mercoledì 25 dicembre 2019

CULT MOVIE (XMAS EDITION) - La vita è meravigliosa






Titolo: La vita è meravigliosa
Titolo americano: It's a Wonderful Life
USA, 1946
Cast: James Stewart, Donna Reed, Lionel Barrymore.
Sceneggiatura: Frances GoodrichAlbert HackettFrank CapraJo SwerlingMichael Wilson.
Durata: 130'

Come sarebbe la cittadina di Bedford Falls senza George Bailey (James Stewart)? L'angelo di 'seconda classe' Clarence prova a fargli capire che è indispensabile per la piccola contea americana, e cerca salvarlo dalla disperazione e dal suicidio mostrandogli che la vita - dopo tutto, è pur sempre meravigliosa.
E' strano, ma il siciliano (trapiantato negli USA da bambino) Frank Capra fu il cineasta italo-americano che riuscì meglio di chiunque altro a diventare il simbolo del New Deal americano degli anni Trenta/Quaranta.
Capra decretò il trionfo dell'uomo comune - riuscendo a diffondere la speranza e l'ottimismo con i suoi film zuccherosi e smaccatamente populisti . in apparenza. Perché in realtà i film di Capra nascondono un sottile velo di cinismo e una critica - meno velata - al capitalismo americano, con un'amarezza di fondo nascosta per l'appunto in una patina di buonismo e melassa.
George Bailey incarna il perfetto archetipo dell'uomo comune, l'everyman per eccellenza: buono, altruista, pensa sempre al prossimo prima che a sé stesso, adorato dalla moglie Mary (Donna Reed) e ama a sua volta la sua splendida famiglia.
George Però vive una costante frustrazione di fondo: la cittadina di provincia gli sta stretta, vorrebbe vedere il mondo e andare al college.
Ma qualcosa va storto - che sia il desiderio espresso dalla sua futura moglie Mary, che lanciando quel sasso contro la loro futura dimora a cambiare radicalmente la sua vita?
I piani di George si infrangono sotto il peso delle responsabilità famigliari dopo la dipartita del padre.
Così il mite George decide di rimanere a casa e di salvare l'attività paterna che concede mutui alla gente di Bedford Falls - con grande disappunto di Mr.Potter (Lionel Barrymore) che vorrebbe mettere le mani sull'attività e sulla città intera.
George e Mr. Potter sono agli antipodi, banalmente si potrebbero definire il bene contro il male.
Se George si sente segretamente inappagato dalla piega che hanno preso eventi - rei di aver minato irreparabilmente i suoi sogni, è riuscito comunque a costruire una felice famiglia e a diventare un punto di riferimento per la città.
Felicità che non appartiene a Mr. Potter, che è il cittadino più ricco di Bedford Falls, ma è infermo di salute e soprattutto un uomo solo e senza eredi.
Capra sembra che voglia dirci che i soldi non fanno la felicità: George e Mary sono felici anche se vivono in ristrettezze economiche con la loro casa ancora da ristrutturare, mentre Mr. Potter sopperisce alla sua profonda solitudine con la sua vorace avidità di denaro, cercando di colmare il vuoto causato dalla solitudine. 
Mr. Potter conosce il lato debole di George e vorrebbe 'comprarlo' offrendogli denaro e una buona carriera - George è allettato, finalmente potrebbe viaggiare e dare una vita agiata a Mary, ma rifiuta per il suo buon cuore e soprattutto per quelle responsabilità che lo tengono legato.
Sembra che il fato abbia deciso tutto in precedenza - 'accanendosi' contro di lui che cerca di cambiare radicalmente la sua vita. Il suo destino è Bedford Falls.
George cerca di sfuggirgli in varie occasioni: la prima volta, dopo il diploma, quando sogna di andare al college nonostante si fosse innamorato di Mary. Un momento felice e spensierato, lontano dai problemi -  funestato però dalla morte improvvisa del padre, che gli lascia in eredità l'attività da mandare avanti.
La seconda volta quando è in procinto di partire per il viaggio di nozze - rovinato dalle smanie di potere di Mr. Potter che tenta di appropriarsi della cooperativa di risparmio.
La terza volta, quando ha la possibilità di cambiare vita con l'offerta di Mr. Potter, ma questa volta è George a rifiutare, in nome dei suoi sani principi e delle responsabilità che ha nei confronti della sua famiglia e del prossimo.
Se è un uomo di buon cuore e ben voluto, perché è disperato al punto da volerla fare finita?
Perché è disperato, sente crollargli il mondo addosso per via del denaro da recuperare disperatamente, rendendo vano il progetto paterno per la quale ha sacrificato i suoi sogni.
Perché il dio denaro sembra avere la meglio sulla generosità e tutti i suoi sacrifici stanno andando in fumo per colpa della sbadataggine dello zio Billy e soprattutto per le macchinazioni di mr. Potter.
Meno male che c'è Clarence che ha bisogno delle sue ali, ma ha bisogno di aiutare un uomo che ha dedicato la sua intera esistenza al prossimo e per una volta deve essere aiutato lui stesso.
Allora gli mostra il mondo senza George Bailey: Pottersville, la città della perdizione e del capitalismo dove i suoi cittadini sono infelici o rovinati da scelte sbagliate -  scelte che hanno fatto perché George non era lì ad aiutarli.
Tutto sembra perduto, ma alla vigilia di Natale il bene che ha elargito gli ritorna indietro -  con il prezioso contributo dei cittadini di Bedford Falls. Niente da fare George Bailey, la città ha bisogno di te, non devi andare da nessuna parte.
Frank Capra regala il lieto fine per George e per gli spettatori. Regala un momento di ottimismo, perché è pur sempre una favola.
La guerra è finita da un anno, e Bedford Falls rappresenta il simbolo della ricostruzione dell'America e l'invito ad aiutarsi l'uno con l'altro, solo così si può costruire un futuro migliore per le prossime generazioni.
Per un giorno dimentichiamo i problemi, e nonostante avide persone come Mr. Potter rimangano impuniti - suggerisce che il capitalismo può sempre vincere, incrinando il sogno americano a cui Frank Capra ha vissuto in prima persona quando a 6 anni sbarcò in America dalla lontana Sicilia.
L'America da, l'America toglie. Sembra questo il monito che vuole dare Capra. E l'unico modo per sopravvivere è essere altruisti per non lasciare in eredità un mondo povero e arido di valori.

