lunedì 24 marzo 2014

ORIGINALE Vs. REMAKE: Funny Games US

Dopo una lunga pausa ritorna la rubrica Originale Vs. remake, in collaborazione con Ho voglia di cinema. Questa volta abbiamo scelto Funny Games del regista austriaco Michael Haneke, che ha diretto il remake shot-for-shot della sua omonima pellicola. Ho voglia di cinema ha recensito l'originale, ecco il link:
Ho voglia di cinema




Titolo: Funny Games US
Id., USA 2007
Cast: Naomi Watts, Tim Roth, Michael Pitt, Brady Corbet.
Sceneggiatura: Michael Haneke
Regia: Michael Haneke
Durata: 104'



Anne (Naomi Watts), George (Tim Roth) e il loro figlioletto Georgie (Devon Gerehart) sono in procinto di raggiungere la casa al lago per le vacanze. Arrivati a destinazione conoscono Peter (Michael Pitt) e Pete (Brady Corbet), due giovani dai modi affabili e gentili. Con un pretesto entrano in casa e iniziano un gioco al massacro che trasforma la loro vacanza in un inferno.

Ispiratosi al caso di Leopold e Lieb, due giovani borghesi che si macchiarono di un delitto solo per il gusto di uccidere, nel 1997 l’austriaco Michael Haneke diresse un film controverso, Funny Games. Nel 2007 decise di girare il remake shot-for-shot di questo film disturbante e angosciante. 

Per quale motivo il cineasta austriaco ha fatto un'operazione del genere? Perché il film sul gioco "divertente" compiuto da due “bravi” ragazzi non aveva raggiunto a sufficienza il pubblico americano, e invece Haneke voleva far arrivare il suo messaggio a quel pubblico vorace di film violenti. 
E lo fa con un film “fotocopia”, ovvero ricreando perfettamente ogni singola scena esattamente come il film originale, cambiando (per ovvi motivi) solo il cast e girandolo in lingua inglese. 

Haneke crea un perfetto horror, ma con una differenza: i mostri non sono immaginari, ma possono essere il vicino della porta accanto. Come fece Alfred Hitchcock che con il suo Alfred Hitchcock presenta riuscì (con orgoglio) a far “entrare” l’omicidio nelle pareti domestiche, ovvero attraverso la televisione, divenuto negli anni Cinquanta il mezzo che accompagnava le tranquille serate in famiglia; Haneke compie più o meno la stessa operazione trasportando la violenza in un contesto famigliare, violando il nucleo in cui ci si sente più protetti.

E come Brandon e Rupert, i protagonisti di Nodo alla gola diretto sempre dal cineasta inglese, dove un omicidio si consuma in un appartamento, Haneke firma la sua tragedia in una casa al lago, luogo di relax che si trasforma in un inferno per la famiglia, per mano di una coppia di ragazzi di buona famiglia che decidono di perpetrare il male solo per il perverso gusto di farlo.

Se tra Brandon e Rupert il più forte è Brandon, qui è Paul che è l’elemento di forza che riesce a soggiogare non solo Anne e la sua famiglia, ma anche il suo stesso “collega”. Così come è Anne e non George ad essere l'elemento più forte della coppia. E infatti Haneke “mette fuori uso” George con un colpo al ginocchio che lo rende non solo impossibilitato a muoversi, ma anche ad agire e proteggere la propria famiglia, finendo inevitabilmente per essere l’elemento più debole del “gioco”, sminuendo la figura maschile e sovvertendo i ruoli all'interno della coppia. 
Il  gioco di Pete e Paul non avviene subito, ma prende forma piano piano: il regista infatti mescola le carte fin dai titoli di testa, presentando la tranquilla famiglia sorridente, che ascolta musica classica durante il viaggio. 

Però introduce fin da subito un elemento di disturbo, impercettibile per chi non conosce la trama, ma angosciante per chi ha visto il film originale: una musica hardcore violenta, in netta contrapposizione con gli sguardi sereni dei personaggi che non vedono l’ora di godersi la loro vacanza.
E la casa al lago splendida, in mezzo al verde, oasi di pace e tranquillità, diventa, nelle mani di Haneke un luogo isolato dove è quasi impossibile fuggire dalle atrocità messe in atto da Pete e Paul (paradossalmente il grande cancello che serve per proteggersi dagli intrusi, finisce per essere un ostacolo per la salvezza).
Pete e Paul sono due giovani belli, educati e gentili, i vicini di casa che vorresti conoscere. Ne siamo proprio sicuri?

George conosce Paul, un ragazzo dai modi gentili e affabili. Ma il cane quando lo vede abbaia senza motivo, è agitato. Perché ha capito che c’è qualcosa che non va, come se avesse avvertito nel ragazzo un'aura di male che lo avvolge e cerca di avvisare del pericolo che incombe su George e la sua famiglia. E ha ragione.

