sabato 25 febbraio 2017

RECENSIONE: Jackie




Titolo: Jackie
Id:, Cile, USA, 2016
Cast: Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Billy Cudrup-
Sceneggiatura: Noah Oppeneim
Regia: Pablo Larràin
Durata: '96


La prima immagine che ci viene in mente di Jacqueline Bouvier Kennedy (poi Onassis) è quella in cui lei è vestita con quel meraviglioso talleuir rosa Chanel. Impossibile non collegare Jackie a quel pomeriggio di Dallas, dove suo marito John Fitzgerald Kennedy, il presidente degli Stati Uniti d'America venne assassinato durante una parata il 22 novembre del 1963. 
Ma chi era Jacqueline Kennedy? Oltre a essere una delle più belle e raffinate first lady d'America, era una donna che amava l'arte, buon gusto per il design di interni e soprattutto una icona fashion.
Ma quella era solo una piccola percentuale che voleva presentare al mondo.
Perché lei era una donna forte, determinata e con un grandissimo autocontrollo, quasi impossibilitata a mostrare il suo vero io.
Ci pensa però il cileno Pablo Larrain a mostrare un lato nascosto nel suo ultimo film intitolato semplicemente Jackie - restituendo a Jacqueline Kennedy (Natalie Portman) quel tratto di umanità (e disperazione) che doveva negare agli occhi degli americani. E come uno spettatore estraneo ai fatti, Larrain vede la figura di Jacqueline Kennedy in modo diverso, prendendosi la libertà di offrire una visione della first lady totalmente inedita.
Utilizzando l'espediente della (reale) intervista fiume fatta dal giornalista Theodore H. White (Billy Cudrup), Larrain scava sulla superficie fatta di glamour e fredda eleganza che la first lady aveva costruito con così tanta naturalezza, quasi insita in lei, restituendo a Jackie il diritto di soffrire e disperarsi per la perdita di suo marito.
Perché se la nazione aveva perso la sua guida in John Fitzgerald Kennedy, Jackie aveva perso il suo Jack. E per i 4 giorni che seguirono il funerale di Stato e la sepoltura del presidente, Jackie non ha potuto esternare il dolore che qualunque donna avrebbe provato dopo una tragedia simile, perché il suo ruolo presidenziale non glielo permetteva. 
Il popolo americano aveva una visione ben precisa di Jacqueline e John  Fitzgerald Kennedy: belli, giovani e di classe.
Classe e bellezza che si nota con il servizio che aveva fatto per la televisione aprendo le porte della Casa Bianca, dove Jackie è una impeccabile padrona di casa. Perché quella era casa sua e lei ci aveva investito tempo (e denaro) per dare un tocco della sua identità, del suo gusto e del suo forte senso dell'estetica imparati durante i suoi viaggi in Europa quando era ancora Miss Jacqueline Bouvier e collaborava per riviste di arte.
Una perfetta padrona di casa dove non mancavano eventi culturali,  capace  comunque di controllare la commozione durante un concerto alla Casa Bianca, ma capace di lasciarsi andare solo con suo marito Jack a un sorriso, capace di essere sé stessa solo con lui.
La perfezione, è questo che Jackie ci vuole mostrare. Il suo autocontrollo, il suo modo di impostare il saluto perfettto per una perfetta accoglienza, coadiuvato dall'aiuto della sua assistente (Greta Gerwig) che le rammenta di sorridere per non sembrare una fredda 'miss perfettina'.
La perfezione nel camminare, quell'incedere attraverso la sala con l'eleganza di una ballerina classica, con i gesti misurati, lasciandosi tradire da un fugace sguardo alla sua assistente in cerca di sicurezze,lasciando trasparire il disagio che prova nel dover essere all'altezza della situazione.
Perché nella visione di Larraìn, Jackie era intrappolata nella perfezione, che comincia a venir meno dopo quel colpo di fucile sparato da Lee Harvey Oswald quel 22 novembre del 1963.
E solo durante quell'intervista possiamo vedere una Jackie cinica, che fuma (ma ovviamente nessuno lo deve sapere perché all'epoca considerato poco chic), ma non ipocrita - perché è una Jackie che non ha più nulla da perdere, una Jackie che non è più first lady, non è più moglie, ma una donna che finalmente si sente in diritto di far trapelare il suo dolore, la sua rabbia e la sua disperazione.
Ed è questo che interessa a Larrain, non interessa indagare sul momento topico dell'attentato (per quello basti vedere JFK di Oliver Stone), perché si sa cosa è successo.
Quel belllissimo talleuir Chanel rosa e blu insanguinato è l'unica cosa che può far emergere la disperazione di Jackie: il rifiuto di non toglierlo durante il passaggio di potere a Lyndon Johnson sono le uniche grida di dolore che può esternare, perché le lacrime che rigano il suo volto e il sangue che Jackie tenta di lavare via mentre è nel bagno dell'Air Force One è l'unico momento a lei concesso. Giusto il tempo di avere il viso pulito e di reprimere le sue emozioni per mostrarsi calma, perché una nazione era scolvolta e lei doveva rassicurare 'il suo popolo', dimenticandosi di sé stessa, non potendosi permettere di essere lei stessa rassicurata, perché il suo ruolo non glielo permetteva. 
Larrain riesce a scindere la figura istituzionale da quella privata,  sottolineando la solitudine che prova Jackie,  lasciandola sola e smarrita nei meandri di una casa monumentale, dove l'unica compagnia sono i suoi bellissimi vestiti - sinonimo di classe che non sbaglia mai un outfit ad ogni occasione ufficiale - e qualche drinks che sono la sua fonte di consolazione.
L'unica figura di sostegno e protezione è dato dal cognato Robert (Alexander Sarsgaar), dandole l'opportunità di riprendere il controllo di sé stessa e di poter preparare il funerale e soprattutto preparare i suoi bambini a una perdita così enorme e difficile da capire data la loro giovane età. E se il funerale di Stato era stato visto da milioni di americani, violando inevitabilmente il dolore di una vedova, Larrain restituisce a Jackie un attimo di intimità, riprendendola da lontano - così come al momento dell'attentato, riprendendola inzialmente da lontano per sottolineare che era lei a subire la tragedia, arrivando poi in un secondo momento a riprenderla in primo piano per catturare la sua angoscia - lasciandole un momento di dolore che non può trasparire nel velo nero che ricopre il suo volto, regalandole a distanza di 54 anni quella privacy negata.
Con Jackie, Larraìn riesce non solo a ricreare con fedele precisione un pezzo di storia americana, ma riesce soprattutto a dare una immagine complessa e sfaccettata di Jackie così lontana dalle prime pagine dei rotocalchi, restituendo un tocco di umanità che Jacqueline Bouvier Kennedy Onassis ha sempre dovuto nascondere. E la fredda eleganza di Jackie rivive grazie alla strabiliante interpretazione di Natalie Portman, che sembra quasi impossessarsi di Jackie, riuscendo a catturare ogni sfumatura di una donna per certi versi enigmatici, ma che rivive con una veste nuova, con l'opportunità di scalfire quella patina di perfezione che ha dovuto indossare sotto un tubino di Chanel.
'Per un breve e splendente periodo c'era il regno di Camelot. Non ci sarà più un'altra Camelot'-
E con queste parole, Jackie annuncia la fine di un'era, di un'America emblema di felicità, glamour e ricchezza che non esiste più.