Voto: 9

martedì 20 agosto 2019

NOTTE HORROR: Atom Age Vampire

Ogni estate arriva la notte horror! E quest'anno Director's cult ha perso il treno, ma è riuscita a trovarne un altro grazie alla congrega di cineblogger aficionados che l'hanno fatta salire a bordo di questa maratona orrorifica. E quindi eccola qua con Atomic Age Vampire, B movie italiano degli anni Sessanta diretto da Anton Giulio Majano
                                           
                                                            Il ritorno di Zio Tibia



Titolo: Atom Age Vampire
Cast: Alberto Lupo, Susanne Loret, Rita Parisi
Sceneggiatura: Alberto Bevilaqua, Antom Giulio Majano
Regia: Anton Giulio Majano
Durata: 86' (verione americana)

Caravaggio fece un dipinto che si chiama La canestra di frutta. In questo canestro c'è della frutta polposa, succulenta, tale da far venire voglia di allungare una mano sul dipinto per poter assaporare una pera o un acino di uva. Insieme a cotanta meraviglia c'è anche una mela imperfetta, intaccata dal segno del marciume che prenderà in toto anche il resto.
Cosa c'entra Caravaggio con un film dell'orrore? Apparentemente nulla. C'è però quel concetto di vanitas, di vanità insita in quel quadro che potrebbe associarsi ad Atom Age Vampire di Anton Giulio Majano che ci racconta le disgrazie di una ragazza sfigurata sul volto.
Caravaggio ci voleva dire che la bellezza esteriore è destinata a dissiparsi, a spegnersi e che non durerà per sempre, così come la bellezza di Jeanette, stripper dalla vita amorosa tumultuosa che finisce per rimanere sfigurata in un terribile incidente stradale. 
La sua vanitas viene rubata prima del tempi e lei si ritrova con parte del viso e del collo orribilmente deturpato.
Se in un dipinto il tempo si può fermare (vedi anche Il ritratto di Dorian Gray) e si può conservare la bellezza (insieme alla sua bruttezza insita), la scienza si può adoperare per fermare il passare del tempo, o meglio ancora, poter restituire la beltà sfiorita e orribilmente sfigurata.
Jeanette si imbatte in Monique (Franca Parisi), l'assistente del professore Albert Levin (Michele Lupo) che può restituirle la bellezza perduta. Levin ha studiato gli effetti delle radiazioni del bombardamento di Hiroshima e può curare i tessuti della pelle rovinata e restituirla al suo splendore.
Jeanette all'inizio si rifiuta, ma quando il siero Derma 25 funziona su Monique che si offre di fare da cavia da laboratorio e Levin raffina la terapia facendolo diventare Derma 28, lo scienziato sperimenta sulla giovane donna il siero a sua insaputa.
Ed ecco che le orribili cicatrici scompaiono per la gioia di Jeanette. Peccato che, come nel quadro di Caravaggio, la bellezza, la vanitas è destinata a svanire. E Levin ormai innamoratosi perdutamente di lei, arriva ad uccidere pur di poter prendere la materia prima per creare il Derma 28, trasformandosi lui stesso in un mostro. Peccato però che Jeanette si sia innamoreata di Pierre Mornet (Sergio Fantoni), facendo impazzire ancora di pi lo scienziato. Per poterla curare e averla per sé, arriverà a uccidere pur di poter continuare a produrre il Derma 28 e tenerla senza una cicatrice.
Atom Age Vampire è il classico B movie anni Sessanta con il plot 'scienziato pazzo' che fa il verso al mitico L'uomo invisibile con Claude Raines.
Come nel film di James Whales, c'è lo scienziato a cui sfugge il senso della realtà pur di arrivare ai propri scopi, al punto da diverntarne pazzo. Ma se ne L'uomo invisibile lo scienziato ha gli effetti collaterali dell'esperimento fatto su sé stesso, in Atomic Age Vampire (Seddok,l'erede di Satana in italiano) Levin diventa pazzo pur di avere Jeanette tutta per sé. Possibilmente bella e senza imperfezioni.
Anton Giulio Majano però non è James Whales, e confeziona un discreto horror con tutti i crismi del film di serie B. Il doppiaggio inglese non giova, facendo diventare Susanne Loret la candidata perfetta per il Corinna Negri Award, ovvero il premio miglior cagna maledetta. E il suo sbattersi sul letto disperata non l'aiuta.
Majano viaggia sui binari dell'horror scientifico utilizzando tutti i cliché del genere prendendo in prestito i dettami dei film horror americani - con tanto di citazione finale da L'uomo invisibile. 
L'unico problema di Atomic Age Vampire è una certa lentezza che a momenti sfocia in noia, appesantendone il ritmo e ne risente soprattutto nella parte 'il bruto e la bella' con l'antagonista (Sergio Fantoni) poco efficace.
Tralasciando i difetti però, nel complesso Atomic Age Vampire è un horror interessante che prende tematiche come la bellezza esteriore che dovrebbe - secondo i dettami della società - essere eterna (infatti Pappi Corsicato con Il volto di un' altra sembra prendere spunto da questo film creando anche lui la sua eroina sfigurata anche lei in un incidente stradale).
Atom Age Vampire è un classico film horror di serie B girato senza infamia e senza lode che ancora ha tematiche attuali come l'ossessione per la bellezza. Tematica che ancora oggi fa ancora paura. 

Voto: 6

Hanno partecipato alla notte horror:



sabato 20 luglio 2019

LUNA... OLTRE L'INFINITO: Moon

Oggi è il 50esimo anniversario dello sbarco sulla luna. Neil Amstrong fu, insieme a Buzz Aldrin il first man che mise piede sul suolo lunare. Per celebrare l'evento, Solaris ha deciso di coinvolgere la solita cricca di cinefili per un omaggio... Spaziale! Director's cult si cosparge il capo di cenere e riedita una recensione di Moon, riveduta e corretta a dieci anni di distanza.




First man has landed











Moon 

Gran Bretagna, 2009.
Regia: Duncan Jones
Cast: Sam Rockwell, Kevin Spacey (voce, nella versione originale), Dominique McElligott
Soggetto: Duncan Jones
Sceneggiatura: Nathan Parker
Produzione: Liberty Films
Distribuzione: Sony Pictures
Durata: 97'


