mercoledì 12 marzo 2014

MUSIC REVIEW - Only Girl (In The World)





Titolo: Only Girl (In The World)
Cantante: Rihanna.
Regia: Anthony Mandler.
Durata: 4'11''

Rihanna è la protagonista assoluta del video proprio ad evidenziare come sia l'unica ragazza nel mondo. La solitaria fanciulla cammina su una collina, si stende su un letto di fiori che si trasformano in una grande rosa, dove lei si posa maliziosamente.
Rihanna è immersa in un contesto naturale incontaminato, esprimendo la sua gioia danzando e lasciandosi accarezzare dal vento. 
Balla e canta, è lei l'unica ragazza rimasta, può far sprigionare tutta la sua energia, urlare al mondo che è c'è solo lei nel genere femminile, anche se vorrebbe tanto essere come un ragazzo. Ma la sua femminilità le trasmette forza, un'energia che può scatenare, fino a prendere il mondo e tenerselo tutto per sé. 
Il contesto naturale assume un tono sempre più irreale, dove lei è in cima su una montagna fatta di scale, come se avesse la facoltà di toccare il cielo con un dito. 
Esprime la sua gioia dondolandosi su un'altalena sospesa nell'aria, per poi scatenarsi mentre in cielo ci sono i fuochi di artificio. 
Un po' hippy, un po' sbarazzina, questo è il nuovo video di Rihanna, Only Girl (In The World), dove abbandona il suo look da ragazza cattiva per abbracciare un aspetto più romantico. Nel video c'è solo lei, la ragazza della canzone, dove ha l'opportunità di abbracciare la natura e lasciarsi coccolare dalla bellezza che il vento, i colori dei fiori e le lande le offrono. 
Only Girl (In The World) è un video diretto da Anthony Mandler ed è un concentrato di pura energia positiva, un video solare che fa venire voglia di riconciliarsi con l'ambiente circostante.














lunedì 10 marzo 2014

FILMOGRAFIA: Jared Leto





NOME: Jared Leto
ALL'ANAGRAFE: Jared Leto
DATA DI NASCITA: 26/12/1971
LUOGO DI NASCITA: Bossier City, Louisiana, Stati Uniti
PROFESSIONE: Attore






ATTORE:

(2013) Dallas Buyers Club - Rayon
(2009) Mr. Nobody - Nemo Nobody
(2007) Lonely Hearts - Ray Fernandez
(2005) Lord of war - Vitaly Orlov
(2004) Alexander - Hephaistion
(2002) Panic room - Junior
(2002) Highway - Jack Hayes
(2001) Sol Goode - Sage (non accreditato)
(2000) Sunset strip - Glen Walker
(2000) Requiem for a dream - Harry Goldfarb
(2000) American Psycho - Paul Allen
(1999) Ragazze interrotte - Tobias "Toby" Jacobs
(1999) Fight Club - Angel Face
(1999) Black and White - Casey
(1998) La sottile linea rossa - Tenente Whyte
(1998) Leggende metropolitane - Paul Gardener
(1998) Basil - Basil
(1997) Linea di sangue - Lane Dixon
(1997) Prefontaine - Steve Prefontaine
(1996) The last of the high kings - Frankie Griffin
(1995) Gli anni dei ricordi - Beck
(1994) Cool and the crazy (Film Tv) - Michael
(1994) My so-called life (Serie Tv)- Jordan Catalano

sabato 8 marzo 2014

100% PURE GLAMOUR: Le donne del cinema

Oggi è la festa internazionale della donna, e perché non festeggiare con la nuova rubrica di Director's Cult 100% pure glamour?
Le dive di Hollywood oggi sono Scarlett Johanson, Jessica Chastain, Julia Roberts, Halle Berry, Angelina Jolie e molte altre: donne di potere, che sanno usare la propria bravura senza trascurare la loro sensualità, capaci di stupire e di essere non solo attrici, ma anche icone di moda, ambasciatrici umanitarie, dive moderne. Ma senza le grandi attrici del passato, forse la loro strada verso l'olimpo di Hollywood sarebbe stata solo in salita. Una carrellata di dive dal muto agli anni Settanta, per omaggiare le donne che hanno avuto un ruolo di primo piano cambiando l'industria cinematografica dall'interno.