Ad aprire le danze al gioco al massacro però è Pete, giovane timido che chiede le uova ad Anne. Pete però è (apparentemente) sbadato, fa cadere le uova e urta il cellulare di Anne che finisce nel lavandino pieno di acqua. Pete si scusa, e chiede altre uova, nel frattempo entra in casa anche Paul, mentre Pete diventa sempre più insistente e molesto, facendo spazientire Anne, che chiede ai ragazzi di andarsene. George cerca di risolvere l’alterco in modo civile, ma finisce per schiaffeggiare Paul. Ecco la molla che fa scattare il gioco.

Haneke mostra come il gene del male si insinui nella quotidianità con una banalità disarmante. George è un uomo mite, ma l’aggressività ha il sopravvento e schiaffeggia Paul. 
Paul getta la maschera e ferisce George, dandogli la prima "lezione".
Ma Paul e Pete non si limitano ad aggredirli fisicamente, ma instaurano un sottile e perverso gioco di puro sadismo, intrappolando la famiglia in una escalation sempre più crudele e devastante. Per loro e anche per noi che assistiamo alla visione, finendo per esserne soggiogati, quasi anestetizzati dal fluire malato degli eventi. Perché la violenza ormai fa parte della nostra quotidianità. E anche se le scene più cruente sono fuori scena (perché al regista non interessa il gore e l'effetto splatter, il suo obiettivo è un altro) infastidiscono comunque, anche se poi si finisce per esserne sopraffatti. E assuefatti. 
Ed ecco che Haneke fa centro: lo spettatore sa fin dal principio che la famiglia è in costante pericolo, ma non può fare a meno di assister in modo passivo, perché si tratta pur sempre di finzione.
E per rimarcare questo aspetto, Hanek infrange le regole cinematografiche facendo guardare Paul direttamente in macchina, rivolgendosi al pubblico, rendendolo complice di cotanta virulenza. E Haneke ci tiene a sottolineare questo aspetto nella scena “rewind” con il telecomando della TV che “riavvolge” gli eventi. Esattamente come la VHS di un film horror.
E le dinamiche di un film dell’orrore ci sono soprattutto quando Georgie riesce a scappare, ma Paul lo insegue nella casa dei vicino, mentre "il lupo cattivo" gli da la caccia (un po' come il Jack Torrance di Shining, che insegue il piccolo Danny). Non pago, Haneke con altrettanta sottile crudeltà lascia delle vie di fuga, lascia un attimo di respiro alle sue vittime (e anche allo spettatore), ma si sa che non c’è nessuna via di scampo. 
Haneke crea questo scenario dell’orrore dove il set è il salotto, dove a distanza assistiamo al loro dolore, alla loro paura e disperazione, diventando dei testimoni oculari impotenti, perché non possiamo salvarli, ma possiamo solo assistere alla loro lunga agonia. 
Con Funny Games  Michael Haneke crea un simposio cinematografico sulla banalità del male, che proseguirà con Il nastro bianco: il male è come un virus che giace silente nell'anima, distruggendo ogni certezza e ogni protezione. Che la crudeltà sia una parte del DNA umano che giace silente a nostra insaputa? Haneke ha soltanto lanciato una provocazione, spetta a noi trovare la risposta.



Voto: 7,5

13 commenti:

  1. Posso dirla pari pari??n'a merda...dopo averlo visto (solo l'originale) volevo prendere Haneke a calci negli stinchi....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ovviamente volevo scrivere non solo l'originale...gnafo'...

      Elimina
    2. Mi sa che Haneke invece ti ha fatto incavolare apposta! Comunque sì, un bel calcio nello stinco, dopo averci terrorizzato per 103 minuti se lo merita! :-p

      Elimina
  2. film fotocopia forse inutile, o forse un'operazione geniale di presa per il culo dei remake. comunque come al solito un haneke beffardo e bastardo!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. No, non è inutile se voleva raggiungere il pubblico americano. Haneke è proprio un bastardo di un genio, ancora devo vedere Amour!

      Elimina
  3. Io devo ammettere che ho apprezzato più il remake. Comunque film che veramente ti prende a calci.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io devo ammettere che l'originale non l'ho visto. Già mi ha inquietato quello americano, non ho il coraggio di vedere la versione del 1997...

      Elimina
  4. Haneke è questo... Anzi, possiamo dire che questo è il suo film-manifesto: inquietante, disturbante, a volte oserei dire sadico. Però è uno che i film li sa fare alla grande. Chapeau.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Haneke ha ritratto la società sadica assuefatta dalla violenza. La cosa che mi ha sconvolto di più è stato il senso di angoscia che è svanito a metà film rispetto all'inizio... Ha centrato in pieno il bersaglio. E i film li sa fare alla grande sì!

      Elimina
  5. Bellissima recensione!
    Secondo me si tratta di film assolutamente riusciti e perfettamente inquietanti ^^

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie! Inquietante è la parola adatta per descrivere questo film!

      Elimina
  6. Io devo andare controcorrente. Non mi è piaciuto, però apprezzo la tua recensione.

    Russ

    RispondiElimina