50 anni fa Neil Armstrong e Buzz Aldring furono i primi uomini a mettere piede sul suolo lunare. 50 anni dopo la Luna è ancora un pianeta affascinante da studiare e scoprire continuamente. 
Nel mondo dell'arte, la Luna è sempre stata corteggiata e amata: dalla musica, dove i Pink Floyd ne vedevano un lato 'oscuro', o David Bowie che proprio 50 anni fa mandava in missione il suo major Tom alla scoperta dello spazio. O con il cinema di Stanley Kubrick, che aveva mandato in orbita i suoi astronauti un anno prima dell'allunaggio per la sua odissea spaziale.  Persino i manga giapponesi sono affascinati dalla Luna, creando una guerriera vestita alla marinaretta che combatteva i malvagi che minacciavano l'incolumità della Terra.
 La Luna è stato oggetto di interesse anche per il primo lungometraggio di Duncan Jones, che con Moon segna il suo debutto sul grande schermo.
Siamo nel 2009 e Jones immagina la Terra quasi privata di energia. Beh, si sa che la fantascienza guarda sempre al futuro, sia dal punto di vista dell'avanzamento tecnologico, sia dal punto di vista di una possibile devastazione del suolo terrestre. 
In questo caso la problematica dell'energia sulla Terra è risolta dalla Lunar, azienda che produce energia sfruttando la roccia lunare, nuova fonte energetica pulita e non dannosa. Sam Bell (Sam Rockwell) è un astronauta che si occupa del funzionamento dei macchinari che raccolgono il materiale sul lato oscuro della Luna e le sue uniche fonti di compagnia sono le piante, il plastico che riproduce la sua città e Gerty 3000, robot che ha la funzione di assistente tuttofare.
Dopo tre anni di permanenza, gli rimangono tre settimane per far ritorno sulla Terra e riabbracciare sua moglie Tess (Dominique McElligott) e la piccola Eve. Il sogno del cosmonauta viene interrotto due settimane prima a causa di un incidente: in preda ad una allucinazione si schianta e finisce sotto una frana. Tornato alla base tenta di capire le cause dell'incidente e nonostante l'impedimento di Gerty (Kevin Spacey), scopre che nella navicella c'è un altro... Sam Bell.
L'astronauta scopre una rete di inganni e cercherà di risolvere l'enigma nascosto nel suo io. Chi è il clone e chi è il vero Sam? Cosa nasconde la Lunar?
Con Moon Duncan Jones ci dimostra che privandosi dell'ausilio degli effetti speciali, con pochi soldi e tante idee, si può confezionare una pellicola innovativa che segna un ritorno alle atmosfere della fantascienza sci fi anni '50/60. 
Il regista mescola sapientemente le tematiche di 2001:odissea nello spazio, regalandoci un nuovo Hal 2000, l'essenzialità della scenografia dell'ambientazione lunare, la svolta del protagonista che decide di riprendersi le redini del proprio destino ricorda THX 1138 di George Lucas. 
L'io e il suo doppio, realtà o finzione riecheggia Blade Runner e lo straniamento quasi alieno del protagonista è come un omaggio al padre David Bowie che sempre nel 1969 esordì con l'album Space Oddity e successivamente creò Ziggy Stardust, il suo alter ego venuto però da Marte.
Il regista non si limita a copiare le opere che lo hanno ispirato, ma le rielabora e le trasferisce allo stato attuale. Con dieci anni di anticipo, Jones pone un'attenta analisi su una società che sta devastando il suo ambiente e non sa come riparare ai danni inflitti sulla natura. 
Offre una sorta di soluzione trovando una risorsa miracolosa nella Luna e con essa apre il film in un sogno utopistico sulla Terra che non patisce più la siccità, la desertificazione, l'inquinamento.
Il futuro cerca spasmodicamente l'innovazione, ma dal punto di vista umano rimane sempre indietro. L'uomo e il suo costante conflitto con la solitudine è la tematica tanto cara alla fantascienza, tra l'altro ampiamente delineata nei romanzi di Philip Dick. 
Siamo super connessi, siamo esposti con foto, video, 'storie', pensieri che straboccano nei social media. Eppure la società di oggi si sta inesorabilmente impoverendo dal punto di vista della comunicazione e dei sentimenti e ci si affida sempre di più alla tecnologia: i social network ormai hanno sostituito i rapporti interpersonali.
L'unico amico di Sam Bell è una macchina "umanizzata" a partire dal suo nome, Gerty, si esprime con le "faccine" che ricordano tanto gli emoticon utilizzati nei messaggi di testo del cellulare. Gerty è quasi paterno con il cosmonauta, la sua unica priorità è di proteggerlo da se stesso, dal suo doppio che reclama la sua necessità di individualismo, la sua persona e la sua libertà.
50 anni fa l'uomo combatteva per la propria libertà. Cinquanta anni dopo, l'uomo sembra essersene dimenticato di avere un bene così prezioso e preferisce avere cloni come quello di Sam. Un clone terribilmente imperfetto però, arido, stupido ed ignorante. E per questo terribilmente pericoloso per la libertà dell'essere umano. 
Forse avremo veramente bisogno dell'energia della Luna per riprenderci da questo periodo oscuro e ritrovare un po' di luce.  Chi lo sa.
Nel 2009 Duncan Jones ci offrì un folgorante esorido, con una ottima  prova di Sam Rockwell, perfetto "one man show" che riesce brillantemente a "reggere sulle proprie spalle" l'intero film. Le musiche di Clint Mansell conferiscono la giusta dose di suspence, sottolineando abilmente i momenti di tensione.
Una piccola pecca sul finale non rovina comunque questo inizio promettente: Moon è stato un ottimo esordio che farà apprezzare il genere fantascientifico anche ai poco affezionati, segnando la strada per una carriera brillante per questo figlio d'arte. E anche se il suo ultimo film Mute, fa storcere il naso, buon sangue non mente e sicuramente farà altri film belli come questo folgorante debutto.

Voto: 8

Sono sbarcati sulla Luna con me:

giovedì 20 giugno 2019

NICOLE KIDMAN DAY: Moulin Rouge!

Oggi la combriccola di blogghers si riunisce per fare il day alla vecchia maniera: ovvero festeggiare un attore o un attrice nel giorno del suo compleanno. Questo mese tocca a Nicole Kidman, che finalmente liberatasi del botulino, è ancora bella e sulla cresta dell'onda. Per l'occasione, Director's cult ha scelto uno dei suoi film più belli: Moulin Rouge!


Tanti auguri!





Titolo: Moulin Rouge!
Id., USA, 2001
Cast:Nicole Kidman, Ewan McGregor, John Leguizamo. Richard Roxburgh
Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Craig Pierce
Regia: Baz Luhrmann
Durata: 120'



...La lune trop blême
Pose un diadéme 
Sur tes chevex roux...

