martedì 10 settembre 2013

RECENSIONE: L'intrepido






Titolo: L'intrepido
Italia, 2013
Cast: Antonio Albanese, Sandra Ceccarelli, Livia Rossi, Gabriele Rendina.
Sceneggiatura: Gianni Amelio, Davide Lantieri.
Durata: 104'


Antonio Pane (Antonio Albanese) fa un lavoro particolare: il rimpiazzo. Ovvero sostituisce un lavoratore in qualsiasi attività, dal muratore al tranviere, dalla mascotte al centro commerciale all'operaio. Lasciato dalla moglie (Sandra Ceccarelli) e aiutato economicamente dal figlio Ivo (Gabriele Rendina) che studia sassofono al consevatorio, un giorno conosce a un concorso Lucia (Livia Rossi), ragazza problematica a cui Antonio offre aiuto disinteressato.
Milano è la capitale della moda, dello shopping e dell'Expo 2015. Si respira lo smog, ma si respira a pieni polmoni la bellezza della musica con la Scala, il teatro al Piccolo, l'arte la trovi a Palazzo Reale o alla Pinacoteca di Brera.
Milano però è anche il grigiore delle giornate immerse nella fatica di una fabbrica in periferia, del sudore in una stireria, dell'aria insalubre che si respira facendo il pony express, in un clima di indifferenza, cinismo e cattiveria. 
Questo aspetto di Milano fa parte della vita di Antonio Pane, che di mestiere fa il rimpiazzo. In un'epoca dove ormai il lavoro è un miraggio e chi ce l'ha non può permettersi il lusso di assentarsi per una visita medica o per un raffreddore, o semplicemente perché quel giorno non si ha voglia di lavorare, il contributo di Antonio è fondamentale, perché lui per un giorno lavorerà al posto tuo, che sia un tram da guidare, l'operaio sui ponteggi, l'aiuto cuoco, qualsiasi emergenza, perché Antonio Pane è in grado di fare qualsiasi cosa.
La sua innata bontà e fiducia nel prossimo mal si coniuga con l'indifferenza delle persone, ma Antonio è felice, ama il suo "lavoro", anche se non viene pagato regolarmente. Ama il suo lavoro anche se nessuno gli offre il caffé prima del turno, ama il suo lavoro anche se nessuno gli dice grazie. La sua bontà è così genuina, da aiutare la giovane Lucia a rispondere alle domande di un test per un concorso che potrebbe cambiargli la vita in meglio.
In un paese sempre più precario, i giovani come Lucia cercano il proprio posto nella società, in preda a mille insicurezze e mali dell'anima che distruggono, come accade al figlio Ivo, giovane di talento che studia al conservatorio e suona il sassofono, ragazzo sensibile che non si tira indietro ad aiutare il padre in difficoltà, ma si tira indietro quando deve suonare su un palco, davanti a un pubblico.
Con L'intrepido Gianni Amelio dipinge un affresco cupo e deprimente della situazione odierna italiana. Se registi come Dino Risi e Mario Monicelli rappresentavano le falle di un paese afflitto da (molti) vizi e (poche) virtù con divertito disprezzo, Amelio offre uno sguardo sì poetico, ma pessimistico e vinto, su una situazione che difficilmente potrà trovare una via di uscita.
Novello Zelig, ovvero antieroe Alleniano che come un camaleonte diventava uno, nessuno e centomila a seconda delle situazioni e delle persone che incontrava, Antonio Pane si cimenta in qualsiasi mestiere, modellando le sue capacità a seconda delle esigenze lavorative altrui.
Come Charlie Chaplin che cerca di sopravvivere alle avversità della vita con ottimismo, l'autentico altruismo di Antonio è merce rara: Amelio lo catapulta in una Milano triste, impoverita non tanto per la crisi che attanaglia anche il Nord Italia, ma impoverita nell'animo delle persone, imprigionate in una homo homini lupus dove chi non schiaccia finisce per essere schiacciato.
E la sfiducia che prova nel genere umano è evidente, non c'è speranza per persone come Antonio, flagellato anche lui dalla piaga della disoccupazione alla soglia dei cinquant'anni, né per i giovani come Lucia e Ivo, oppressi da insicurezze, demoni interiori che impedisce loro di sognare un futuro. Perché non c'è.
Amelio usa l'arma della poetica e del cinema modellando un nuovo eroe chapliniano a cui il regista omaggia citando Il monello (di cui Antonio imita la camminata del vagabondo, vivendone di riflesso la situazione di indigenza) e Tempi moderni (l'alienazione di Antonio alla stireria, che, come un'automa, mette i camici nella stireria), ma la dolcezza e il fare disincantato si fermano qui: perché sei personaggi di  Chaplin si ribellavano alle avversità consapevoli che una vita migliore era dietro l'angolo, il personaggio di Amelio invece lo da per sconfitto, in un mondo in cui la benevolenza verso il prossimo è da stupidi. 
Amelio non è tenero nemmeno nei confronti dei giovani, con la disperazione di Lucia e gli attacchi di panico di Ivo.
Se il film parte tagliente e crudele fin dalle prime scene in cui il suo antieroe subisce, cercando successivamente di ribellarsi a un sistema che lo disgusta, il film una volta mostrata l'odissea lavorativa del protagonista, tende a perdersi proprio quando interagisce con le storie di Lucia e Ivo: troppa carne al fuoco, che finisce inevitabilmente per bruciarsi, facendo perdere di vista la situazione di disperata solitudine in cui versa Antonio.
L'intrepido è un'istantanea di un paese che è travolto dall'inciviltà, dall'ignoranza, dove non c'è spazio per la bontà, offrendo un preludio di un paese che non riesce a uscire da un incubo senza fine. Non ci sarà nessun miracolo a Milano. O forse sì, a giudicare dallo sguardo che ci regala alla fine Antonio. Ma la sua storia rimane in sospeso, così come è in sospeso la sorte del bel paese che fu.

Voto: 6
A.M.




4 commenti:

  1. non mi ispira nemmeno come film di rimpiazzo.. :)

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    1. Io sono andata a vederlo perché per una volta il mio fidanzato mi ha proposto di andare al cinema, e non potevo dirgli di no! :-p

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  2. Uno specchio reale dell'attuale situazione lavorativa italiana

    Rag. Daniele Calabrese

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