Lillian Gish: una delle prime muse dei registi e dive del muse, il piccolo "giglio infranto" per eccellenza.









Mary Pickford: la "fidanzatina d'america" ma dotata di un grande fiuto per gli affari, diventando una delle fondatrici della United Artists.









Mae West: è lei l'antesignana delle "bombe sexy", capace di usare il proprio sex appeal con intelligenza ironia, senza risultare volgare.









Greta Garbo: La "divina" colei che fu la prima e indimenticabile diva, con la sua voce sensuale e roca,
indimenticabile in grandi melò.









Shirley Temple: la bambina "prodigio" capace di ballare, recitare ed essere adorabile con i suoi riccioli biondi.








Marlene Dietrich: la "femme fatale" capace di essere androgina e sessualmente ambigua, ma affascinante e e romantica nei melò.







Ida Lupino: La "pupa" di Humprey Bogart ne Il mistero del falco, è stata una delle prime registe, sceneggiatrici e produttrici di Hollywood, aprendo le porte alle future registe donne in un mondo dominato dagli uomini.








Veronica Lake: la "femme fatale" per eccellenza, una diva capricciosa come il ciuffo ribelle che le cadeva
sul suo splendido viso







Bette Davis: la donna "indomita" e passionale, testarda ed energica che ci ha regalato interpretazioni splendide.








Hattie McDaniel: "l'antesignana", la prima attrice afroamericana a vincere un Oscar, riuscendo ad andare
oltre gli stereotipi che le imponeva Hollywood






Joan Crawford: la "competitiva" attrice dal forte temperamento, capace di reinventarsi una nuova carriera diventando una capace donna di affari.







Ginger Rogers: la "multitasking", capace non solo di ballare divinamente il tip tap con Fred Astaire, ma
anche di vincere un Oscar come migliore attrice protagonista.








Katharine Hepburn: la "femminista" indomita e testarda, ma anche buffa e divertente, una donna con la recitazione nel DNA








Ingrid Bergman: la "freschezza" delle dive nordiche, musa di Alfred Hitchock prima e di Roberto Rossellini
poi.







Lauren Bacall: la "sofisticata", colei che rubò il cuore di Humprey Bogart sullo schermo, ma anche nella vita reale.





Juanita Moore: la "sensibile" capace di evitare il cliché della governante afroamericana, creando donne
amorevoli e affrante dalle avversità della vita.







Grace Kelly:  la prima diva glamour, elegante come una principessa, e infatti una volta smessi i panni di miss "ghiaccio bollente", lo diventerà per davvero.






Marilyn Monroe: la "bombshell" svampita e adorabile, ma in realtà una donna intelligente e capace di
essere una grande e ironica commediante





Elizabeth Taylor: miss "occhi viola" dotata di bellezza, ma anche carisma e passionalità che infondeva in indimenticabili melò. 








Anna Magnani: la "verace" passionale, vitale, splendida senza trucco e parrucco e prima attrice italiana a
vincere un Oscar e il cuore di Hollywood.




Audrey Hepburn: "l'eleganza" fatta a persona, quando classe e bravura si incontrano, creando una grande attrice.







Sandra Dee: la "bambolina" minuta e adorabile, la fidanzata ideale per ogni ragazzo di buona famiglia.






Sophia Loren: la "maggiorata" che con la sua prorompente bellezza e bravura ha conquistato Hollywood e un Oscar.








Shirley Maclaine: la "sbarazzina" vitale e dall'incontenibile energia, capace di incarnare donne sfortunate,
ma mai sconfitte dalla vita.





Liza Minnelli: la "incasinata", capace di incarnare donne dalla vita complicata, ma assolutamente affascinante.







Pam Grier: la "tosta", la diva della Blaxploitation per eccellenza, che ha cancellato lo stereotipo  delle governanti afroamericane con donne
grintose e indipendenti.









Jane Fonda: la "figlia d'arte" capace di dimostrare di essere una grande attrice e non solo un cognome importante.





Sally Field: la "caparbia" che ha dato voce e volto a tante donne battagliere, con passione e bravura.





Meryl Streep: la "camaleontica", capace di cambiare accento, nazionalità, fondendosi con il personaggio e restando tutt'ora sulla cresta dell'onda.







E la lista sarebbe infinita: grazie dive per averci fatto sognare, un augurio anche a voi che siete delle donne stupende.