Benvenuti al Moulin Rouge, il luogo magico e lussurioso per eccellenza dove l'eccesso ed essere eccessivi è la regola.
E nella baraonda barocca e bohemiène della Parigi del 1900, lo squattrinato scrittore Christian vuole raccontare l'amore. Senza però averlo mai sperimentato prima.
L'amore per lui è ossigeno, e questo è abbastanza per un sognatore romantico come lui.
L'amore però è inaspettato, ti prende, ti travolge e ti schiaffeggia se è necessario. 
L'amore è uno sguardo fugace, come quello tra lui e la bellissima Satine (Nicole Kidman).
Satine questo sentimento però lo può solo immaginare, perché il corpo di cortigiana è il desiderio di tutti, ma il suo cuore è per nessuno. A differenza di Christian, Satine è meno ingenua e disincantata, se non cinica.
Tutti hanno bisogno di amore, gli risponde Christian, ma lei ribadisce che una ragazza deve pur mangiare o finirà in mezzo a una strada. L'amore è solo un gioco.
Gioco o meno, Christian finisce irretito dalla sua bellezza e dallo splendore del Moulin Rouge. Approcciato da Tolouse Lautrec (John Leguizamo) gli viene offerta l'occasione di scrivere lo Spectacular Spectacular, un musical cucito su misura per la bella e inarrivabile Satine.
Galeotto fu l'equivoco, e Christian viene scambiato per il 'duca' (Richard Roxburn) - che dovrebbe produrre lo spettacolo - e incontra la bella. E così l'amore oltre a essere ossigeno divenne anche qualcosa di più concreto e tangibile.
L'arte è creatività, l'arte è passione e l'hummus ideale per poter esprimere i sentimenti un po' naive del giovane romantico sognatore. 
E' anche business, e lo show deve andare avanti, anche se a investire nello spettacolo spettacolare è il viscido conte che chiede di avere Satine come cortigiana esclusiva.
Il rapporto musa e scrittore però non si ferma di fronte alle brame di desiderio del ricco produttore, solo un infausto destino può spezzare l'incantesimo. E la cornice sfavillante del Moulin Rouge non basta per fermare il triste destino dei due amanti.
Baz Luhrmann chiude la trilogia del sipario e lo fa in grande stile. Inaugurata dal delizioso e volutamente kitch Ballroom - Balli proibiti e dopo Romeo + Giulietta, con Moulin Rouge Lurhmann si scatena e usa i 'fuochi d'artificio' per una esplosione di colori, musica, balli, passione, dramma.
Lurhmann non ci risparmia niente e in questo vortice frulla la musica pop con l'opera (Satine è 'vagamente' ispirata a Violetta de La traviata verdiana), con un inizio da commedia che scivola lentanente nel dramma. 
Essendo un musical, ovviamente la musica è il cardine del film, ma il bello di Moulin Rouge! è il modo in cui canzoni come Diamonds Are the Girl's Best Friends e Roxanne dei Police vengono reinventate e mixate, amalgamandosi alla perfezione nei dialoghi. 
Se l'amore è ossigeno per Christian, la musica, il ballo, la letteratura e il teatro e l'arte sono per Lurhmann il cuore pulsante, ogni singolo organo vitale del suo cinema, arrivando all'apice della sua trilogia dopo aver esplorato la danza in Ballroom e il teatro/letteratura in Romeo + Giulietta con il suo spettacolo spettacolare.
Con Moulin Rouge Lurhmann è scatenato e va' a briglie scoglie, stordendoci letteralmente con le gonne svolazzanti delle ballerine, con i mille colori le luci e il ritmo frenetico di ogni singola scena, arrivando a creare una sorta di bambola russa con il musical dentro il musical, dove i protagonisti mostrano una forte alchimia e ci trasmettono la loro travolgente passione.
Moulin Rouge infatti offre a Nicole Kidman il ruolo della sua vita con la sua bellissima Satine: sfacciata, sexy, buffa e dotata inaspettatamente di una bella voce, riesce a conferire al personaggio la tragicità di una donna che viene vista solo come un oggetto sessuale ('lei è mia' viene ribadito nel musical Spettacolo spettacolare), mentre solo Christian la vede per quello che è: una donna da amare.
E se l'introduzione al celebre locale di Monmartre rende di più al cinema, a distanza di quasi venti anni si rimane ancora estasiati da questa bellissima e tragica storia d'amore e al suo magnifico universo che la racchiude.
Dopo due decadi Baz Lurhmann è in grado di travolgerci e farci sognare con il cinema, facendoci vivere la magia e la bellezza della settima arte ancora una volta.

...Mes rêves épanouis
Les escaliers de la butte
Sont durs aux miséreux.
Les ailes du moulin
Protègent les amoureux...


Voto: 8,5

Hanno festeggiato Nicole Kidman:

Bollalmanacco - La donna perfetta
La bara volante - Da morire
Pensieri Cannibali - Destroyer
Non c'è paragone - Il sacrificio del cervo sacro
La fabbrica dei sogni - Il matrimonio di mia sorella
La stanza di Gordie - The Others
Una mela al gusto pesce - Amori e incantesimi
Stories. - Big Little Lies (stagione 1)






sabato 25 maggio 2019

MENIAMO LE MANI 3: John Wick

Dopo qualche anno, torna la terza edizione di Meniamo le mani, ovvero un omaggio ai film spaccaculi degli anni Ottanta e non. Per l'occasione, mi sparo John Wick, che di culi ne spacca a iosa.

                                                                    Vai di ignoranza!!!





Titolo: John Wick
Id., USA 2014
Cast: Keanu Reeves, Michael Nidqvist, Willem Dafoe
Sceneggiatura: Derek Kolstad
Regia: Chad Stahelski
Durata: 101'