Voto: 8



10 commenti:

  1. Esatto: la fine di Kennedy segnò la fine di un'era, e le nubi del colpo di stato in Cile (e non solo quello) erano già all'orizzonte. Per questo trovo "Jackie" perfettamente coerente con la filmografia di Larraìn (tutt'altro che un oggetto estraneo, come ha detto qualcuno).
    Bellissima recensione, che ovviamente condivido al 100%. Anche se, purtroppo, non siamo in molti a pensarla così...

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    1. Grazie! Il colpo di stato in Cile e i fatti successi in America sono legati tra di loro e concordo, Larraìn è coerente nel ritrarre Jackie, riuscendo però da 'estraneo' a dare un aspetto totalmente inedito della first lady più amata (prima di Michelle Obama). Per il resto, siamo pochi ma buoni ad amare questo film!

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  2. Wow. Gran bella recensione, complimenti.
    Film davvero spiazzante, che ha qualcosa da dire di nuovo e lo dice un gran bene su un "fatto" su cui tanto si è detto. E lo fa proprio mettendo da parte quel fatto per concentrarsi su lei, Jackie.
    Portman pazzesca.

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    1. Grazie mille, gentilissima, lo devo a voi che leggo le vostre recensioni per avere la giusta direzione e ispirazione!!! ^_^
      Sono d'accordo, dice qualcosa di nuovo su un evento che sappiamo anche noi che siamo di un'altra nazione e di soprattutto di un'altra generazione, e la cosa che mi è piaciuta di più è proprio la visione che Larraìn ha di Jackie. Portman strepitosa, meriterebbe un ex-aequo con la Stone solo per la scena in cui si lava il viso in aereo, pazzesca davvero!

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  3. Bella la recensione e bellissimo il film. Io spero che la Portman venga premiata, la percepisco come molto sottovalutata quando secondo me è bravissima!

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    1. Grazie! La Portman è monumentale in questo film, ma le altre nominate sono agguerrite, mai dire mai però! In ogni caso lei è bravissima e bellissima, basta e avanza! :-)

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  4. Già sai. Li ho trovati tutti belli, tutti bravi (non si discute), ma non ho mai empatizzato con loro.

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    1. Lo so, però un po' dispiace che non ti sia arrivato al cuuuuore!

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  5. Un film ben fatto, funereo come ti aspetteresti, con un cineasta adatto ad entrare dentro al potere e mostrare quello che altri non mostrano, come nel suo impeccabile "No - I giorni dell'arcobaleno". Impeccabile come "Jackie". E nessuno si è accorto della grande prova (da Oscar) della Portman? :)

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    1. Ha vinto Emma Stone, quindi la risposta è no. :-P
      Larraì fa veramente un gran bel lavoro nel mostrare il lato inedito di Jackie Kennedy, facendo di lei una icona che durerà nel tempo! :)

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