Citando la recensione del Bollalmanacco, il concept di John Wick gira intorno a 'scendi il cane che lo sparo'. Ma che ha di così speciale questo cane? D'altronde è solo un fottuto ca... sta fava!  Anche perché il suo padrone, il John Wick del titolo è un ex sicario in pensione che ha appena perso la moglie.
Il cane in questione è Daisy, ultimo regalo della moglie - una sorta di testamento per poter sopravvivere al senso di perdita e poter così elaborare il lutto.
Dopo il WFT iniziale, John Wick decide di tenerselo e lo porta a fare un giro con la sua Mustang. La macchina viene notata da Josef Tarasov (Alfie Allen), figlio del boss Viggo (Michael Nyqvist), e anche un po' figlio di puttana che vuole la macchina di John. E Josef decide di prendersela con una irruzione notturna con uomini brutti, grossi e cattivi. Fatto sta' che la povera creatura gli dura manco due giorni, perché Josef non solo corca di botte Wick, ma anche il cane che passa a miglior vita. D'altronde per Josef era solo un fottuto cane, e d'ora in avanti, il cane sarà chiamato così. Fottuto Cane è capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato. John però s'incazza e tira fuori labbestia che c'è in lui e decide di vendicarsi.
Il figlio del boss è spacciato e una volta che Viggo, lo scopre, sul suo volto stupefatto si dipinge di stupore. Viggo è consapevole di avere un figlio coglione ed è consapevole di aver rimesso in moto una macchina di morte sopita per 5 anni. Viggo allo stesso tempo ne approfitta per fare fuori Bogeyman, il gentile soprannome che ha John Wick quando lavora. Un po' come Clark Kent che fa il giornalista di giorno e salva la gente nel suo tempo libero, lui quando non lavora ammazza i cristiani che gli hanno fottuto la macchina e ucciso Fottuto Cane. Uguale uguale.
Il boss russo comunque lo vuole morto e gli manda il suo team a fargli la festa. Anche se il suo compleanno probabilmente è il mese prossimo. Ma Viggo lo vuole sotto terra prima che soffi sulle candeline della torta.Beh, il Bogeyman - l'uomo nero - però è ancora in ottima forma tanto da disturbare il quartiere con 'rumori molesti' con tanto di polizia che gli para il culo (ah, sei tornato al lavoro?). 
Wick tanto ammosciato dalla pensione non è, e un paio di colpi di kung fu da far impallidire Matrix (cit.) li mostra, il che porta a una scia sangue e morti a profusione, che cazzo gli sporcano pure la moquette e gli spaccano pure la TV. E  lui che fa? Chiama il team 'pimp my house' e gli puliscono tutta casa sbarazzandosi dei 12 figli di sultana che vengono impacchettati a suon di domopack e mandati sotto terra da qualche parte. Figo, eh? 
Non pago, John prende gli attrezzi del mestiere (robetta, coltelli,giubbotto antiproiettile, pistole, proiettili per abbattere pure gli elefanti) per fare fuori il figlio di buona donna che gli ha fottuto la macchina e accoppato Fottuto Cane. 
Per agire indisturbato, John entra nel Continental, una sorta di zona franca dove risiedono tutti i malavitosi e che regala l'immunità meglio di una puntata del grande fratello. Anche perché il premio per chi accoppa John Wick è di ben 2 milioni. Gli è andata un po' male a Miss Perkins (Adrianne Palicki), la taglia di 49 milioni è stata già pappata e se la vuole, dovrà averla in comode rate elargite nell'arco di 80 anni. Cazzarola che sfiga. 
Immunità sta ceppa per John visto che Miss Perkins è una cagna maledetta e infrange le regole cercando di fare tana a John cercando di ammazzarlo, mentre Marcus (Willem Dafoe) fa il doppio gioco (o forse vuole i due milioni di dollari, pure lui, chi lo sa?), parandogli il culo. 
E scampato alla mattanza, inizia il valtzer dell'ignoranza con spargimenti di sangue a iosa, il tutto per fare fuori quel moccioso viziato (e pericoloso) che pensa di poter fare quel che vuole perché ha un po' di potere (vi ricorda qualche ministro a caso?). Ormai John non ha più Fottuto Cane. Ora non ha più niente da perdere. 
John Wick potrebbe essere liquidato come un puro action movie sul tema del 'man seeking revenge', ma in realtà è qualcosa di molto più figo. A cominciare dall'universo parallelo incarnato dal Continental, un mondo a parte dove vigono delle regole speciali con servizi speciali tipo 'ti regaliamo una Jaguar per scusarci dell'inconveniente (aka, perché ti hanno quasi fatto la pelle in un posto dove dovevi avere il culo parato al 100%), per poi fare un viaggio (nel sacrosanto nome della gnuranza dei bei film action degli anni Ottanta dove valevano più le mani delle parole) nei bassifondi malavitosi dove il nostro Baba Yaga si può sfogare ammazzando a destra e manca. Perché il cane non glielo dovevi toccare, capito?!?
Ma al di là del sacrosanto diritto di spargere il seme della gnuranza, John Wick scava più a fondo ed è un film che verte sul tema del lutto, la capacità di poter amare di nuovo e il senso di solitudine che attanaglia il protagonista. Perché se Fottuto cane aka the dog formely known as a Daisy the dog, rappresentava l'ultima speranza di poter ancora provare dei sentimenti e non farsi attanagliare dallo sconforto e dalla paura di morire da soli  - anche se il buon Keanu maschera il tutto con la sua proverbiale inespressività. Ma a cinquanta e passa anni e un fisique du rol che Brad Pitt(e) si sogna, gli si può perdonare questa quisquilia. Paradossalmente John ha legato più con Fottuto cane in due giorni che Viggo il boss con quel fottuto di suo figlio. E se il finale è un po' forzato  per la sorte di alcuni personaggi, che chi deve morire deve morì e pure male, poco importa perché John Wick è tornato a spaccare i culi, e noi a gongolare di fronte a cotanta ignoranza.

P.s. La recensione del Bollalmanacco la trovate qui: John Wick

Hanno menato le mani:

22/05: Laura (La fabbrica dei sogni): Terminator
23/05: Marco Contin: True Lies
24/05: Il Zinefilo: Omicidio incrociato
31/05 (?) Il Zinefilo: Pugno d'acciaio




lunedì 22 aprile 2019

CHE BRUTTO AFFARE: Spy

Director's cult è in vena di festeggiamenti e non solo ha avuto il fegato di vedere quella porcata di Sliver, ma fa doppietta con Spy, diretto e interpretato dalla coppia a delinquere Renny Harlin + Geena Davis (ve lo scrivo alla Lurhmann, tiè), entrati nella storia del cinema per aver fatto fallire la Carolco.
Harlin con questo film non bada a spese e vediamo se è entrato nel circolo esclusivo dei film sublimi della Director's!


                                                                 Na' brutta fazenda!

Avvertenze: nonostante i millemila spiegoni sparsi per tutto il film, questa recensione contiene degli spoiler ai fini dell'analisi (fatta volutamente a cazzo di cane) del film






Titolo: Spy
Titolo originale: The Long Kiss Goodnight
Cast: Geena Davis, Samuel L. Jackson, Craig Bierko
Sceneggiatura: Shane Black (rimaneggiata da cani e porci)
Regia: Renny Harlin
Durata: 12'


E' Natale, e ogni personalità doppia vale. Come quella di Samantha (Geena Davis) insegnante con compagno insignificante e con prole che vive una vita placida e tranquilla manco fosse in Svizzera plan plan plan.
Galeotta fu l'alce che sbucò all'improvviso facendola schiantare sulla strada gelata. Lei si schianta male, ma ha solo un sussulto, scende dall'auto e fa lo spiezzatino alla Lundgren di Rocky 4 con il collo della povera alce. E poi placidamente va' in ospedale perché tanto bene non sta.
E da quella sera tutto cambiò. Un sogno rivelatore accompagnato dallo spiegone ci dice che la sciura tanto tranquilla plan plan plan non era. Infatti 8 anni prima era una spia spaccaculi rimasta senza memoria dopo che hanno tentato di fare il culo a lei. Ma lei non ricorda nulla. Ma se spezzi il collo a un'alce un paio di domande te le dovresti fare. Invece non se le fa, e il giorno dopo prepara la cena e comincia a tagliare le verdure da fare impallidire Gordon Ramsey. E lui di solito s'incazza moltissimo. E invece no, muto sta. Lei  ormai è pronta a prendere il posto del Roberto baffo per vendere i coltelli in TV, ma non fa in tempo ad esultare che un brutto ceffo irrompe a casa sua e lei comincia a lottare lanciando la figlia fuori dalla finestra per salvarla, mentre il compagno fa un tuffo carpiato da medaglia d'oro alle Olimpiadi delle persone inutili. 
Dunque ha fatto fuori un'alce, ha fatto fuori un killer come l'alce. Ha lanciato la figlia dalla finestra. Ha fatto gli incubi e ci ha dato lo spiegone e niente, il giorno dopo tutto come prima. 
Uccidi un alce, uccidi uno stronzo che ti vuole fare la pelle, ti lavi la faccia, un po' di rossetto e via, pronti ad affrontare la vita con un sorriso anche oggi!
Come nulla fosse, va a pattinare con la figlia, ma lei è una mezza sega e piange. Sammy core di mamma le dice con voce da trannie che la vita è dolore, e deve farsene una ragione. E niente, ancora non ci arriva che era un'altra persona un secolo fa. Ci ha provato lo spiegone, ma non basta, così ci pensa ad aiutarla Mitch (Samuel L. Jackson) uno dei tanti detective che aveva assoldato perché non si ricorda una sega del suo passato.
Decide di scappare con lui per scoprire la verità, e neanche dopo l'ennesima sparatoria e spiegone, niente, lei continua a urlare come una scimmia mentre spacca i culi a destra a manca con fiumi di pummarola in goppa per la scia di cadaveri che lascia in giro. E niente, ancora non ricorda nulla.
Dopo essere stata in contatto con il dr. Nathan Waldman (Brian Cox), e dopo essere scappati da un assalto di agenti in piena sommossa, forse comincia a rimembrare ancora e dopo aver assemblato un mitra in un nano secondo, due domande comincia a farsele. Ma anche no. 
Allora scappa pure da Waltman e ritrova il vecchio ammore (David Morse), che è un po' figlio di puttana e la tortura un po'. Mo' comincia a ricordare meglio.
MINKIA AHO' SEI UNA SPIAAAA!!! SEI GNUCCA ECCHECCAZZO!!!
Finalmente si da' una svegliata ed ecco che Samantha in realtà è Charlie, ovvero la spia della CIA che spaccava i culi pure a tua zia. Incariacata di mandare al creatore il suo ex ammore, quasi ci rimette le penne lei e perde lamemoria. Spaccato il culo pure al suo ex, finalmente si ricorda tutto dopo tremila sparatorie, fiumi sangue e trecento spiegoni al seguito.
In hotel si taglia i capelli, si fa bionda, si trucca gli occhi come un panda, si pitta le unghie et voilà, Charlie is back BITCHES!!! 
E ci voleva una seduta dal parrucchiere fai da te per rimembrare tùs co's, mica la scia di cadaveri e sparotorie. Piustost che nient, L'è mei piutost.
Ora che si è tolta dal cazzo Samantha e i suoi vestiti da vecchia abelarda che le facevano un culo grosso come una provincia (cit.) è pronta a finire la sua missione e uccidere Timothy (Craig Bierko), che le rapisce la figlia senza che l'uomo inutile di lei se ne accorga. 
E dopo un momento alla biùtiful, fanculo il romanticismo che ora Timothy deve morire male. 
L'apocalisse, piano sventato, cattivo mandato al creatore e fanculo pure la CIA che le caprette mi fanno ciao e sono più carine nella landa sperduta dove è stato ritrovato l'essere inutile del suo compagno. E vissero tutti felici e contenti. O quasi.
The Long Kiss Goodnight, ribattezzato con il titolo super spiegone di Spy è uno di quei film che se l'avesse fatto Nicolas Cage al posto di Geena Davis, sarebbe diventato un capolavoro di oscenità a dir poco sublime.
E invece Nicola Gabbia non c'è, ma al suo posto c'è Geena Davis che è andata al letto col regista per ottenere la parte. Anche perché all'epoca era la mugliera di Renny Harlin, il Finlandese che amava  far esplodere le cose e spaccare i culi con i film di azione.
E benedetto da una produzione che non risparmia in effettacci, sceneggiatura pagata milioni di dollari (Shane Black, mica mezze calzette) e rimaneggiata alla grande per dare spazio a mille spiegoni a meno della metà del film; il film è un tripudio di esplosioni e morti ammazzati che si librano felici nell'aria. Tutto sto' casino si amalgama alla perfezione, pure con gli elementi melò della nostra eroina, che riesce a fare la voce da travone per far capire allo spettatore che in realtà non è lei ma è un'altra.  Solo che lei non lo sa, ma noi lo sappiamo. E gli spiegoni?
Come si fa a non amare un film così? Roba da farti venire le convulsioni dal ridere nel suo frullato di grottesco, momenti scult (tra cui il cane di Walton che si lecca il culo per mezz'ora) e scene d'azione che sono una vera e propria dichiarazione d'amore per il genere. Il tutto sapientemente impacchettato con tanto cattivo gusto. Impossibile non volergli bene.
Harlin infatti confeziona con sapiente maestria un minestrone di trash e azione, concentrandosi soprattutto su questi ultimi (e anche prendendosi sul serio), memore del suo record di esplosioni e morti ammazzati in 58 minuti per morire.
Harlin infatti non bada a spese e sciorina momenti WTF sublimi per far svegliare sta' spia più rincoglionita che senza memoria, per poi farci deliziare con una trippa fatta di scazzottate, sparatorie e bombe per tenersi il meglio con l'esplosione finale, roba che John Mc Lane ed Elisa Isoardi (per la scena sublimantente trashosa delle carote tagliate) le spicciano casa. Geena Davis riesce a reggere baracca e burattini anche se la voce trans non le viene un granché bene, e Samuel L. Jackson invece è il solito figo solo per come canticchia le canzoni. 
The Long Kiss Goodnight è uno spassoso spy movie che è impossibile da non amare per il suo DNA da monnezza movie inside. 
Renny, ritorna, le colline sono in fiore! Bisogna farle esplodere! Date a quest'uomo 100 milioni di dollari, una casa di produzione da far fallire e una cazzo di macchina da presa, quest'uomo deve fare il culo a tutti!!!!

Voto: 7

Hanno partecipat





venerdì 19 aprile 2019

CHE BRUTTO AFFARE - Sliver

Buon compleanno a me e alla Bolla del Bollalmanacco! Per celebrare alla grande il nostro compleanno, abbiamo deciso di far parte della maratona Che brutto affare, inaugurata ieri da Cassidy e la sua bara volante con Corsari. Che brutto affare day celebra un decennio, quello degli anni Novanta che non aveva remore nello sprecare i soldoni per fare film che il più delle volte erano obrobriosi oppure ottimi film dalla produzione travagliata. Era un decennio in cui oltre al vasto spreco di denaro, si sprecava il più delle volte un esercito di creativi competenti tra registi, sceneggiatori, scenografi e compagnia bella che erano più o meno vittime dei deliri di onnipotenza dei produttori. 
Non fa eccezione Sliver, che spreca un cast di lusso del calibro di Nina Foch, Martin Landau e Sharon Stone per un film pasticciato (con tanto di finale 'volante' cambiato di corsa durante le riprese) che è stato maneggiato dai produttori per confezionare un film con sesso sfrenato e figaccioni di turno dall'essere l'antesignano delle ormai vituperate 50 sfumature di grigio.


Brutta fazenda veramente!




Titolo: Sliver
id., USA 1993
Cast: Sharon Stone, William Baldwin, Tom Berenger
Sceneggiatura: Joe Esztrerhas
Regia: Philip Noyce
Durata: 106'


La bionda Naomi si appresta ad entrare nel suo appartamento. Persa nei suoi pensieri, si lascia cullare dalla brezza dell'aria fresca notturna. Improvvisamente la porta si apre, lei lo saluta, e sul suo viso stupefatto, non fa in tempo a dipingere lo stupore che il misterioso uomo la prende tra le braccia e la fa volteggiare dal 20esimo piano. Il suo corpo infuso di grida e orrore, si infrange nella vetrata come una bambola di porcellana.
Dopo il nefasto avvenimento, la bionda Carly (Sharon Stone) affitta il suo appartamento. Carly è bionda come Naomi, forte come una leonessa nel mondo spietato della editoria newyorkese, ma fragile e insicura nel privato. 
Galeotto fu lo sguardo con un giovane e aitante vicino, Zeke (William Baldwin). I suoi occhi azzurri come due lapislazzuli incrociarono gli altrettanto limpidi dei suoi. Ed è amore a prima vista. Ma lei è ancora ingabbiata nel passato di un matrimonio fallito e preferisce limonare da sola e con fierezza.
L'ambiente stiloso dello Sliver affascina Carla e lo stile modaiolo di Carla affascina i suoi vicini, come il professore (Keene Curtis) e la modella Vida (Polly Walker). Entrambi sono irretiti da Carly e dalla sua somiglianza con Naomi, colei che non fece in tempo a stupirsi perché cadde volteggiando dal grattacielo come una ballerina (ubriaca) del Bolshoi. 
Carly però ignora di essere spiata da uno schermo insieme ai suoi coinquilini ignari. Quello che Carly non sa è che  lo Sliver, il grattacielo più esclusivo di Manhattan è il regno dove il grande fratello ti osserva. Dove Zeke ti guarda. 
E mentre Carly viene spiata nei suoi momenti più intimi e nascosti, il professore e la modella Vida periscono sotto la scure del minaccioso assassino. Carly è in pericolo, ma ancora più pericolosa è la rete di passione che Zeke tesse per lei. Donna roccaforte dal clitoride ormai domo, Carly si dimostra ritrosa e intimorita, ma finisce ben presto tra le braccia del suo giovane e focoso amante. E se fosse finita in un incubo senza uscita?
Sliver è tratto da un romanzo di Ira Leving, lo scrittore di Rosemary's Baby. Mica burattini senza fichi. Peccato che nelle mani di Joe Estrerhas sia diventato un romanzetto rosa per casalinghe annoiate le cui trombe di falloppio non vengono suonate dai loro mariti da un bel po'. E quel che ne esce è un film pasticciato e uno dei primi tonfi dell'autore di Basic Instinct. 
Se a distanza di 26 anni risulti invecchiato male, rimane comunque interessante il concetto di voyerismo - soprattutto ora che la tecnologia e i social media hanno esasperato e violato l'aspetto della mancata privacy e lo stalking sia una triste realtà - l'errore di Joe Esztrerhas sta nel di ripetere i fasti di Basic Instinct, cercando di creare un pastone di thriller erotico dove l'elemento thriller (elemento portante del libro) è il meno riuscito, se non inutile. Anche perché il colpevole si sa tipo mezz'ora dopo, con tanto di scritta lampeggiante sulla fronte 'son ghe ie'. Esztrerhas però si rende conto di aver fatto una cazzata e allora cerca di buttarci un po' di fumo negli occhi e cerca di sviare mettendo un po' di ambiguità nel possibile serial killer. Peccato però che la regia svogliata di Philip Noyce  e le scarse doti attoriali di William Baldwin in combo con una Sharon Stone ancora più scazzata non aiuti. E così l'elemento sorpresa è più un momento WTF, perché toglie ogni motivo, o meglio movente di questa scia di sangue che si protrae tra una ciulata e l'altra. 
Sharon Stone cerca di cambiare rotta e dopo il personaggio fichissimo di Catherine Tramell, vuole interpretare la donna fragile, frigida e ferita che non vuole essere dominata, ma il suo personaggio è talmente monodimensionale che la rende poco interessante. E non basta essere fighi con nudità ben esposte per salvare baracca e burattini. E se il piatto forte dovrebbe essere l'intesa  dei due protagonisti in balia delle scene bollenti, sono proprio quelle sequenze da soap opera in versione po' zozza a creare un umorismo involontario, soprattutto con la 'super hot' in cui Carly e Zeke sono nel suo appartamento nella notte buia e tempestosa. Insomma, Esztrheras voleva fare un trhiller erotico, e n'è uscito con un pasticcio al limite del ridicolo. Poteva prendere la strada più semplice, sfrondare se non stravolgere il romanzo originale e limitarsi a raccontare la storia di un povero stronzo milionario che fa stalking sulla tipa di cui è innamorato. O meglio, ne è ossessionato. Cosa che ha fatto quella faina di E.L. James (autrice di 50 sfumature di grigio e affini), che probabilmente avrebbe scritto nelle sue sue 50 sfumature anni Novanta una paginetta così: 
ella arrivò nel di lui appartamento. Lampi e fulmini scaldavano l'atmosfera remdendola rovente. Ella si mise a guardare fuori dalla finestra. Frastornata dal desiderio e dall'atmosfera cupa  e febbricitante, lei vennne colta di sorpresa dal suo amante. Egli ignudo e splendido con il suo corpo scultoreo si avvicina furtivamente. Improvvisamente, lui la prende di soprassalto e glielo  tronca nel cul... Lei arrosì.

Voto: 5

Al brutto affare partecipano:





lunedì 4 marzo 2019

DIETRO LA MASCHERA: Pene d'amor perdute





E' carnevale! E ogni recensione vale! Il nostro amico blogger Marco de La stanza di Geordie ha voluto omaggiare la festa che sancisce la fine dell'inverno e prepara la strada per la primavera con una serie di film incentrati sul tema della maschera. Per questa occasione spolvero Pene d'amor perdute, che presenta una bella festa mascherata perfetta per questo day.







Titolo: Pene d'amor perdute
Titolo originale: Love's Labour Lost
Francia, Uk, 2000
Cast: Kenneth Branagh, Natascha McElhone, Alessandro Nivola, Adrian Lester, Matthew Lillard, Alicia Silverstone, Carmen Ejogo, Emily Mortimer
Sceneggiatura: Kenneth Branagh
Regia: Kenneth Branagh
Durata: 95'


William Shakespeare può essere contemporaneo. In generale tutte le opere che hanno qualche centinaio di anni sulle spalle possono essere attuali. La Divina commedia di Dante potrebbe benissimo essere scritta oggi, aggiornando di poco le pene e i gironi infernali (magari ridimensionando parecchio quelli del Purgatorio e soprattutto del Paradiso). Non fa eccezione il 'bardo' shakespeariano, che ha avuto una seconda giovinezza cinematografica a cavallo tra gli anni Novanta e l'inizio del Ventunesimo secolo con risultati più o meno lodevoli: dal Patrick Verona interpretato da Heath Ledger in 10 cose che odio di te (ovvero La bisbetica domata), a Leonardo DiCaprio e Claire Danes, ovvero i Romeo + Juliet di Baz Lurhmann, fino all'Amleto super moderno di Ethan Hawke dove fa il filmaker in Hamlet 2000. In tutta questa 'renaissance' anche Kenneth Branagh da il suo contributo. 
Fin dagli esordi con il suo Enrico V, Branagh era sempre stato rispettoso (e forse un po' timoroso) verso il Bardo, anche se ha voluto 'contaminarsi' con una trasposizione un po' più moderna del suo Hamlet ambientato nell'800 probabilmente per discostarsi da una eredità pesante come l'Amleto di Lawrence Olivier. 
Ma nel 1999 Branagh si lascia andare e osa spostare il suo amato Will negli anni Trenta con una commedia, Pene d'amor perdute.
Ed ecco che il re di Navarra (Alesssandro Nivola) in piena età art decò decide di dedicare 3 anni della sua vita allo studio insieme ai suoi fidi amici Longaville (Matthew Lillard) e Dumaine (Adrian Lester) che si buttano a capofitto nell'impresa senza pensarci due volte. Un po' di remore le ha invece Berowne (Branagh) che pensa che questo orat et labora sia un po' troppo rigido. Niente donne, un solo giorno libero a settimana e 3 ore di sonno per notte. Riluttante, Berowne accetta. Ma ecco che la principessa di Francia (Alicia Silverstone) arriva a corte insieme alle sue damigelle Rosalina (Natacha McElhone), Maria (Carmen Ejogo) e  Katherine (Emily Mortimer) per una questione economica lasciata in sospeso e scocca la scintilla. Il re di Navarra respinge inizialmente la principessa e la ospita in un cottage fuori dal castello. La principessa invece si diverte a prenderlo in giro per il suo giuramento e comincia un gioco di seduzione
E in un'epoca, quella del jazz, così sexy e romantica allo stesso tempo non si può solo pensare allo studio e così spuntano lettere d'amore da parte di Berowne e Rosalina e patimenti d'amore per Dumaine per Katherine e Longaville per Maria. 
Il quartetto di aspiranti studiosi si strugge sulle note di I've Got a Crush on You, The Way you Look Tonight, Cheeck to Cheeck e tanti altri classici senza tempo, tanto da far saltare il progetto di studio matto e disperatissimo tanto agognato quanto mai terminato.
E complice una festa in maschera, la principessa e le sue fidate ancelle esplodono in sensualità scambiandosi di ruolo e facendo impazzire d'amore il re e i suoi amici.
E l'amore è nell'aria anche per Costard (Timothy Spall) e Jacometta (Stefania Rocca) che si corteggiano. Sboccia l'amore, ma scoppia la Seconda guerra mondiale, mettendo a dura prova i loro sentimenti.
Pene d'amor perdute forse non sarà all'altezza del Romeo + Juliet di Baz Lurmhann, ma Branagh riesce a cogliere in pieno la leggerezza delle deliziose commedie shakesperiane fatte di sotto trame, piccoli intrighi ed equivoci, sapientemente mescolate con le musiche di Cole Porter, Irving Berling e di Gershwin. Ed ecco la ricetta vincente di Pene d'amor perdute: i sospiri amorosi di Berowne Rosalina si mescolano alla perfezione con il jazz gershwiniano, così come il jazz sa essere piccante come il wasabi con il sensualissimo ballo in maschera, dove la passione tra i nostri beniamini scoppia irrimediabilmente e senza remore. 
E William Shakespear diventa materiale perfetto per un film che richiama la Golden Age di Hollywood, con rimandi a Bubsy Berkley (il numero musicale in piscina), i musical di Ginger Rogers e Fred Astaire e la commedia sofisticata tipica dell'età d'oro di Hollywood.
Branagh fa diventare l'opera di Shakespeare un musical e più che a Lurmhann si ispira a Tutti dicono I Love You, dove non ci sono attori presi da Broadway o comunque star del cinema con un passato sui palcoscenici e si affida al discreto talento di Nivola, Lester e soci che non sfigurano in canto e ballo. 
Branagh per l'occasione si mette in tiro con baffo d'ordinanza (non so se ci avete mai fatto caso, ma a parte Enrico V ha un look particolarmente curato e sa essere anche parecchio figo). Se Branagh non sfigura nel canto e ballo, Adrian Lester si dimostra il migliore (anche perché è l'unico che ha un passato sui palcoscenici del West End londinese), mentre Lillard e Silverstone sono i meno efficaci. E
E se il momento musicale con Stefania Rocca/Jacometta risulta il meno riuscito e si vede lontano che sono dei principianti, il numeri musicali migliori sono il solo di Lester che eccelle in I'd Rather Charleston in biblioteca, e ovviamente la festa in maschera sulle note di Let's Face the Music and Dance, così sexy che sembra uscita da Chicago (il musical, non il film di Marshall). 
Pene d'amor perdute forse non sarà all'altezza di Hamlet o di un musical di Broadway, ma comunque riesce a cogliere lo spirito shakespeariano e sa far sognare lo spettatore per 95'. E se amate Shakespeare e Gershwin, questo particolare mix può fare a caso vostro.

Voto: 7

Hanno partecipato (e parteciperanno)

28 febbraio – Marco de La Stanza di Gordie: Spider-man la lunga genesi
1 marzo – Pietro di Pietro Saba World: Hush
2 marzo – Alfonso di Non c’è Paragone: Cabal
e a seguire…
4 marzo – Me, Director’s Cult: Pene d’Amor Perdute
5 marzo – Cassidy di La Bara Volante: The Mask + Kris di Solaris V per vendetta